Hanno cambiato faccia: le recensioni

HANNO CAMBIATO FACCIA
(Angelica Tintori e Franco Pezzini, da The Dark Screen, Gargoyle, Roma 2008)

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A volte invece il film presenta indubbiamente il personaggio di Dracula, ma con nome e/o identità mutati. ll caso più eclatante è quello del Nosferatu di Murnau, ma la trasfigurazione può condurre più lontano: ed è questo il caso, per esempio, di Hanno cambiato faccia di Corrado Farina (aka I Vampiri... hanno cambiato faccia; They Have Changed Their Face, They've Changed Faces Wettlauf gegen den Tod), Italia 1971, probabilmente il primo film ad associare in termini espliciti vampirismo e capitalismo. Un tema che, seguendo sensibilità e provocazioni d'epoca, tornerà in chiave di più tradizionale mitologia orrifica nel già visto The Satanic Rites of Dracula, 1974 e, come commedia, ne Il Cavalier Costante Nicosia demoniaco, ovvero Dracula in Brianza di Lucio Fulci, 1975, a consacrare un'avvenuta acquisizione nell'immaginario collettivo. Ma, se da un lato il tema è classico - già Voltaire avvicinava gli sfruttatori ai vampiri - dall'altro la pellicola capostipite svela una più aspra verve critica rispetto agli esiti successivi; e il mix di ironia grottesca e potenza visionaria permette all'apologo di non consumarsi nella chiave intellettualistica dell'opera a tesi.

Alberto Valle (Giuliano Disperati), dipendente della Direzione progetti della Auto Avio Motors di Torino, è convocato da livelli sempre più alti di superiori (dai nomi Harker, HelsingŠ): a volerlo vedere al più presto nella propria villa di montagna - gli comunica infine il presidente - è nientemeno che il proprietario, l'ingegner Giovanni Nosferatu (Adolfo Celi). Valle parte dunque per incontrare il magnate, che vive con un'enigmatica segretaria in una villa settecentesca dotata all'interno delle più surreali invenzioni ipertecnologiche. Nosferatu comunica a Valle uno straordinario avanzamento di carriera, e il dipendente è abbastanza ambizioso da non ascoltare i consigli di Laura (Francesca Modigliani), una giovane hippie che pone in questione l'orizzonte di conformismo cui egli si avvia. Ma l'atmosfera della villa tra la nebbia è strana e sottilmente allarmante: Fiat 500 si aggirano continuamente come cani da guardia (o lupi) nel parco all'intorno, mentre vengono convocate riunioni che mostrano la pervasiva influenza del magnate sulla società, attraverso la partecipazione dei rappresentanti delle più varie istanze di potere, Chiesa compresa. Varando emblematiche campagne pubblicitarie, come quella per la diffusione dell'LSD in tutte le case: la droga di evasione tipica del tempo è, cioè, convertita alla manipolazione dei potenziali ribelli. Il progressivo moltiplicarsi di aspetti inquietanti, i dubbi sui metodi di Nosferatu e sulla sua stessa storia, mettono in crisi Valle. Dopo aver cercato invano di fuggire e di uccidere il magnate, e aver visto Laura a sua volta condizionata, il nuovo ingranaggio finisce assorbito nel sistema e rimette la propria volontà a quella del vampiro-potere.

Primo lungometraggio del regista (che ne è anche ideatore e co-sceneggiatore insieme a Giulio Berruti), Hanno cambiato faccia vinse il Pardo d'oro al Festival di Locarno del'71. Farina veniva dal mondo della pubblicità e aveva un'idea molto precisa sui meccanismi del potere mediatico e del condizionamento delle masse. Certo il film, con la sua ironia corrosivamente schierata, si colloca nell'atmosfera culturale post-Sessantotto, ma prefigura in modo efficace il mondo del target e i sofisticati e insieme sfacciati meccanismi di manipolazione e corruzione trionfanti nel nuovo Millennio. Del resto, come sottolineato nel titolo, a cambiare non è tanto la sostanza di questo vampirismo, ma la faccia: e la citazione finale di Marcuse, "Il potere, oggi, si chiama tecnologia", esprime lucidamente quali veicoli di contagio sostituiscano nella società neocapitalistica il morso di un immortale come Giovanni Nosferatu. Mentre, invece del sangue, il vampiro e i suoi simili succhiano alle vittime le forze vitali e dell'immaginazione, la tensione all'autonomia e alla libertà e in genere i valori umani, inducendole a integrarsi in un sistema effettivamente orrifico.

Farina non gioca l'effetto facile della sorpresa. Intuiamo fin dall'inizio come un ingegner Giovanni Nosferatu a capo di una potenza industriale legata all'auto ammicchi da un lato - in termini ovviamente generici, simbolici - a uno dei grandi capitani d'industria dell'epoca, e dall'altro a una dimensione vampiresca; e, ad ulteriore conferma, gioca la scelta di un interprete-simbolo, Adolfo Celi, tra i massimi vilain della storia del cinema e tra i più grandi attori della sua generazione. Certo in teoria il richiamo generico a un "Nosferatu" rimanda alla species vampiro, più che a un preciso personaggio: ma il tema dell'ospite prigioniero nella villa-castello, il parassitismo imperialista del mostro, l'implicito rimando al capolavoro di Murnau e il magnetismo dell'interprete, consentono di considerare a pieno titolo la sua maschera come una trasfigurazione del conte di Stoker.

Controllatissimo nei dialoghi ed efficace nella fotografia, Hanno cambiato faccia fu girato nel Torinese essenzialmente per contenere i costi, anche se l'intuizione di utilizzare le montagne della Val Susa quali Carpazi di un moderno vampiro del Capitale premia lo spettatore con indimenticabili scenari nebbiosi pervasi di sottile inquietudine. Parco ed esterni della villa del vampiro erano quelli di una villa settecentesca presso Chieri, mentre per gli interni Farina ne utilizzò una modernissima, recentemente costruita. Le sue caratteristiche ipertecnologiche e il tema ossessivo del marketing suscitano all'inizio soprattutto il sorriso, come quando il protagonista si mette a sedere attivando uno spot che magnifica le qualità della poltrona: ma via via l'ironia grottesca evoca dimensioni sempre più minacciose.

Il linguaggio di Hanno cambiato faccia non è tanto quello della satira, ma di un più sofisticato umorismo nero memore della lezione di maestri del fantastico come Poe, Bierce e Stevenson: e il gioco complesso di attenzione alla realtà e linguaggio visionario, fiction avvincente e critica sociale, liberissima fantasia personale e coscienza di tutta una storia cinematografica, rende il film di Farina una delle prove migliori del fantastico italiano.

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