Dicono di lui --> Nocturno

L'intervista di "Nocturno"

A cura di Roberto Curti
con la collaborazione di Davide Pulici

Milano, libreria 'La Sherlockiana', undici del mattino. Gli appassionati che entrano alla spicciolata in questo tempio del romanzo giallo guardano con una certa curiosità il piccolo gruppo di persone appostate in un angolo dietro al bancone, seminascoste dalle pile di libri, che paiono intente in qualche oscura cospirazione, impegnate come sono in un confabulare fitto fitto, registratore alla mano. Eppure, alla 'Sherlockiana' il mistero è di casa, si sa. Tra coloro convenuti qui oggi, molti sono abituali frequentatori del newsgroup 'it.discussioni.giallo': la presentazione del nuovo romanzo di Corrado Farina, GIALLO ANTICO, è dunque un'occasione per conoscere di persona quelli che altrimenti sarebbero rimasti semplici nomi o nicknames. Farina è un habituée del newsgroup, ed è stato proprio lì, in quello spazio virtuale, che ho fatto la sua conoscenza -del tutto casuale, impegnato com'ero a ricercare maniacalmente tutto lo scibile sul mio adorato John Dickson Carr - imbattendomi in un suo lungo, puntiglioso, documentatissimo post sulle apparizioni italiane del Dick Tracy di Chester Gould nel corso degli anni. L'ho contattato, gli ho fatto i complimenti per i suoi due film. Quelle Fiat 500 che popolavano il parco della villa di HANNO CAMBIATO FACCIA sono sempre state lì, in qualche recesso della mia memoria, fin dai tempi della prima, casuale visione -in età prepuberale- di quello strano film su una tv locale; e che guizzo al cuore, più di recente, nel ritrovare in una videoteca di Bolzano, la videocassetta tedesca del film, WETTLAUF GEGEN DEN TOD, camuffata - grazie ad una fascetta demenziale -da dozzinale thriller urbano d'azione. Farina, sorpreso e lusingato ("i miei film li han visti quattro gatti, fa piacere conoscerne uno"), si è mostrato subito disponibile ad un incontro; l'occasione della sua venuta a Milano era di quelle da non farsi scappare.

Oggi Corrado Farina è un distinto signore di mezz'età, dalla voce forte e sicura; parla di buon grado del suo passato di regista, col sorriso sulle labbra e la battuta pronta anche di fronte agli episodi più amari. Dapprincipio - sarà forse per quello sguardo attento e vigile, oppure per la 'r' calcata, aristocratica -mette soggezione, poi il fluire dei ricordi e degli aneddoti rapisce noi e lui, e tutto il resto - il telefono che squilla, la libreria che lentamente si riempie - svanisce, proprio come uno dei fondali del suo amato LE BELLE DELLA NOTTE di René Clair.

INTERVISTA A CORRADO FARINA

Possiamo cominciare parlando degli inizi, di come si è avvicinato al lungometraggio...

Al lungometraggio sono arrivato dal cortometraggio, come spesso succede; al cortometraggio sono arrivato con l'8mm. in modo del tutto casuale, per fare qualcosa con amici in modo un po'divertente. Allora le cineprese erano molto scarse, c'era uno di noi che aveva una 8mm, così ho detto: "Be', produciamo un film" e l'abbiamo prodotto. Poi ne ho fatti parecchi altri, sono andato avanti all'interno della FEDIC (la federazione dei cineamatori, NdR) per un po'di anni, dal '58 al '63, e poco dopo mi sono messo a fare i caroselli per Armando Testa; quindi le due attività propedeutiche al lungometraggio sono state da un lato i film a 8mm fatti con amici -che erano comunque tutti film di fiction con attori, trame, sceneggiature ecc.- e dall'altro i caroselli. Per quanto riguarda i film, talvolta si trattava di operazioni "all'americana": ho ridotto per esempio un romanzo di Spillane, abbiamo fatto una cosa di fantascienza... e poi v'erano alcuni film invece più personali -non dico 'intimisti' perchè oggi come oggi è una parola inflazionata e anche un po' tristanzuola, ma più di riflessione, ecco.

Ho vinto un po' di premi, nel frattempo ho cominciato a fare i caroselli, sono andato avanti cinque anni, dal '63 al '68, a farli; poi mi sono reso conto che la pubblicità è un problema, perchè ti dà tanti soldi ma finisce per inglobarti, ed è faticosissimo dire "No, grazie" e andarsene, per cui con una certa fatica sono riuscito ad andarmene dallo Studio Testa -anzi, no, sono riuscito a farmi sbattere fuori (ride), a creare delle premesse per cui ad un certo punto sono stato licenziato. Devo dire che questi cinque anni sono stati anche fascinosi, perchè Armando Testa era una persona geniale; abbiamo litigato tutte le sere escluse le domeniche per cinque anni fino a che fino ad un certo punto abbiamo colmato la misura e c'è stata la rottura.

A quel punto sono andato a Roma per fare i film, che era quello che desideravo fare da sempre, però sono riuscito a farne soltanto due, che hanno avuto un discreto successo di critica: HANNO CAMBIATO FACCIA ha vinto il festival di Locarno nel '71, BABA YAGA non ha vinto niente. Me l'hanno tagliato, manomesso, insomma ha avuto un po' di traversie. Comunque HANNO CAMBIATO FACCIA doveva essere il cosiddetto "film d'autore" e come tale ha funzionato, tant'è che ha vinto Locarno ed altri premi minori, mentre BABA YAGA doveva essere il film "commerciale", oltretutto sfruttando e agganciandosi a quella che era la popolarità in quegli anni del fumetto di Crepax. Purtroppo non è riuscito a raggiungere il suo scopo, un po' per difetti suoi ma soprattutto -a prescindere dal fatto che fosse un film riuscito o meno, bello o brutto- per ragioni di distribuzione, che bene o male è sempre un momento capitale nella vita (o nella non-vita) di un film. Nella fattispecie, BABA YAGA era finito in mano ad un distributore che si chiamava 'Jumbo Cinematografica' e che in quel periodo stava cominciando ad avere delle difficoltà: fatto sta che è andato a picco trascinandosi dietro BABA YAGA, che non aveva la forza per tenere a galla una distribuzione. Il film avrebbe potuto vivere decorosamente, se solo fosse stato affidato ad una distribuzione che lo facesse circolare; purtroppo questo non è successo.

