Lo scrittore --> Racconti --> Jessica

(Correva la seconda metà degli anni Sessanta, e la rivista "Linus" aveva pubblicato saltuariamente qualche breve racconto. La pubblicità incominciava ad andarmi stretta. Scrissi il racconto e lo portai a Giovanni Gandini, il quale cortesemente mi spiegò che l'esperimento-narrativa non aveva dato gli esiti sperati e doveva quindi considerarsi concluso. Jessica ritornò nel cassetto e lì rimase).

***

JESSICA

Se qualcuno le avesse domandato quanto tempo addietro lei e i suoi genitori si erano trasferiti nel paese, Jessica non avrebbe probabilmente saputo che cosa rispondere. Era così piccola, allora, e i pochi ricordi che Ie erano rimasti del viaggio si erano sempre più sfocati nel passare del tempo, mentre il paesaggio che la circondava, così quieto e immutato nel volgere degli anni, vi si andava sovrapponendo fino a cancellarli completamente.

Ormai, era come se fosse sempre vissuta in quella silenziosa campagna, che aveva imparato a riconoscere di anno in anno, nell'avvicendarsi delle stagioni e dei colori. Gli abitanti erano pochi, un centinaio a dir molto, tranne quei viaggiatori, poco numerosi a dire il vero, che talvolta si trovavano ad attraversare la foresta. Essi si fermavano spesso da loro a rifocillarsi, e parlavano di antiche e nuove leggende, dei posti da cui venivano e di quelli a cui erano diretti, di paesi meravigliosi e di grandi città. Jessica, che in questi casi otteneva in via eccezionale di andare a dormire un po' più tardi, ascoltava con gli occhi sgranati e si domandava se tutte quelle cose lei sarebbe mai riuscita a vederle, e se Ie sarebbero piaciute; o se, dopo averle viste, non ne avrebbe provato una gran delusione, e non avrebbe avuto altro desiderio che ritornarsene al più presto nella sua foresta, dove si era in pochi, e tutti si conoscevano e sapevano tutto di tutti gli altri, ma dove ci si poteva sdraiare sull'erba e guardare in su il cielo pulito e ascoltare il silenzio, oppure correre con gli amici fra gli aIberi e sulle pietre dei torrenti, senza che nessuno ti potesse dire che lì il transito era vietato e che si trattava di una proprietà privata.

Poiché la piccola comunità viveva ancora secondo le leggi antiche e semplici dei nuclei primitivi, dettate dalle esigenze della sopravvivenza e non da complessi organismi burocratici. Tutto apparteneva a tutti; se due si piacevano andavano a vivere insieme, si amavano e procreavano, senza altra preoccupazione al mondo che quella di dare un riparo e del cibo ai loro figli; e Ie comodità delle abitazioni e i pasti favolosi di cui raccontavano i viaggiatori provenienti dalle città sembravano cose di un altro mondo, di un'altra dimensione in quel luogo in cui qualsiasi folto ramo o qualsiasi grotta fungeva da ricovero, e in cui Ie bacche e i piccoli animali costituivano l'unico cibo. Jessica era felice di questo suo mondo. Era felice quando, da bambina, giocava a prendersi con i suoi piccoli amici, e si spruzzavano l'acqua addosso a vicenda mentre attraversavano di corsa il torrente e si picchiavano per un nonnulla perché era così bello, litigarsi o picchiarsi e poi fare la pace di nuovo. Ed era ancora felice quando, anni dopo, il suo corpo si era sviluppato e snellito, e i suoi occhi si erano fatti più luminosi e più dolci, e i suoi piccoli amici, che erano anch'essi cresciuti, incominciavano a guardarla con quello sguardo speciale che vuol dire che una bambina non è più una bambina ma è diventata una grande.

Di tutti coloro con cui un tempo aveva giocato, Jessica era sempre stata particolarmente affezionata ad Alan e a Piero. Le botte che quei due si erano dati un giorno che lei aveva rifiutato di giocare con uno per andare a giocare con l'altro, erano rimaste memorabili nel bosco e se i genitori di entrambi non fossero tempestivamente intervenuti chissà quando avrebbero smesso. E Alan e Piero avevano poi finito per decidere che in fondo non valeva proprio la pena di prendersela tanto, dal momento che, giocando tutti e tre insieme, avrebbero perfettamente potuto risolvere la situazione. Così Jessica, Alan e Piero erano praticamente cresciuti assieme, e non era mistero per nessuno, nel villaggio, che I'amicizia dei due maschi per Jessica stava diventando qualcosa di diverso, e che prima o poi sarebbe successo qualchecosa di brutto.

In realtà, qualcosa di molto brutto successe prestissimo, e sconvolse non solo la vita del tre amici ma quella di ogni abitante del villaggio: l'arrivo degli invasori.

