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QUI SI VEDONO GLI EFFETTI / DI FILIPPO MARINETTI...

"...singolare personaggio / non si sa se pazzo o saggio

che sconvolge come un vento / un bel po' di Novecento,

funzionando da apripista / del vangelo futurista".

A dispetto di tale incipit , non saranno queste brevi note a pretendere di spiegarvi chi sia stato e che cosa abbia significato nella storia della cultura italiana Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), scrittore + poeta + uomo di cultura = Motore Posssssente + volààààno del movimento futurista (la soppressione degli avverbi e delle congiunzioni, e l'uso delle onomatopee e dei segni matematici in funzione di punteggiatura erano solo alcune delle caratteristiche delle sue "parole in libertà").

Di questo singolare personaggio, in verità, chi scrive ha una conoscenza poco più che scolastica, e comunque insufficiente per poterne parlare ex-cathedra ; si limiterà quindi a darvene un sommario "digesto", rinviando chi ne voglia sapere di più sull'argomento a un volume di grande formato che, se non è il più recente, è però il più copiosamente illustrato: Filippo Tommaso Marinetti (Edizioni La Nuova Italia, Roma, 1988), autrice quella stessa Claudia Salaris cui si deve anche una esauriente Bibliografia del futurismo (Edizioni del Vascello - Stampa Alternativa, Roma, 1988).

Marinetti Filippo Tommaso, dunque: personaggio contraddittorio e poliedrico di ardua definizione, interventista + polemista + narcisista, al cui attivismo ed esibizionismo intellettuale mancò soltanto la cassa di risonanza della televisione. (Cosa non sarebbe stato capace di combinare Marinetti se avesse avuto a disposizione una platea come quella televisiva e una "spalla" come Maurizio Costanzo? E viceversa, come non avvertire l'incombere, sulle provocazioni e sulle esibizioni dei tanti presenzialisti e opinionisti dei salotti televisivi, dell'ombra immensa e geniale del Nostro?).

La televisione, se avesse fatto in tempo a conoscerla, avrebbe del resto suscitato in Marinetti gli stessi divampanti entusiasmi che suscitarono in lui la luce elettrica, l'automobile, la radio, il telefono e tutte le altre invenzioni di cui, fin dalla culla, il nostro secolo fu così prodigo. Entusiasmi che lo indussero a ripudiare, con una buona dose di irruenza, tutto ciò che apparteneva al passato, per ipotizzare una nuova forma di arte proiettata verso il futuro ( = FUTURISMO): un'arte che in modo programmatico frantumava tutti i codici espressivi esistenti, eleggendo a suoi numi tutelari da un lato la velocità e dall'altro la totale libertà ( = ANARCHIA ! ! ! ) di Colori + Suoni + Numeri + Lettere dell'alfabeto.

Nella Storia della Letteratura Italiana, Marinetti fu accolto quasi sempre come un cane in chiesa, e per lo più liquidato in poche righe, con un sarcasmo e una sufficienza che non riuscivano a nascondere il fastidio. Salvo poi, nel calderone ribollente delle mode culturali, essere periodicamente riabilitato e portato alle stelle come il padre di tutte le avanguardie, e l'artefice del rinnovamento dell'intero Novecento italiano: come è avvenuto, ad esempio, negli ultimi anni, che hanno visto il fervore marinettiano montare in una ondata di piena, raggiungendo molto spesso il livello del culto.

Ma perché dunque ci occupiamo, in questa sede, di Marinetti? Intanto perché è trascorso da poco il cinquantesimo anniversario della sua morte, e questo anniversario è passato sotto un relativo silenzio: un silenzio che sembra altrettanto ingiusto di quanto sembrò eccessivo il gran parlare che di Marinetti si fece qualche anno fa, in occasione della mostra Futurismo & Futurismi, tenutasi a Palazzo Grassi a Venezia nel 1986 (con un massicio catalogo dallo stesso titolo, al quale pure si rimanda chi voglia saperne di più). E poi, soprattutto, perché l'argomento ci consente di tornare a ribadire una opinione già espressa altre volte, anche su queste stesse pagine: e cioè che da almeno cent'anni a questa parte ogni movimento artistico e figurativo trova puntuale riscontro nei coevi libri illustrati per l'infanzia.

Solo in quelli per l'infanzia? Beh, non proprio. In realtà, esistono anche un certo numero di libri illustrati "adulti" di chiara ascendenza futurista, il più straordinario e provocatorio dei quali è probabilmente l'edizione su "litolatta" ( = libro composto da fogli metallici litografati a colori) de L'anguria lirica di Tullio d'Albisola, con copertina e illustrazioni di Bruno Munari. Tuttavia, nella storia del Futurismo manca un vero e proprio capitolo dedicato all'illustrazione, come del resto manca, nella Storia dell'Illustrazione, un vero e proprio capitolo dedicato al Futurismo: e ciò è abbastanza strano, perché c'erano almeno un paio di premesse per le quali sarebbe stato lecito aspettarsi che i futuristi occupassero, nella Storia suddetta, un posto di molto maggiore rilievo.