Ha parlato di 'manomissioni' del film. In che senso?

Dunque, il film durava - ho visto che voi siete molto attenti alle varie versioni, i vari interventi successivi delle varie copie ed edizioni dei film - dicevo, il film durava all'inizio qualcosa come un'ora e quaranta. Io l'ho finito, l'ho montato, l'ho dato al produttore, il produttore l'ha approvato dicendo "Che bello, che bello!" dopo di che sono partito, me ne sono andato una settimana in vacanza. Quando sono tornato il produttore mi ha chiamato e mi ha detto: "Ah, sai, guarda che abbiamo tagliato mezz'ora di film". Ho detto: "Scusa, non ho capito bene... " (ride). "Mah, sì, perchè l'abbiamo fatto vedere a qualcuno, ha detto che era lento, e allora abbiamo..." Dico: "Cosa avete tagliato? La copia?" "No, no, abbiamo tagliato il negativo." "Bene," dico io, "prendo nota del fatto, magari se me lo dicevate prima..." "Be', comunque stai tranquilllo perchè adesso è molto meglio." (ridacchia). Io dico: "Vabbè, ma non pensate che forse il regista aveva qualche obiezione da fare, qualche cosa da eccepire?" "Guarda, se adesso pianti grane ci rimetti soltanto tu perchè ti fai la fama del piantagrane... tanto ormai è fatta, il negativo è tagliato, per cui stai zitto e buono." Sostanzialmente il concetto era questo. Io sono uscito da lì, sono andato all'ANAC, all'associazione degli autori a sentire un po' cosa ne dicevano loro, poi sono andato da Tinto Brass che era - ed è tuttora (ride) - un professionista delle liti coi produttori per ragioni di manipolazione dei film, dopo di che sono andato all'ANSA, ho fatto un bel comunicato stampa in cui dicevo: "E' successo questo, questo e questo, di conseguenza io mi dissocio dal film" che era, come sapete, l'unica cosa che il regista può fare, non avendo nessuna proprietà sul film. I quotidiani, il giorno dopo, hanno dato grande rilievo a questo comunicato stampa, i produttori hanno iniziato a preoccuparsi e mi hanno richiamato: "E che è tutto 'sto casino, in fondo che è successo?" io dico: "Mah, è successo che avete preso una roba e l'avete fatta a pezzi, e 'nun se fà' come si dice a Roma." "Allora facciamo così: ti rimettiamo in mano il negativo tagliato e lo ricostruisci come vuoi tu." "Ragazzi, ma stiamo scherzando? Non è che siamo al mercato... 'facciamo due etti di più, due etti di meno..." (ride) Adesso ve la racconto col sorriso sulle labbra, ma non era stata piacevole come esperienza. A quel punto ho incontrato il mio montatore, Giulio Berruti...

Che è stato anche cosceneggiatore...

Cosceneggiatore e montatore dei miei due film nonchè regista di un paio di film che voi probabilmente conoscete (Noi siam come le lucciole e Suor Omicidi, NdR). Gli ho detto: "Non me ne importa più niente, io vorrei ricostruirlo, però tutto sommato questi tagli..." In alcune cose non era ricostruibile, perchè essendo stato tagliato il negativo non si potevano fare dei salti a metà di un'inquadratura o cose di questo genere. Allora abbiamo combinato assieme a Giulio tutta una serie di cose: "Reinseriamo questo, reinseriamo questo, lasciamo perdere quest'altro..." dopo di che io me ne sono andato, Giulio l'ha rimontato, c'è una versione rivista e rifatta che ha curato lui, e questa è la terza versione. La prima, che io sappia, non esiste più di sicuro, credo neanche la seconda: l'unica che circola è questa che dura un'ora e venti. Alla fine sono andati perduti venti minuti di film.

Ma cosa è stato sacrificato?

Sostanzialmente tutta una lunga -cinque minuti- sequenza introduttiva, un happening di Valentina e dei suoi amici della Milano radical chic che usciva dalle cose di Crepax in un cimitero abbandonato, dove incidentalmente c'era - e credo sia rimasto in un pezzettino corto corto- Franco Battiato che interpretava la figura del santone hippie. Era un'idea divertente... Però c'era tutto un dialogo di tipo sessantottino (allora si era nel '72, eravamo ancora pieni di quei concetti), un discorso sul generale Custer, su questi intellettuali che giocavano a fare gli indiani e i cowboy e cose di questo genere, che era un po' lungo - o meglio, non era essenziale- ma serviva a introdurre il contesto socioculturale in cui Valentina si muoveva. Dunque, BABA YAGA iniziava in una maniera che a voi sarebbe piaciuta: si vedeva questo cimitero abbandonato, gufi, civette (tra l'altro siamo venuti a Milano per avere la nebbia, era dicembre, ma manco a parlarne, abbiamo dovuto fare tutto coi fumoni)... improvvisamente apparivano in primo piano due gambe femminili, le gambe di un'indiana: si vedeva un'indiana -il cimitero era chiaramente italiano o comunque occidentale- a seno nudo, con l'aria dell'animale inseguito e impaurito. Lei si guardava attorno, scappava e c'erano i cavalleggeri che la inseguivano, la raggiungevano e cominciavano a violentarla (o meglio, a fingere di violentarla); nel mentre arrivavano gli altri in motocicletta e diventava un happening. E questo era divertente, perchè era un gioco di spiazzamento: partire da una direzione e poi scoprire che... e tutto questo è sparito, praticamente. Dopo di che, alla fine di questa lunga sequenza, il gruppo andava via in motocicletta e raggiungeva una villa che è poi quella che c'è adesso all'inizio del film. Tutto questo è rimasto in flashes mescolati ai titoli di testa, intervallati ai cartelli con i titoli su disegni di Guido Crepax; a posteriori, con Giulio, avevamo deciso di farne una cosa più disarticolata riprendendone dei pezzi, e mi sembra di ricordare che se c'è un tizio con un camicione lungo visto in controluce coi capelli bianchi, beh, quello è Franco Battiato, come peraltro c'è, se l'avete riconosciuto, Michele Mirabella. Queste sono le manomissioni, questa è la terza versione e credo che sia l'unica esistente. I negativi non so dove siano finiti; alcuni pezzi dei positivi erano rimasti in mano mia e li ho regalati a qualche museo del cinema, di una persona che avevo conosciuto per ragioni di fumetti che si chiamava Camillo Moscati: esiste una cosa che si chiama 'Cartoon Museum' proprio qui a Milano, credo. Gli ho dato questi pezzi e l'ho anche un po' rimpianto, comunque ci sono, da qualche parte. Però sono alcuni dei pezzi, non i blocchi tagliati, che erano stati massacrati.

