Dicono di lui --> ETICA E PUBBLICITA'

1. Ritiene il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria uno strumento adeguato di tutela per il consumatore? I tre valori di cui esso si fa portatore (onestà, correttezza, veridicità) sono rispettati in linea generale nella comunicazione commerciale dei giorni nostri?

Non ho mai letto il Codice (e neppure intendo leggerlo), ma la mia risposta alla seconda domanda è "NO". Per questa semplice considerazione di fondo: come potrebbero mai sopravvivere i valori in questione in un tempo e in un Paese che a livello generale (sia mediatico che politico) offre solo modelli di comportamento che si collocano esattamente agli antipodi? Oltretutto stiamo parlando di pubblicità, quindi di un'asse portante del sistema dei consumi e quindi dell'economia e quindi del denaro, cioè di una cosa che rappresenta proprio il fine ultimo (se non unico) dei modelli di riferimento di cui sopra.

2. Come crede che si distinguano le due figure di artista e pubblicitario se valutate dal punto di vista creativo e dal punto di vista etico? Crede che la creatività del pubblicitario sia molto limitata da fattori di diversa natura (economica, legata alle strategie di marketing, legate alle esigenze del cliente)?

Dal punto di vista creativo, non c'è dubbio che il pubblicitario sia pesantemente condizionato da "fattori di diversa natura", mentre l'artista è assolutamente libero, sempre che non lavori su commissione (come peraltro lavoravano Michelangelo e tutti i "grandi" della storia dell'arte). Il discorso è più complicato per quanto riguarda l'aspetto etico: io direi che nè l'artista nè il pubblicitario possono esimersi dal valutare le conseguenze delle loro opere sul pubblico, e che entrambi sono (o dovrebbero essere) parimenti vincolati dalla loro coscienza.
Poi, è chiaro che ogni singola coscienza ha i suoi paletti. Per l'artista si tratta solo di buon gusto o di cattivo gusto, di possibile influenza positiva o di possibile influenza negativa; per il pubblicitario, oltre che di tutto questo, anche di rispetto di quei valori (onestà, correttezza, veridicità) di cui si diceva prima, e di liceità del messaggio ai fini dell'alternativa informazione / subornazione (= creazione artefatta di bisogni fittizi).
Personalmente, mi sono trovato in almeno un paio di occasioni di fronte alla necessità di rifiutare un lavoro perché il messaggio che avrei dovuto veicolare non rientrava nei miei paletti.

3. Immagino abbia letto "I persuasori occulti" di Vance Packard. Quanto ritiene attuale questo libro e le tesi riportate?

Mi è difficile dirlo, poiché non ho letto testi più recenti di quello di Packard o dell'"Uomo a una dimensione" di Marcuse (più di una volta citati, esplicitamente o meno, nei miei lavori cinematografici). Penso però che i moniti di questi due autori, anche se il mondo della comunicazione è radicalmente cambiato dai tempi in cui loro scrivevano, non abbiano perso nulla della loro efficacia. Le cose non sono certo migliorate, caso mai peggiorate.

4. La pubblicità è da molti considerata in alcune sue espressioni forma d'arte? È d'accordo?

Sul concetto di "arte" ci si accapiglia da secoli, e ognuno intende questa parola in un modo diverso. Se si intende per arte, per esempio, ogni forma di espressione che prescinde dalla commerciabilità dell'opera, allora è chiaro che la pubblicità non ci ha nulla a che fare. Personalmente, io la collocherei in quella "terra di nessuno" che c'è fra il territorio dell'arte e quello dell'(alto) artigianato.

5. Crede che il consumatore medio sia facilmente persuasibile o che nel corso degli anni abbia sviluppato gli strumenti necessari per non farsi imbonire?

Credo che la gran massa delle persone non abbia sviluppato un bel niente, e continui ad essere un gregge di pecore che va dove vuole il pastore; e non mi riferisco solo ai consumatori ma anche a tutti coloro che entrano in una cabina elettorale.

6. Lei ha lavorato nello studio Testa. Considerata la sua esperienza nel campo pubblicitario quanto ritiene che effettivamente le ricerche motivazionali, l'utilizzo di psicologi e l'induzione di bisogni siano presenti nel processo di realizzazione?

Molto. Ma si tratta di tre cose che non si collocano sullo stesso piano: le ricerche motivazionali e l'utilizzo di psicologi sono mezzi (più o meno efficaci, a seconda di come vengono utilizzati) preposti al raggiungimento di un fine, che è proprio quello dell'induzione di bisogni, molto spesso fittizi. E' proprio su quest'ultimo concetto (induzione di bisogni fittizi per alimentare la spirale dei consumi) che da più di mezzo secolo si appuntano le critiche di natura etica all'attività del pubblicitario: quelle di Packard, di Marcuse, di molte altre persone importanti, ma anche quelle di certi scrittori di fantascienza sociologica degli anni Cinquanta (come Frederick Pohl, tanto per far un nome) e (immodestamente) del sottoscritto. Con ben poco successo, in verità, anche se finalmente un bel po' di nodi stanno venendo al pettine.

(intervista di Roberto Fassone, del Politecnico di Torino, per una tesi sul rapporto tra etica e pubblicità ed arte contemporanea)

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