La prima astronave non fu, all'inizio, che un folle rumore, mai sentito prima, che nasceva fievole di lontano e piano piano ingigantiva fino ad assordare. Poi fu un'ombra che passò sul villaggio, e tutti saltarono fuori e guardarono in su e videro quella strana macchina volante con quelle luci di tutti i colori che scendeva adagio nello spiazzo ai margini della foresta. Jessica ed Alan e Piero, manco a dirlo, furono i primi a correre sul posto, ma, come tutti gli altri, rimasero prudentemente nascosti dietro ai cespugli. Poi il rumore si spense di botto e gli subentrò un silenzio che, forse perché veniva subito dopo un rumore così forte, parve a Jessica mille volte più sinistro e più gelido di quello di prima. E, nel silenzio, qualcosa si mosse nell'oggetto, e alla luce del sole emersero due cose che erano certamente le più disgustose e incredibili che Jessica si fosse mai aspettata di vedere.

Le cose si mossero lentamente vicino all'oggetto, e poiché emettevano dei suoni che avrebbero ben potuto essere parole di un linguaggio sconosciuto, si cominciò a sospettare che non si trattasse veramente di cose ma di speci di esseri raziocinanti, probabilmente scesi da chissà quale remoto pianeta. Gli anziani del villaggio si consultarono febbrilmente a bassa voce, e si decise che, anche se erano di aspetto così repellente, quelli erano con ogni probabilità degli esseri civili, e che la cosa più sensata era cercare di farseli amici. Fu stabilito che il vecchio Tarò sarebbe andato avanti a porgere loro il benvenuto a nome della collettività. Lentamente e coraggiosamente, egli lasciò i cespugli e si avanzò nella radura, e andò a fermarsi a una decina di metri dalle cose.

E le cose lo videro. Rimasero un attimo perfettamente immobili, poi una delle due fece un rapido gesto e ci fu una luce accecante e il vecchio Tarò spiccò un balzo su se stesso, ricadde, tornò a balzare su, ricadde di nuovo e rimase immobile, con il ventre squarciato, mentre il suo sangue arrossava l'erba e rapidamente scompariva nei mille buchi del terreno. Jessica soffocò a stento un urlo di spavento e subito si sentì afferrata e trascinata via con uno strattone e vide solo, nella sua fuga disordinata, gli altri che fuggivano accanto a lei, impazziti dalla paura al punto che neanche osavano voltarsi per vedere che cosa succedeva nella radura.

Quella sera, nella grotta dei genitori di Jessica, vi fu una tempestosa riunione. Il parere di Alan, come di molti altri giovani, era che bisognasse immediatamente fare qualcosa per cacciare via gli invasori, o quanto meno per informare Ie altre comunità del pericolo che minacciava l'intero pianeta. Ma i vecchi, più saggi e più obiettivi, rispondevano che non c'era nessuna possibilità di aver ragione di esseri così crudeli e stupidi che uccidevano prima di parlare; e che, quanto a dare l'allarme, nessuno di loro conosceva la strada per arrivare alle città, e che si sarebbe quindi dovuto aspettare l'arrlvo di qualche viaggiatore. Alla fine, i giovani si rassegnarono ad accettare la validità delle ragioni dei vecchi, e tutti andarono a dormire con una grande paura nel cuore.

Da quel giorno, la vita non fu più la stessa. Altre astronavi scesero vicino alla prima, e ne scesero dei mostruosi macchinari e delle altre cose, non meno ripugnanti e non meno cattive delle prime due. E le macchine si muovevano da sole, ed abbattevano gli alberi, e distruggevano i cespugli, e sconvolgevano dal profondo la terra di Jessica e dei suoi; ed essi non potevano fare altro che assistere impotenti, poiché, ogniqualvolta uno di loro si avventurava allo scoperto o non si nascondeva abbastanza rapidamente all'avvicinarsi di una cosa, faceva la stessa fine orribile del vecchio Tarò.

Piero ed Alan erano tutti e due della teoria che Ie cose fossero degli extraterrestri, e che costituissero la pattuglia di invasione di una razza che mirava ad impadronirsi dell'intero pianeta; e ohe i lavori che stavano facendo nella foresta non servissero che a costruire una specie di testa di ponte da cui muovere poi alla conquista dei paesi circostanti. Quando i due amici parlavano, Jessica ascoltava per un po' i loro discorsi, e ben presto ne perdeva il filo, e ritornava suo malgrado col pensiero al vecchio Tarò che balzava in aria colpito a morte perché aveva voluto dire una parola di benvenuto agli stranieri.

Poi, Ie cose sembrarono quietarsi. Una vasta parte della foresta era diventata una immensa striscia fredda di cui si scorgeva, stando sulI'orlo, la sponda opposta, ma non il principio e la fine. Una parte del villaggio era stata cancellata, ma gli abitanti avevano costruito un po' più in là Ie loro dimore. Dalla città non era più arrivato nessun messaggero, e se ne era dedotto che gli extraterrestri avevano probabilmente condotto oltre la loro opera di distruzione e di conquista. Le cose se ne erano andate; e solo il fatto che lungo la Striscia era un continuo viavai delle loro incredibili astronavi, che passavano velocissime e subito scomparivano, stava a testimoniare che tutto non era stato solo un bruttissimo sogno. Con l'allontanarsi del pericolo e il passare dei giorni, ci si abituò all'idea, e a poco a poco la vita nel villaggio riprese il suo corso regolare, e gli antichi problemi ritornarono a galla.