Più avanti nel film ci sono altre scene che lei ricorda essere state tagliate? Perchè c'è una famosa scena che dovrebbe essere stata censurata nella versione italiana ma non in quella estera, in cui si vede un nudo frontale della Carroll Baker.

Se all'estero esiste, non lo so. Io l'ho girata quella scena. Però non è mai arrivata neanche alla prima copia, perchè questo non era un taglio fatto da quel lazzarone di un produttore, ma dalla commissione di censura, che mi chiese due tagli: uno era il nudo frontale integrale di Carroll e l'altro era il nudo frontale integrale di Isabelle De Funes, quando la mattina si svegliava e dopo arrivava l'amica per fare le fotografie...

L'amica era Angela Covello...

Sì, sì, quella delle fotografie salgariane. Carroll invece è rimasta nel montaggio. Si vede lei in figura intera, di fronte, che inizia a slacciarsi la vestaglia e ad aprirla, poi si va di controcampo alle spalle e non ce l'ha già più, la vestaglia. L'inquadratura precedente è stata tagliata dalla censura. Io non lo so se esista altrove, mi piacerebbe saperlo. Però potrebbe anche essere, in fondo: era stato sicuramente fatto un controtipo prima del passaggio in censura.

Di solito accadeva che si facessero versioni un po' più spinte per alcuni mercati...

Questo accadeva negli anni '50...

Ancora negli anni '70...

Negli anni '70 si stavano quasi capovolgendo i termini, nel senso che ormai si poteva fare di più... Comunque è stata una bella esperienza, questa, perchè oltretutto io non glielo avevo chiesto a Carroll di fare un nudo integrale (ride). Ad un certo punto dovevamo girare la scena di lei che discute con Valentina, e Carroll mi fa: "Scusa, guarda un po' se va bene" e si apre la vestaglia (ride). "A me va benissimo! Sono spiacente di dover considerare la cosa da un punto di vista professionale, comunque va benissimo..." (ride). Non so bene, forse si era messa d'accordo con la truccatrice, poi chiaramente io non mi son certo tirato indietro all'idea... (ride). Non mi sembrava importante, ecco, per me non era una cosa essenziale... comunque era stato un taglio 'a monte'. Semmai si scoprisse che esiste la rivedrei volentieri, quella scena.

Comunque rispetto a HANNO CAMBIATO FACCIA giravano più quattrini, c'erano più possibilità produttive visto anche l'ingaggio di Carroll Baker...

HANNO CAMBIATO FACCIA era fatto con tre-lire-tre in cooperativa con amici, quasi come i film a 8mm, però con professionisti. Se non ricordo male costò 50 milioni. Fu girato a Torino, in trasferta oltretutto, quindi le diarie anche se ridotte all'osso avevano un peso.

Com'era nata l'idea di prendere la storia di Stoker e riproporla in questo contesto contemporaneo?

Era nata da un antico amore per i film di vampiri. Per il romanzo e per il cinema gotico, per Bava, per il Nosferatu di Murnau. Però era anche il 1969 quando si è iniziato a parlarne, quindi eravamo in piena bufera sessantottina e l'idea di incrociare la storia di Dracula con il clima sessantottina era venuta da una frase dall' Uomo a una dimensione di Marcuse che è anche citata alla fine: Il terrore, oggi, si chiama tecnologia. Terrore uguale a tecnologia, potere uguale a cosa? Allora ecco l'idea del vampiro uguale a potere, il vampiro poi succhia il sangue, e tutto il resto è venuto di conseguenza. Devo dire che se fosse stato fatto con maggior dispendio di mezzi e con maggiori possibilità di cast avrebbe potuto anche essere una cosa carina... è triste vederlo oggi così, in sostanza è un film tutto di concetto.

C'erano però delle idee visive notevoli, come le Fiat 500 nel parco...

Sì, erano le cose che si potevano fare senza spendere una lira e senza dei grossi attori, nonostante poi Celi funzionasse benissimo, e funzionava bene anche la segretaria di Nosferatu, Geraldine Hooper, una piccola attrice inglese, piccola nel senso che aveva sempre fatto particine.

Come l'aveva presa? Aveva un viso molto particolare...

Con la Hooper avevo fatto come aiuto regista un film che non è mai uscito che si chiamava -o meglio, si sarebbe chiamato SORTILEGIO.

Diretto da...?

Diretto da un certo Nardo Bonomi...

Ah...

Ah, ma allora voi conoscete tutti! (ride)

Sì, io avevo notizie della lavorazione di un SORTILEGIO attorno al '70.

Siamo nel '69, nell'autunno del 1969. La cosa più divertente di SORTILEGIO, al di là di Nardo Bonomi che non mi risulta sia diventato poi famoso, è che nel film c'era Marco Ferreri che stuprava Erna Schurer all'Orto Botanico di Roma (ride). Questa è stata la cosa più divertente, a posteriori, anche perchè poi Marco era uno che si divertiva a fare queste cose, non perchè ci guadagnava, per cui c'era andato giù pesante... (ride)

Ma che genere di film era? Un horror?

