Lo scrittore

IL CIELO SOPRA TORINO



C'era qualcosa di artefatto e sghembo, quella sera, nel silenzio della città addormentata: come se la grande bestia formata da centinaia di migliaia di esseri umani non stesse affatto dormendo ma piuttosto trattenesse il respiro. Forse era l'assenza quasi totale di luci e di rumori, che poteva essere normale nelle primissime ore del mattino mentre adesso erano da poco passate le dieci; o forse, al di là di questo, era la coscienza del fatto che il mondo in cui si viveva non era più lo stesso di pochi giorni prima e che tutte le regole dovevano essere riscritte e imparate da capo.

Per strada si incontravano poche persone, probabilmente consapevoli del fatto che a quell'ora avrebbero già dovuto trovarsi in casa. Camminavano infatti veloci e rasente ai muri, ma la fretta annullava la cautela e il rumore dei loro passi risultava ingigantito dal silenzio, echeggiando sotto le volte dei portici. Sulle facciate buie delle case poteva capitare che si aprisse un occhio luminoso, poi subito spento; ma non prima che dalla strada, forse attraverso un rudimentale megafono, non fosse crepitata alta e minacciosa la parola "Luce!".

Se i passanti erano radi, ancora più radi erano gli autoveicoli. Per circolare in macchina ci volevano ormai dei permessi speciali. Ogni tanto sui controviali passava una camionetta di ronda, con il motore al minimo e le luci di posizione azzurrate, e il rumore sordo, di gatto che fa le fusa, nasceva e moriva nello spazio di pochi secondi. Sicché non poteva non suscitare sorpresa e inquietudine la vettura sportiva che a un certo punto svoltò improvvisa da un angolo e imboccò la corsia centrale di corso Vittorio in direzione del fiume. Il motore non tenuto alla briglia faceva pensare non tanto a un gatto che fa le fusa quanto a un gatto che si accinge a combattere battaglie d'amore.

Non curandosi degli incroci, l'automobile percorse a velocità sostenuta la grande arteria deserta e rallentò solo in prossimità di corso Galileo Ferraris, per poi girare intorno al monumento a Vittorio Emanuele II e svoltare a sinistra, sul controviale. Arrivata davanti a un portone si fermò con un'ultima baldanzosa sgassata, restituendo alla notte il silenzio che le aveva sottratto con tanta arroganza.

L'uomo che la guidava estrasse dal cruscotto la chiave dell'accensione, uscì nelle tenebre e si appoggiò alla portiera, respirando a pieni polmoni l'aria tiepida di quell'inizio di estate. Infilò una mano nella tasca della giacca e ne trasse un portasigarette di radica. Era molto in ritardo, ma la ragazza non sarebbe certo scappata: e un'ultima sigaretta non si rifiuta neppure a un condannato a morte, figurarsi a uno che teneva saldamente in pugno le redini della propria vita come le teneva lui, sfruttando la particolare congiuntura storica e politica in modo da ricavarne il minimo dei rischi e il massimo dei vantaggi.

Sfilò dal portasigarette un tubicino color avorio e se lo infilò fra le labbra. Quando fece scattare la pietra focaia, la fiammella illuminò fugacemente un volto giovane e determinato, due occhi chiari dallo sguardo protervo e una bocca cui la sigaretta fra le labbra non impediva di piegarsi a un sorriso un po' strafottente. Quando la punta del tubicino incominciò a fumigare, l'uomo ripose l'accendino e tirò una profonda boccata, aspirando il fumo con una voluttà che anticipava quell'altra, così differente, che di lì a poco si sarebbe concesso.

Sotto l'azione aspirante dei polmoni la piccola brace all'estremità della sigaretta si fece più luminosa e più rossa; poi, di colpo, quella incandescenza si estese con la velocità di un fulmine a tutto ciò che si trovava all'intorno, a tutta la città, a tutto il mondo, mentre nell'aria si spegneva l'eco secca di un colpo d'arma da fuoco.

La bocca dell'uomo si socchiuse adagio, senza che per questo la sigaretta cadesse a terra, restando invece come incollata al labbro inferiore. Alzò una mano alla tempia, a toccare i contorni di un foro che poco prima non c'era, e la ritrasse bagnata di qualcosa che luccicava nel buio, che lui fissò con aria attonita per alcuni secondi, prima di scivolare a terra e giacervi, immobile.

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