Le cose avevano sconvolto la foresta ma rispettato il torrente; in un'ansa di questo si era formata negli anni una piccola spiaggia, e due grandi rocce, cadute una sull'altra, formavano una specie di riparo naturale. Qui, in un torrido pomeriggio d'estate, Jessica, convinta di essere sola, si era tuffata nell'acqua limpida, aveva nuotato un po' su e giù, e poi era uscita e si era sdraiata sulla sabbia, e stava così ad occhi chiusi, distesa sulla schiena, ad asciugare lentamente, poiché amava la carezza del sole che percorreva il suo corpo nudo, e scivolava, a ritmo con il respiro di lei, sul suo ventre palpitante. Ma, dall'altra parte del torrente, Alan guardò quel corpo arrovesciato nel sole, e sentì nascere dentro di sè un nuovo desiderio, che lo sconvolgeva fin nel più profondo del suo essere.

Silenziosamente, passò di pietra in pietra, fino a giungere su quella che proteggeva la piccola spiaggia dalla vista dalla foresta. Poi spiccò un grande salto e piombò su di lei, e fu tutto un rotolare dei due corpi nella sabbia che si infilava negli occhi, e morsi e graffi e gusto del sangue e desiderio. Poi Alan, che finalmente era riuscito a schiacciare Jessica contro il suolo e ad immobilizzarla, sentì un forte colpo sulla schiena, che lo scaraventò lontano. E quando riuscì di nuovo a vedere qualcosa, vicino a Jessica c'era Piero che lo guardava con odio, e questa volta fu subito chiaro che la loro amicizia era finita, e che non era più come tanti anni prima quando Jessica si era rifiutata di giocare con uno di loro, ma che questa volta uno dei due doveva sparire.

Fu Jessica che si mise in mezzo a loro, e li supplicò di calmarsi, e di aspettare, e promise che avrebbe riflettuto, e che avrebbe scelto uno dei due. Ma Alan e Piero non avevano la pazienza di aspettare; e, lealmente, risolsero di giocare Jessica contro la loro vita.

Giunsero dunque sul bordo della Striscia. Alan e Piero guardarono Jessica, poi, con passo fermo, lasciarono il sicuro ciglio erboso e camminarono avanti, con i muscoli tesi e i riflessi pronti a scattare; ben consci entrambi che da un momento all'altro avrebbero potuto essere spazzati via dalla morte, ma ben decisi a non ritornare indietro se prima l'altro non avesse rinunciato a Jessica. Jessica, sull'orlo, li guardava avanzare passo dopo passo, ed una mano gigantesca Ie stringeva il cuore fino a spezzarlo.

Lontano nacque il rumore e rapidamente si avvicinò; Alan e Piero si trovavano ora a pochi passi di distanza l'uno dall'altro, e tutto avvenne con la velocità del pensiero. Piero si buttò in avanti, Alan fece un balzo indietro, fra loro si insinuò fulminea un'ombra scura e il rumore si spense lontano.

Jessica tremava. Grosse gocce di sudore Ie scivolavano dalla fronte, scendevano agli occhi, si riunivano alle lacrime e fitte cadevano al suolo. Piero intanto aveva ricominciato a camminare, i denti stretti, ed era quasi arrivato alla sponda opposta; Alan lo seguiva a pochi passi.

Questa volta non ebbero neanche il tempo di avvertire il nuovo fragore che subito fu di loro: Alan fu proiettato a molti metri di distanza, e Jessica urlò quando vide che cosa era rimasto di Piero. Urlò, ed urlò, e si precipitò follemente in avanti, e non vide l'ombra che calava su di lei; sentì solo un rumore stridente che Ie penetrò nel cervello una frazione di secondo prima di quel tremendo colpo in testa. Dopo, non ci fu più niente.

...

L'ingegnere scese dalla Fulvia, e passò dietro per vedere che cosa diavolo era stato quel botto contro la carrozzeria.

- E allora?- gli gridò la moglie, che era rimasta al suo posto.

- Guarda - rispose l'ingegnere facendo capolino dal finestrino, e reggeva per Ie orecchie la bella lepre che il paraurti aveva colpito al capo, uccidendola sul colpo - E' incredibile quanto siano stupidi questi animali: ti si buttano sotto Ie ruote. E ce ne sono parecchi su questa nuova autostrada.

- Ottimo, comunque - ribattè la signora - La portiamo ai Rossi al posto dei cioccolatini. Dài, che se no facciamo tardi.

L'ingegnere aperse il portabagagli, ci buttò dentro il corpo della povera Jessica e risalì in macchina.

La Fulvia ripartì.

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