Stranissimo film. Era un horror, una cosa strana in cui c'era, se non ricordo male (ho la sceneggiatura da qualche parte) una donna in crisi col marito che fuggiva di casa ed incominciava ad avere allucinazioni, trovandosi in mondi onirici un po' stravolti. Alla fine si ritrovava in un castello dove c'era una setta satanica che faceva strane cerimonie... oggigiorno son cose viste e straviste, ma allora era una trovata interessante.

Il film era stato ultimato?

Ultimato, montato, non so se editato in tutto o in parte. Io come aiuto regista ho fatto soltanto tre film, di cui uno è uscito... (ride)

L'AMORE CONIUGALE di Dacia Maraini...

Quello. Un altro è stato girato, montato, editato, ma praticamente non ha circolato, ed era LA NOTTE DEI FIORI di Gian Vittorio Baldi, con Macha Meril, Dominique Sanda; il terzo, che forse non è stato neanche editato, è questo SORTILEGIO. Dopo di che c'è stata la possibilità, seppure nel modo avventuroso e semidilettantesco che vi ho detto, di girare HANNO CAMBIATO FACCIA, per cui non ho più fatto altre aiuto regie...

Per cui la Hooper sarebbe stata protagonista di questo SORTILEGIO?

No, la protagonista era Erna, che era la donna del produttore, che si chiamava Carlo...

.. Maietto...

Ma siete dei computer!(ride). Carlo Maietto, che stava ancora con lei; quando l'ha mollata si è messo, lo saprete benissimo, con Adelina Tattilo, anche perchè questo gli ha consentito di produrre altri film che non sarebbe riuscito a produrre. Maietto poi ha fatto altri film di genere trashoso, per così dire...

Ha prodotto anche STORIE DI VITA E MALAVITA di Lizzani.

Aveva prodotto anche un Lizzani, sì. Diciamo che era il periodo più infausto di Carlo, in quel periodo aveva fatto alcune cose per cui il fatto di fare un film con Maietto (ride) si inseriva in una fase non proprio felice...

E l'esperienza con Dacia Maraini...?

Era nata da Gian Vittorio Baldi, perchè il film era prodotto da lui. E' stata una bella esperienza, intanto perchè è stato l'unico film che ho fatto da aiuto regista ad essere arrivato nelle sale (ride).

Ma anche LA NOTTE DEI FIORI dovrebbe essere uscito...

Che io sappia no, o almeno, se è uscito ha avuto una circolazione estremamente limitata, a livello festivaliero o poco più; non credo sia passato nemmeno nel circuito dei cinema d'essai, che allora peraltro si limitava a qualche cineclub, il tipo di proiezione in cui arriva il regista con la pizza sotto il braccio... non si può chiamare circolazione, questa. L'AMORE CONIUGALE non mi sembra fosse un bel film, tutto sommato, però Dacia era una persona molto simpatica. Era stata una bella cosa, perchè siamo rimasti un mese e passa a Palermo, c'era Moravia che stava scrivendo Io e lui, di giorno scriveva mentre noi giravamo poi la sera si andava a mangiare tutti assieme, c'era Giulio Albonico che faceva la fotografia...

C'era Milian tra i protagonisti...

C'era Tomas che era anche simpatico, a modo suo, molto scorbutico. Ah, voi avete fatto una monografia su Tomas, giusto?

Sì, l'ha scritta Manlio Gomarasca, deve uscire a settembre, è una lunga intervista con Milian...

Ah, gliel'ha già fatta, sennò vi avrei detto di chiedergli cosa si ricorda. Io potrei raccontarvi -ma forse usciremmo un po' fuori tema- degli aneddoti su di lui, soprattutto sulla sua reticenza a fare scene di nudo integrale... (ride)

Sì, sì, questo l'ha detto...

E' stato molto divertente. Sembrava molto scorbutico Tomas, poi a starci un pochino insieme si scopriva una persona simpatica; anche Dacia sembrava una un po' così, molto sulle sue, ed invece era una persona molto alla mano con cui si lavorava e si dialogava molto volentieri. Giulio Albonico, Dacia e io eravamo soprannominati 'i tre porcellini' perchè Gian Vittorio all'epoca era sposato con Macha Meril e per ragioni familiari non voleva che Macha girasse scene erotiche con troppo impegnative, per cui c'era una specie di congiura tra regia, fotografia e aiuto regia per cercare di allontanarlo quando c'erano queste scene...

Torniamo un attimo a HANNO CAMBIATO FACCIA. A parte la Hooper, c'era il protagonista, Giuliano Disperati, che è apparso in qualche altra pellicola -lo ricordo in un poliziesco- con un diverso cognome...

Giuliano Disperati aveva cambiato il suo nome in Giuliano Esperati, perchè la parola 'disperati' (ride), considerando che la sua carriera stava andando in un modo un po' disperato, evidentemente gli sembrava un po' malaugurante. Però non è che la cosa gli abbia giovato più di tanto. Giuliano aveva fatto alcuni film con Piero Livi, che non credo fossero male...

Aveva fatto PELLE DI BANDITO...

Era il protagonista? Io Giuliano l'avevo conosciuto a Montecatini vedendo i film di Piero Livi, che erano film amatoriali, e di Adriano Asti. Non avevamo soldi, non potevamo pagare nessuno, così ho cominciato a chiamare quelli che conoscevo, come Geraldine, Giuliano... L'unico che non conoscevo era Celi, ma lì si trattava di una settimana di riprese, qualche lira l'abbiamo messa insieme, e poi non c'erano altri attori...

Una curiosità: chi è la ragazza che si vede all'inizio?

La hippie, quella che poi viene vampirizzata? Il suo pseudonimo era Francesca Modigliani, e come tale risulta nei titoli. Non era il suo vero nome, si chiamava Maria Grazia o Maria Laura o qualcosa del genere... non ricordo il cognome... ed era un'amica di Giulio. Ci voleva una persona disinvolta, simpatica, che fosse disposta a mettersi a seno nudo. Era nato in un modo molto 'barricadero', quel film.