Prima premessa: è abbastanza universalmente riconosciuto, al di là dei gusti e delle valutazioni personali, che, delle varie direzioni in cui il Futurismo allungò le sue braccia (letteratura, musica, spettacolo, arti figurative, arti applicate), quella in cui impresse il proprio segno in modo più indelebile e duraturo fu proprio la pittura: le opere di Umberto Boccioni, di Giacomo Balla, di Carlo Carrà, tanto per citare solo i nomi più noti, gettarono un ponte ideale fra il simbolismo del primissimo Novecento e la grande stagione delle avanguardie, aprendo la strada al dadaismo, al surrealismo, e a chissà quanti altri "ismi". Tuttavia, stranamente, nessuno di questi pittori si dedicò mai seriamente alla grafica e all'illustrazione; e lo possiamo verificare sfogliando i volumi di cui si è fatto cenno, in cui troviamo poco più che alcuni schizzi di Francesco Cangiullo, alcune composizioni di Balla e di Depero, e soprattutto alcune copertine di Bruno Munari e di Enrico Prampolini: due autori che tuttavia dal Futurismo presero solo le mosse, per approdare poi ad altri territori, più vicini all'estetica astrattista (Munari) o déco (Prampolini).

Seconda premessa: come si è già detto all'inizio, fra gli stilemi futuristi ci fu l'utilizzo anarchico e provocatorio, oltre che della sintassi, dei caratteri tipografici: donde il massiccio ricorso a tutta una serie di soluzioni (l'uso improprio delle maiuscole, la confusione dei "corpi" e dei "caratteri", l'impaginazione sghemba e il gioco dei contrasti fra il bianco del foglio di carta e il nero dell'inchiostro tipografico) che servivano sì a scardinare le regole letterarie ma anticipavano al contempo le ricerche formali ed espressive della grafica moderna. Sicché, da un certo punto di vista, si potrebbero anche considerare certe "pagine" futuriste come delle vere e proprie illustrazioni, se non fosse che paradossalmente manca loro proprio la cosa più importante, e cioè "la figura".

Come che sia, la storia del libro illustrato futurista resta ancora tutta da scrivere, e questa non è certo la sede più adatta per tentare di farlo. Ci limiteremo qui invece ad esaminare alcune "citazioni" divertenti (e divertite) del "credo" marinettiano nell'editoria per ragazzi: all'interno della quale, negli anni venti e trenta, non furono in pochi a raccogliere la componente ludica della rivoluzione futurista (particolarmente evidente in Depero, e negli epigoni dadaisti d'oltralpe), e a servirsene, pur piegandola e volgarizzandola "ad usum Delphini ", per rinnovare una tradizione figurativa ancora troppo spesso ancorata a codici ottocenteschi.

Ecco dunque, ad esempio, la copertina di Ipergenio il disinventore di Giovanni Bertinetti (Torino, Lattes, 1930), disegnata da Golia, con un gioco centrifugo di geometrie e di colori che scaturiscono dalla silhouette "in negativo" di una Macchina-Moloch (copertina che curiosamente si colloca molto più all'avanguardia delle pur interessanti illustrazioni interne).

Ecco, negli stessi anni, una intera collezione di libri per ragazzi di Bompiani, I libri d'acciaio, che hanno una copertina, appunto, di simil-acciaio (non certo immemore delle coeve "litolatte" futuriste), nonché un foglio interno di sguardia (quello che collega la copertina con il volume vero e prorio) che, ammassando tutti i simboli contemporanei della velocità e del progresso, rappresenta una sintesi efficace di certo "modernismo" dell'epoca.

Ecco infine (ma il gioco potrebbe continuare a lungo) i contributi di Bruno Angoletta e di Carlo Bisi, due dei principali collaboratori del "Corriere dei piccoli" (un giornale che portò avanti per almeno cinquant'anni un serio discorso di svecchiamento, sul piano formale, del gusto dei ragazzi italiani; e basti ricordare i pluridecennali contributi di Sergio Tofano e di Antonio Rubino).

Bruno Angoletta, autore sul "Corrierino" delle storie di Marmittone, inserisce ad esempio, fra le illustrazioni di Storia di formiche di Adone Nosari ("Bibliotechina della Lampada", Mondadori, Roma, 1921) un paio di illustrazioni ("La battaglia aerea" e "...sdrucciolò su di un'ala...") che non sfigurerebbero affatto in un libro futurista. Mentre con Tompusse e il romano antico di Mario Buzzichini ("La scala d'oro", Torino, UTET, 1932) Carlo Bisi (autore sul "Corrierino" delle storie di Sor Pampurio) si trova a illustrare una storia (quella di un soldato romano che torna in vita nei tempi moderni) che verte proprio sul gioco dei contrasti fra il passato e il futuro; e ne approfitta per abbandonarsi ad una giocosa orgia di citazioni, appropriandosi di tutta una serie di stilemi futuristi (e più genericamente modernisti): grattacieli + onde radio + aerei + piroscafi + fili del telegrafo + macchine industriali + cinematografo + sgomento & ammirazioooohhne dell'antico romano ( = PASSATO ! ! ! ) di fronte alle Meraviglie del Mondo Moderno ( = FUTURO ! ! !).

Con questo libro siamo già comunque al di là del Futurismo, sia dal punto di vista dei contenuti (che appartengono inequivocabilmente al territorio della parodia) che dal punto di vista della grafica (in cui certe asprezze futuriste già si stemperano in un più cattivante gusto déco ).

Per la verità, negli anni in cui Bisi lo prende affettuosamente in giro con le illustrazioni di Tompusse, Filippo Tommaso Marinetti, vecchio leone mai domo, è ancora sulla breccia, e si accinge, pur con qualche difficoltà di convivenza con l'"asse" nazifascista, a teorizzare l'"aeropittura dei bombardamenti" e l'"aeropoesia di guerra". Ma l'età d'oro del Futurismo è ormai inequivocabilmente finita, lasciando sulla superficie inizialmente stagnante della cultura del Novecento una serie di cerchi concentrici che si vanno sempre più allargando: e che, piaccia o non piaccia, non possono essere ignorati da chiunque voglia scrivere alcunché sulla storia di questo secolo che volge al termine.

(LG Argomenti, gennaio-marzo 1996)

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