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CARTA DI IDENTITA' DEL SIGNOR BURLAMACCO

Forse, nella partita che ogni Comune gioca per definire la propria immagine e la propria vocazione industriale, commerciale e turistica, la città di Viareggio si è finalmente resa conto di avere in mano una buona carta, e di averla finora giocata in modo inadeguato: quel personaggio del Burlamacco che, inventato nel remoto 1931 dal pittore viareggino Uberto Bonetti, è diventato dapprima il simbolo non solo del Carnevale di Viareggio ma della stessa città, per assurgere poi alla dimensione di maschera, di presenza familiare ed amica, di icona tout court. In questa marcia progressiva, la sua immagine è uscita dai confini della Versilia, approdando prima a Roma, dove il Nostro è stato ufficialmente accolto, nel 1989, nel Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari, tra le maschere della Commedia dell'Arte; e poi anche all'estero, grazie soprattutto alla popolarità acquistata presso la gran quantità di stranieri che hanno scelto la Versilia come residenza estiva e luogo di seconda casa.

Dicevamo dunque che forse Viareggio se n'è accorta e sta correndo ai ripari. Da poco più di un anno fa bella mostra di sè sulla passeggiata a mare un monumento al Burlamacco (invero piccolino, e in vetroresina invece che in bronzo, ma insomma sempre monumento è). Inoltre, il 28 settembre è stato presentato in Palazzo Comunale il catalogo della Donazione Bonetti: un cospicuo corpus di oltre 300 opere di Uberto Bonetti, donate al Comune dalla famiglia dell'artista e destinate a divenire una sezione permanente dei Musei Civici di Palazzo Paolina.

Quando avverrà questa "musealizzazione", per usare una parola orrenda che pare però che sia quella ufficiale? Conoscendo i problemi in cui si dibattono le amministrazioni locali, è inutile azzardare previsioni, e sembra meglio (oltre che auspicare il veloce compimento dell'iter tecnico-burocratico) dare qualche informazione sulla più famosa fra le creazioni dell'artista viareggino, redigendone, se pure in modo lapidario, una specie di

CARTA D'IDENTITA'.

Nome: Burlamacco, come il canale che ancor oggi taglia in due la città di Viareggio, e che prende il nome a sua volta da un'antica famiglia locale.

Luogo e data di nascita: Viareggio, 1931. Una Viareggio nella quale (perso ormai lo smalto aristocratico della belle époque, e di là da venire i fasti e i nefasti del turismo di massa) non mancano gli stimoli e i fermenti culturali, e non è raro imbattersi in noti esponenti della vita letteraria (Gabriele D'Annunzio), musicale (Giacomo Puccini, in quotidiana trasferta dalla vicina Torre del Lago) e teatrale (Eleonora Duse, Isadora Duncan, Lyda Borelli, Maurice Chevalier).

Tra le altre cose, tra il 1929 e il 1930 la Viareggio più colta ospita la prima edizione del Premio Letterario, nonchè un gruppo di giovani, soprattutto artisti e pittori, che si muovono in una precisa area futurista; fra di loro, Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Fortunato Depero, Enrico Prampolini e i due fratelli Thayaht, senza contare ovviamente l'immancabile Marinetti.

Paternità: Uberto Bonetti, classe 1909, già studente all'Istituto di Belle Arti di Lucca, ed ora attivo come disegnatore, grafico e caricaturista su alcuni periodici nazionali. Tra le altre cose, Bonetti ha mutuato dal credo marinettiano anche l'interesse per la pubblicità (che i futuristi hanno elevato dal rango di "réclame" a quello di Arte con la A maiuscola), e, come altri artisti del movimento, si occupa anche di grafica pubblicitaria. Nessuna meraviglia quindi che partecipi al concorso bandito nel 1930 per il manifesto destinato a reclamizzare il Carnevale dell'anno successivo, e che lo vinca, con un bozzetto in cui si ritrova tutta l'impudenza dei futuristi, con in più una componente ludica e gioiosa che apparenta il suo autore a Fortunato Depero e che attesta la componente dadaista di entrambi.

Segni particolari: il fatto di riunire parecchi elementi iconografici delle maschere della Commedia dell'Arte (un abito a losanghe come quello di Arlecchino, un mantello nero come quello di Balanzone e di Capitan Spaventa, un copricapo che è una via di mezzo tra la feluca degli ammiragli e il tricorno di Gianduja), reinventati però alla luce dei canoni figurativi più avanzati dell'epoca: il vestito di Arlecchino, infatti, è ridotto a due soli colori (il bianco e il rosso), ed è agevolmente riconducibile a proposte futuriste (La tuta a linee rette di Thayaht o Il vestito antineutrale di Giacomo Balla); la faccia è bianca come quella di Pierrot o dei Clown Bianchi, ma grassa e ridanciana come quella di Gianduja; infine, la struttura dinamica dell'immagine rinvia a certi abbozzi di composizioni areofuturiste che non stupisce di trovare fra i taccuini di schizzi dell'epoca del giovane autore. Taccuini che documentano del pari la seconda "radice" culturale dalla quale Burlamacco deriva, e cioè le maschere della Commedia dell'Arte, rivisitate attraverso le opere del Tiepolo, le incisioni dei Balli di Sfessania di Callot e le stampe popolari del Sei-Settecento.

Molto probabilmente, è proprio questo singolare connubio tra passato e futuro che ha sottratto il personaggio al rapido degrado cui vanno soggette la maggior parte delle invenzioni pubblicitarie, consentendogli di passare indenne attraverso mezzo secolo di mode culturali. E' vero che in questo arco di tempo il Burlamacco si è costantemente adeguato all'evoluzione del gusto grafico, abbandonando ad esempio, alle soglie degli anni quaranta, le tinte piatte, e cercando una nuova e tridimensionale corporeità, non diversamente da quanto avvenne ad altri personaggi di ispirazione déco (dal signor Bonaventura di Sergio Tofano, alle giovani donne, sempre più spesso ignude, dei libri illustrati da Umberto Brunelleschi); o agganciandosi a sperimentazioni figurative della seconda metà del secolo, come i fotomontaggi, la pop-art o la optical-art. Tuttavia, queste variazioni sul tema hanno avuto vita effimera: tant'è che l'immagine che resiste nell'immaginario collettivo è ancora quella bidimensionale e stilizzata del 1931, che a questo punto ha superato i sessantacinque anni di età, sopravvivendo al suo stesso creatore.

Sì, perchè Uberto Bonetti se n'è andato, purtroppo, nell'aprile del 1993. E ci ha lasciato, oltre a una quantità infinita di variazioni sul tema del Burlamacco, un'ampia serie di bozzetti pubblicitari, di manifesti, di copertine di libri e di riviste; i taccuini di schizzi dei quali si è detto, che costituiscono un affascinante filo d'Arianna per addentrarsi nei meandri della cultura grafica del Novecento; e una gran quantità di quadri a acquerello, cui si dedicò, già anziano, negli ultimi anni della sua vita.

Della Donazione Bonetti fanno parte anche non poche testimonianze di questa sua più recente attività, ed è una ragione di più per auspicare che essa sia al più presto accessibile al pubblico: poichè in certi personaggi surreali (che stanno a metà strada fra le maschere tradizionali e certi personaggi dell'assurdo universo di Federico Fellini) e in certe composizioni quasi astratte dei suoi quadri si ritrova uno spirito tutt'altro che stanco. Lo stesso spirito vigile e beffardo, appena un po' immalinconito, di quello studente ventunenne che tanti anni fa inventò il Burlamacco. Vedere (non appena sarà possibile) per credere.

(Comic Art, dicembre 1996)

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