Il rapporto di amore/odio con la pubblicità è messo in rilievo in entrambi i film: in HANNO CAMBIATO FACCIA ci sono quegli spot creati dal regista per Nosferatu, girati con stili diversi...

Assolutamente. Beh, questa è una mia costante. Avendo passato cinque anni nella pubblicità non posso liberarmene. Uno dei deuteragonisti del mio ultimo romanzo GIALLO ANTICO è un creativo dell'agenzia Testa, su cui ho scaricato (ride) tutti i miei ricordi e la mia ironia su certi aspetti dei creativi pubblicitari, idee che mi ero formato allora e che non sono più state smentite, anche se poi non ho più frequentato molto il mondo della pubblicità. Questa costante della pubblicità è un elemento ricorrente in tutte le cose che scrivo.

A proposito delle location di HANNO CAMBIATO FACCIA: dov'era quella villa con il parco?

E' stato girato tutto a Torino. Ma, non avendo soldi, l'esterno è una villa di amici sulle colline torinesi, l'interno è un'altra villa di amici all'interno di Torino, che non c'entrano niente l'una con l'altra, visto che l'interno è modernissimo mentre l'esterno è settecentesco (ride). Infatti ad un certo punto c'è una battuta che è stata messa soltanto per salvare la faccia, quando Giuliano dice: "Come mai questa villa al di fuori è così antica e dentro è così moderna?" e Geraldine risponde: "Noi non facciamo nessuna differenza tra presente e passato" (ride).

Comunque è molto suggestiva, con quella nebbia...

Ecco, quella è nebbia vera, quella mattina per combinazione c'era la nebbia: "Presto, presto, giriamo!" (ride) Bisognava correre come pazzi!

C'era poi l'idea dei vari accessori 'parlanti' della casa, la doccia...

Anche quello lì è il discorso della pubblicità. Ero appena venuto via da Testa per cui... un po' di cose sono state girate anche all'interno dello studio Testa.

E dopo la delusione di BABA YAGA cosa accadde?

Sono tornato alla pubblicità. Quello è stato il più grosso errore della mia vita, perchè mi sono scoraggiato dopo l'insuccesso commerciale di BABA YAGA -che nelle intenzioni doveva essere un film 'commerciale'- e ho avuto il torto di rinunciare a insistere nei tentativi. Così mi sono rimesso a fare pubblicità, dalla pubblicità son passato ai servizi giornalistici speciali coi telegiornali, poi ai film d'immagine, ai documentari e a tutta una serie d'altre cose. In questi vent'anni di allontanamento dal cinema più o meno forzato, ho però cercato di portare verso il cinema fantastico tutto ciò che facevo, per cui esistono dei documentari che sono in realtà dei piccoli film fantastici, come quello che ho girato per l'Alfa Romeo: è la storia di un'automobile che entra a Cinecittà per fare uno spot pubblicitario ma perde la strada per colpa dei cartelli indicatori errati e va a finire sul set dei vari film, venendo coinvolta nelle avventure che si stanno svolgendo. Questo peregrinare attraverso i vari set è una rivisitazione del cinema di genere, perchè c'è il film di vampiri, il fim di gangster, c'è DUEL, c'è 007, il musical...

Poi, quando mi è tornata la voglia di fare film era un po' troppo tardi, era passato troppo tempo. Questo è successo verso la metà degli anni '80, quando ho scrito un nuovo soggetto, UN POSTO AL BUIO. Appena scritto l'ho mandato soltanto a Franco Cristaldi, che me l'ha comprato e mi ha commissionato la sceneggiatura, dicendomi: "Facciamo il film quando hai finito la sceneggiatura". Poi sono successe delle cose per cui il film è andato a monte. Mi è rimasta lì la storia e il dispiacere per non essere riuscito a fare il film mi ha indotto a provare a scrivere un romanzo. Il merito in realtà è di mia moglie: "Perchè non provi?". Io non sapevo da che parte si cominciasse. "Ma come si fa a scrivere un romanzo?" "Boh, ti metti lì e..." Io mi son messo lì e ho scritto: "Era una notte buia e tempestosa" (ride). E l'incipit del romanzo è proprio questo. Poi sono andato avanti e ne è venuta fuori una storia di 250 pagine che, devo dire, mi sembra ancor oggi carina. UN POSTO AL BUIO avrebbe potuto -anzi, potrebbe- essere il terzo film che completa la trilogia. Come vedete, il mio è un'itinerario all'interno del cinema fantastico; purtroppo non riesco più a continuarlo sullo schermo e lo continuo con i libri, che nascono appunto come soggetti. HANNO CAMBIATO FACCIA è Dracula, in BABA YAGA ci sono riferimenti pesanti al Golem, anche se il film parte da una storia di Crepax, e UN POSTO AL BUIO è Il fantasma dell'Opera, portato negli anni '80, sostituendo al Teatro dell'Opera una vecchia sala cinematografica nel centro di Torino, realmente esistita, che è stata incendiata ed è rimasta per dieci anni abbandonata. Intorno a questo luogo fantastico abbandonato nel centro di Torino a due isolati da Porta Nuova, ho elaborato una storia in cui il vecchio direttore del cinema, scampato all'incendio ma dato per morto, il quale non vuole che il suo cinema venga trasformato in un supermercato, una banca o cose di questo genere, ammazza tutti quelli che stanno per comprarlo. Era il periodo in cui le sale cinematografiche morivano come mosche. C'è dunque questa serie di delitti che sono tutti diretti a difendere il cinema... perchè lui se lo viveva da solo, il cinema. Ecco il perchè del titolo, UN POSTO AL BUIO: perchè questo tizio si è rimesso a posto una poltroncina -il cinema è tutto sbarrato, ma lui s'è fatto un passaggio segreto- e proietta all'interno di questo cinema i film della sua collezione. La storia nasce da un incrocio tra il giallo-rosa alla Fruttero e Lucentini -il riferimento a Torino è pressochè d'obbligo, La donna della domenica soprattutto- e Il fantasma dell'Opera: è un giallo rosa dalle atmosfere decisamente noir, da Gotico, da Mario Bava. Se venisse filmato potrebbe venirne fuori una cosa molto carina.

Ma non ha pensato di riproporlo?

L'ho riproposto a cani e porci, però nessun cane e nessun porco mi ha dato la fiducia e i soldi necessari per farlo. Continuo a riproporlo. Adesso anche alla televisione, nonostante ciò mi sia costato parecchio, perchè sostanzialmente se voi leggete il romanzo vedete che è un atto d'amore verso il cinema e -parlare d'odio e di disprezzo mi sembra eccessivo- di disamore verso la tv.

Perchè questo disamore?

Per eccesso di amore per il cinema. Non puoi amare televisione e cinema contemporaneamente,. La televisione è un macellaio di cinema, un'impoveritrice di cinema. Tutte le volte che un regista di cinema va a fare una cosa in televisione ne esce fuori come se fosse passato sotto un rullo compressore. Sono due media diversi, che vanno affrontati sotto due ottiche diverse. Stiamo parlando di cinema-cinema, ovviamente; se poi uno guarda alla fiction televisiva allora è un altro discorso, abbastanza complesso. Comunque le cose fatte in doppia versione, cinema e tv, sono sempre state delle operazioni ibride, anche se questo lo faceva Ingmar Bergman. SCENE DA UN MATRIMONIO era una meravigliosa operazione televisiva, quando poi è diventata un film dicevi: "Ma che cavolo è?". O fai un film o fai delle cose per la televisione. Io ho sempre amato il cinema non solo per il fatto dello schermo grande, ma per il rapporto che c'è tra spettatore e schermo e per la sala buia, cioè per l'alchimia che si crea all'interno della sala cinematografica, che predispone all'evasione, al sogno, alla fantasia. Ecco quello che ho cercato di dire nel mio libro. Gliele ho messe tutte in bocca al protagonista, queste cose qui. Ed il soggetto è ancora lì, ogni tanto lo porto in Rai, a Mediaset ... in Rai me l'hanno già rifiutato tre volte, ma siccome lì nessuno sa cosa succede nella stanza accanto, e ogni tanto cambia tutto, non ci sono più le stesse persone, io continuo a portarlo, e prima o poi.... Devo dire che all'inizio, quando era Mario Gallo che voleva portarmi in Rai, io gli ho detto: "No, questo è un film per il cinema, non lo voglio fare per televisione!". Oggi, piuttosto che non farlo del tutto, sarei contentissimo di farlo, anche perchè poi la televisione è cresciuta -in male ma anche in bene.

E quest'ultimo romanzo, GIALLO ANTICO, di cosa tratta?

Quando la possibilità di fare UN POSTO AL BUIO con Cristaldi è andata a monte a causa delle vicende legate a NUOVO CINEMA PARADISO, che era costato troppo ed era andato male, per cui Cristaldi ha tirato i remi in barca, a quel punto eravamo arrivati ai sopralluoghi alla vigilia delle riprese, era come essere già sulla rampa di lancio. Cristaldi mi ha restituito i diritti, ma non ho trovato produttori che lo volessero fare; poi mi è venuta in mente un'altra storia che è quella di GIALLO ANTICO, sull'assassinio di Salgari. Anche questa è nata come soggetto cinematografico ed è di carattere fantastico: due personaggi contemporanei si trovano di fronte ad una serie di indizi curiosi, conducono una specie di inchiesta e arrivano a ricostruire una storia avvenuta all'inizio del secolo che coinvolge due personaggi reali, Emilio Salgari e Giovanni Pastrone, il regista di CABIRIA. I due vissero nello stesso periodo nella stessa città a pochi isolati di distanza; non risulta che si siano mai conosciuti, però esistono dei parallelismi innegabili tra CARTAGINE IN FIAMME e CABIRIA, che nessuno è mai riuscito a spiegare. Partendo da questa premessa e rispettando tutto ciò che si sa di Salgari e di Pastrone, mi sono inventato questa storia. E' un giallo, ma un giallo fantastico perchè ci sono dei continui passaggi dal passato al presente che sono giocati -sulla carta, per adesso, ma concettualmente è già una sceneggiatura- un po' come i passaggi dal sogno alla realtà di LE BELLE DELLA NOTTE di René Clair [Les belles-de-nuit, 1952, con Gerard Philipe, Martin Carol e la Lollo, NdR], che continua ancor oggi ad essere un gioiellino ineguagliato. Questi passaggi sono delle specie di dissolvenze incrociate in cui c'è un personaggio contemporaneo che, a poco a poco, come succedeva nel film di Clair (in cui cambiava il fondale), diventa il personaggio di un'altra epoca. E questa potrebbe essere una cosa carina, forse più televisiva che cinematografica. Ci sarebbe, credo, la possibilità di fare una fiction fatta bene. E' anche vero che se oggi si fa una serie poliziesca per la Rai bisogna metterci degli elementi che sono anticinematografici, di carattere populista... insomma, non sarebbe facile. Però questo soggetto non si pone come un poliziesco, si pone come un noir. E questo può essere un problema: in Rai ho visto una cosa di Cinzia Torrini, che si chiamava Ombre -che, per inciso, mi è sembrata molto brutta- ma è un caso isolato, perchè il nero non va. Innanzitutto perchè va il contemporaneo, il quotidiano, in cui tutti si possono identificare, e allora torniamo al discorso di fondo per cui in Italia è il fantastico che non ha spazio. C'è stata la fiammata degli anni '60/'70, dei Bava e dei Margheriti, però il genere non è mai riuscito a diventare adulto (a parte Fellini, ovviamente), e si è spento con la morte del cinema di genere tout court. Anzi, forse l'horror è stato l'ultimo dei generi ad estinguersi.

Sì, è arrivato fino agli anni '80, se pensiamo agli splatter...

Ecco, lo splatter io non riesco ad amarlo. Trovo che sia un deterioramento dell'horror, non mi sembra che ne colga lo spirito.

Io alludevo più che altro al cinema di Fulci che è stato l'ultimo grande autore nell'ambito dell'horror...

Io penso allo splatter di, chessò, Joe D'Amato nei suoi momenti peggiori. Alberto, mio figlio, l'altra sera mi ha non dico costretto, ma indotto a vedere una cosa che si chiamava... ANTROPOPHAGUS... che mi incuriosiva perchè c'era George Eastman... L'ho vista proprio perchè mio figlio e io non ci vediamo mai, mi son detto: "Passiamo la serata insieme" (ride), però è stata dura... oltretutto io della professionalità di Joe D'Amato avevo un'altra idea. I miei film a 8mm erano fatti meglio, tanto per essere espliciti.

ANTROPOPHAGUS in effetti è abbastanza celebre proprio per questo aspetto assolutamente estremo, eccessivo...

Trashoso all'ennesima potenza (ride).

Mi sembra logico, a questo punto, fare una domanda su George Eastman...

Nelle storie di Crepax le spalle di Valentina erano o Neutron o Arno Treves. Allora, per conto mio Neutron era un personaggio troppo intrigante, che poteva togliere attenzione alla strega e a Valentina, così ho preferito Arno che è meno ingombrante: Arno è un orsacchione, simpatico, un po' pasticcione... Chi prendiamo? Boh. A un certo punto qualcuno mi ha detto George Eastman, che non si era ancora degradato ai livelli di ANTROPOPHAGUS (ride), aveva fatto dei western decorosi, se non ricordo male... mi son detto: "Bah, per quello che mi serve Arno, può andar bene", e infatti funzionava. Non doveva essere un personaggio ingombrante. Ha fatto benissimo l'unica scena d'azione (ride), quando scavalca la rete ed entra dentro [la villa di Baba Yaga, NdR], perchè si trovava nel suo elemento, però devo dire che ha affrontato correttamente anche le altre cose, stando più tranquillo di quanto immagino non fosse negli altri suoi film, che erano molto più dinamici, esagitati. Poi però l'ho perso di vista, so che adesso fa lo sceneggiatore per fiction televisive. Invece quello che credo non si sappià è che Baba Yaga non doveva essere Carroll Baker. Allora, io avrei voluto Ingrid Thulin o Ornella Vanoni. La produzione subito mi ha detto no: "La Vanoni è una cantante, non se ne parla nemmeno, la Thulin è vecchia..." Io però ho dato il copione al suo agente, che non glielo ha neanche fatto leggere, perchè poi quando ho conosciuto Ingrid tre anni fa lei mi ha detto: "Io non l'ho mai letta questa sceneggiatura, me lo ricorderei il nome Baba Yaga!" Alla fine avevamo preso Anne Heywood. Ho passato un pomeriggio col marito di Anne Heywood a spulciare la sceneggiatura battuta per battuta, e dove c'era scritto: 'Una vecchia lesbica come te' lui mi ha detto: A mia moglie nessuno può permettersi di dire 'vecchia lesbica" Era un po' stronzo (ride). "Vabbè, cancelliamo la battuta, a me che mi frega"... A me la Heywood stava bene come faccia, aveva fatto LA VOLPE [The Fox, 1968, di Mark Rydell, con Sandy Dennis e Keir Dullea, scritto da Lewis John Carlino e Howard Koch e tratto da una novella di D.H.Lawrence, NdR], per cui aveva già un passato di omosessualità sospetta al cinema. Siamo partiti per Milano per cominciare a girare, senza Baba Yaga, perchè Anne Heywood ha reciso il contratto, si è tirata indietro perchè le avevano offerto un altro film, il rifacimento di TRADER HORN di Van Dyke, un film di ambiente africano [Trader Horn, 1973, di Reza S. Badiyi, con Rod Taylor e Jean Sorel, NdR]. Credo che abbia pagato la penale, fatto sta che ci siamo trovati a lavorazione iniziata senza l'attrice coprotagonista. Allora, a quel punto il discorso era: chi è disponibile? Carroll Baker, beh, lei non c'entra proprio niente con Baba Yaga, diciamolo. La Baker ha una faccia larga e paciosa da ragazza americana allevata a pop corn, anche se poi Kazan era riuscito a farne quello che ne aveva fatto [in Baby Doll, NdR]. Devo dire che poi, essendo una professionista, una donna simpatica, era riuscita a tirar fuori un personaggio carino e abbastanza plausibile, soprattutto nella parte iniziale; poi, man mano che diventa più strega e più spettinata, mi piace meno, ma lì è una responsabilità mia. Avrei forse dovuto mantenere di più questa sua stilizzazione, coi cappelli demodè...

Un paio di domande brevi su due attrici di BABA YAGA: una è la Ely Galleani...

(pausa) Ely Galleani era... (ride)... era un tipo, un personaggetto curioso che stava attraversando, credo, un momento familiare e personale molto burrascoso. Mi ricordo che Carlo Vanzina mi telefonava dicendo (ride): "Dov'è Ely? Dov'è?" E io credevo che fosse con lui! (ride). Infatti poi il loro matrimonio è naufragato nel giro di pochissimo tempo.
Comunque a modo suo era anche una ragazza simpatica, però... un po'... a Torino si dice 'fulatùn' (ride), allegrona.

E invece l'altra, Angela Covello?

Di Angela Covello non saprei dire nulla. Aveva fatto delle particine, cose marginali, in alcuni film anche abbastanza importanti, come GIROLIMONI... dopo è scomparsa. Aveva fatto qualcosa con Alfredo Angeli, che me ne aveva parlato, non saprei dire cosa... Comunque andava bene, ha fatto quello che doveva fare. Quella che andava meno bene era l'altra modella - quella che viene uccisa sulla spiaggia - che infatti non era un'attrice, e ci si era trovata per caso.

Come giudica la serie tv su Valentina che è stata fatta anni dopo?

Dunque, io sono incapace di dire cose che non penso: la giudico molto negativamente, però devo anche confessare di averne viste pochissime puntate. Ho visto quella di Baba Yaga ed un'altra, e mi sono sembrate veramente devastanti... intanto ho trovato devastante la scelta della protagonista. Che Demetra Hampton fosse Valentina mi è sembrato assolutamente demenziale (ride). Però, vabbè, succedono tante cose, e non sempre per ragioni di scelte artistiche, per cui... Ad ogni modo, praticamente non li ho visti. Quello che ho visto l'ho trovato pessimo. Però non mi sento di condannare nessuno, bisogna vedere come sono stati fatti, con quali premesse, con quali margini di azione. Ho conosciuto uno dei due registi, che mi sembrava una persona seria. Non so se avesse girato lui l'episodio che ho visto... ah, no, era stato l'altro (ride). Adesso non dico il nome perchè non me lo ricordo.

Prima diceva che secondo lei la Hampton non era adatta al ruolo di Valentina...

Intanto la Hampton non era adatta come aspetto fisico. Prima di tutto trovavo che il volto avesse i lineamenti troppo pesanti, oserei dire troppo volgari, mentre Valentina era molto più stilizzata. Non parliamo del corpo: Valentina era efebica, la Hampton...

Era prorompente...

Sì, prorompente... (ride) ... diciamo eccessiva. Per cui non c'entrava proprio niente. Inoltre le sue capacità recitative mi sembravano... Isabelle era volenterosa, era un'attrice, aveva fatto del teatro, in confronto alla Hampton mi sembra Eleonora Duse.

Come l'aveva scelta?

Per ragioni di coproduzione. Volevano una francese. Io avrei voluto Elsa Martinelli, che allora non era più giovanissima, però poteva essere una Valentina già un po' matura, ma una bella Valentina. Secondo me Elsa Martinelli è sempre stata la Valentina ideale, soprattutto quando era giovane.

Ma glielo propose?

No. Non riuscii neanche ad arrivare a lei., Il produttore disse: "Ci penso io!", poi: "Ah, no, è all'estero, in America..."
Io avrei voluto Elsa Martinelli o Charlotte Rampling, che forse era meno adatta, però mi piaceva tantissimo. Non si era ancora smagrita e affilata come è successo poi, non aveva ancora fatto IL PORTIERE DI NOTTE. L'agente non le diede neanche il copione. La mia Rampling era quella di SEQUESTRO DI PERSONA di Mingozzi, la Rampling splendida dei vent'anni. Fisicamente l'ideale era la Martinelli, però la Rampling poteva essere una variante interessante.

Crepax vide il film? Ebbe modo di parlare con lui?

Crepax vide il film, ci parlai spesso però lui non collaborò minimamente alla sceneggiatura. Mi diede un'opzione all'inizio, poi vendette i diritti e si disinteressò -non in senso negativo, intendo - dell'operazione. Mi venne a trovare una volta sul set, dopo di ché vide il film finito e ovviamente i giornali scrissero: 'Crepax ripudia il film, il suo personaggio è stato snaturato' e non era vero niente. Io ero partito da posizioni molto critiche nei confronti di questa operazione perchè tutti i film che avevo visto tratti da fumetti li avevo trovato deludenti. BABA YAGA aveva fatto qualche tentativo per muoversi nella direzione della ricerca di un linguaggio nuovo, con le fotografie bruciate, la scena d'amore... bisognava avere il coraggio di portare più avanti questo tipo di ricerca. Oggigiorno, con gli interventi di elettronica eccetera, si potrebbe fare un bel film dai fumetti di Crepax,. però il momento giusto è passato.

Ma il progetto iniziale prevedeva più sequenze che si rifacessero direttamente al fumetto? Ha dovuto abbandonare qualche idea, cambiare...?

No, le responsabilità nel bene e nel male sono tutte mie; sono io che ho abbandonato certe cose per problemi pratici, perchè troppo complicate. Quelle sequenze sono quello che rimane del mio desiderio di fare qualcosa di più 'fumettoso' di quanto fosse stato fatto fino a quel momento.

E della sua esperienza televisiva, cosa ricorda?

Anche nel periodo della televisione cercavo sempre di tornare al fantastico. Per esempio, ho fatto una cosa con Fruttero e Lucentini che in studio inventano un giallo. Dicono: "Facciamo così, facciamo cosà;" e man mano che loro inventano si visualizzano le cose che stanno dicendo e c'è Milva che le interpreta cambiando parrucca, faccia, a seconda che loro dicano: "Facciamola bionda, facciamola rossa..." e anche questo è un modo per fare qualcosa di fantastico. Dopo di che loro dicono: "Facciamola morire in cantina!" e allora si vede lei che va in cantina. L'altro dice: "Mannò, facciamola uscire con le mani insanguinate..." e si vede lei che esce... è tutto un gioco di rimbalzo tra la fantasia dello scrittore e la visualizzazione di questa fantasia come se fosse uno sceneggiato tratto dal libro. Anche questa è un'operazione a cavallo tra la realtà e la fantasia che, bene o male, o in una forma o nell'altra, rientra in quasi tutte le cose che faccio, credo, e che mi sembra il modo più fascinoso per raccontare storie. Certamente è un genere di cose che, sia al cinema sia in letteratura, ha poco a che fare con quella che è la cultura italiana, a parte la fiammata del gotico degli anni '60 e '70 che è stata forse più dettata da fattori commerciali che non culturali, visto che il gotico è molto più legato al mondo anglosassone che a quello latino. E questa è una delle ragioni per cui mi è difficile continuare a fare film.

I nostri più sentiti ringraziamenti a Corrado Farina per averci messo a disposizione, oltre al suo tempo, numerose rarissime fotografie di scena ed immagini dai suoi film, nonchè il filmato promozionale per l'Alfa Romeo di cui si parla nell'intervista, e a Tecla della libreria Sherlockiana per averci ospitato durante l'intervista.

(supplemento a Nocturno, 2000)

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