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Dicono di lui --> Nocturno | |
L'intervista di "Nocturno"
A cura di Roberto Curti
con la collaborazione di Davide Pulici
Milano, libreria 'La Sherlockiana', undici del mattino. Gli
appassionati che entrano alla spicciolata in questo tempio del
romanzo giallo guardano con una certa curiosità il piccolo
gruppo di persone appostate in un angolo dietro al bancone,
seminascoste dalle pile di libri, che paiono intente in qualche
oscura cospirazione, impegnate come sono in un confabulare fitto
fitto, registratore alla mano. Eppure, alla 'Sherlockiana' il mistero
è di casa, si sa. Tra coloro convenuti qui oggi, molti sono
abituali frequentatori del newsgroup 'it.discussioni.giallo': la
presentazione del nuovo romanzo di Corrado Farina, GIALLO
ANTICO, è dunque un'occasione per conoscere di persona
quelli che altrimenti sarebbero rimasti semplici nomi o nicknames.
Farina è un habituée del newsgroup, ed è
stato proprio lì, in quello spazio virtuale, che ho fatto la
sua conoscenza -del tutto casuale, impegnato com'ero a ricercare
maniacalmente tutto lo scibile sul mio adorato John Dickson Carr -
imbattendomi in un suo lungo, puntiglioso, documentatissimo post
sulle apparizioni italiane del Dick Tracy di Chester Gould nel
corso degli anni. L'ho contattato, gli ho fatto i complimenti per i
suoi due film. Quelle Fiat 500 che popolavano il parco della villa di
HANNO CAMBIATO FACCIA sono sempre state lì, in qualche
recesso della mia memoria, fin dai tempi della prima, casuale visione
-in età prepuberale- di quello strano film su una tv locale; e
che guizzo al cuore, più di recente, nel ritrovare in una
videoteca di Bolzano, la videocassetta tedesca del film, WETTLAUF
GEGEN DEN TOD, camuffata - grazie ad una fascetta demenziale -da
dozzinale thriller urbano d'azione. Farina, sorpreso e lusingato
("i miei film li han visti quattro gatti, fa piacere conoscerne
uno"), si è mostrato subito disponibile ad un incontro;
l'occasione della sua venuta a Milano era di quelle da non farsi
scappare.
Oggi Corrado Farina è un distinto signore di mezz'età,
dalla voce forte e sicura; parla di buon grado del suo passato di
regista, col sorriso sulle labbra e la battuta pronta anche di fronte
agli episodi più amari. Dapprincipio - sarà forse per
quello sguardo attento e vigile, oppure per la 'r' calcata,
aristocratica -mette soggezione, poi il fluire dei ricordi e degli
aneddoti rapisce noi e lui, e tutto il resto - il telefono che
squilla, la libreria che lentamente si riempie - svanisce, proprio
come uno dei fondali del suo amato LE BELLE DELLA NOTTE di
René Clair.
INTERVISTA A CORRADO FARINA
Possiamo cominciare parlando degli inizi, di come si è
avvicinato al lungometraggio...
Al lungometraggio sono arrivato dal cortometraggio, come spesso
succede; al cortometraggio sono arrivato con l'8mm. in modo del tutto
casuale, per fare qualcosa con amici in modo un po'divertente. Allora
le cineprese erano molto scarse, c'era uno di noi che aveva una 8mm,
così ho detto: "Be', produciamo un film" e l'abbiamo
prodotto. Poi ne ho fatti parecchi altri, sono andato avanti
all'interno della FEDIC (la federazione dei cineamatori, NdR)
per un po'di anni, dal '58 al '63, e poco dopo mi sono messo a fare i
caroselli per Armando Testa; quindi le due attività
propedeutiche al lungometraggio sono state da un lato i film a 8mm
fatti con amici -che erano comunque tutti film di fiction con attori,
trame, sceneggiature ecc.- e dall'altro i caroselli. Per quanto
riguarda i film, talvolta si trattava di operazioni "all'americana":
ho ridotto per esempio un romanzo di Spillane, abbiamo fatto una cosa
di fantascienza... e poi v'erano alcuni film invece più
personali -non dico 'intimisti' perchè oggi come oggi è
una parola inflazionata e anche un po' tristanzuola, ma più di
riflessione, ecco.
Ho vinto un po' di premi, nel frattempo ho cominciato a fare i
caroselli, sono andato avanti cinque anni, dal '63 al '68, a farli;
poi mi sono reso conto che la pubblicità è un problema,
perchè ti dà tanti soldi ma finisce per inglobarti, ed
è faticosissimo dire "No, grazie" e andarsene, per cui
con una certa fatica sono riuscito ad andarmene dallo Studio Testa
-anzi, no, sono riuscito a farmi sbattere fuori (ride), a
creare delle premesse per cui ad un certo punto sono stato
licenziato. Devo dire che questi cinque anni sono stati anche
fascinosi, perchè Armando Testa era una persona geniale;
abbiamo litigato tutte le sere escluse le domeniche per cinque anni
fino a che fino ad un certo punto abbiamo colmato la misura e c'è
stata la rottura.
A quel punto sono andato a Roma per fare i film, che era quello che
desideravo fare da sempre, però sono riuscito a farne soltanto
due, che hanno avuto un discreto successo di critica: HANNO
CAMBIATO FACCIA ha vinto il festival di Locarno nel '71, BABA
YAGA non ha vinto niente. Me l'hanno tagliato, manomesso, insomma
ha avuto un po' di traversie. Comunque HANNO CAMBIATO FACCIA
doveva essere il cosiddetto "film d'autore" e come tale ha
funzionato, tant'è che ha vinto Locarno ed altri premi minori,
mentre BABA YAGA doveva essere il film "commerciale",
oltretutto sfruttando e agganciandosi a quella che era la
popolarità in quegli anni del fumetto di Crepax. Purtroppo non
è riuscito a raggiungere il suo scopo, un po' per difetti suoi
ma soprattutto -a prescindere dal fatto che fosse un film riuscito o
meno, bello o brutto- per ragioni di distribuzione, che bene o male
è sempre un momento capitale nella vita (o nella non-vita) di
un film. Nella fattispecie, BABA YAGA era finito in mano ad un
distributore che si chiamava 'Jumbo Cinematografica' e che in quel
periodo stava cominciando ad avere delle difficoltà: fatto sta
che è andato a picco trascinandosi dietro BABA YAGA,
che non aveva la forza per tenere a galla una distribuzione. Il film
avrebbe potuto vivere decorosamente, se solo fosse stato affidato ad
una distribuzione che lo facesse circolare; purtroppo questo non
è successo.
Ha parlato di 'manomissioni' del film. In che senso?
Dunque, il film durava - ho visto che voi siete molto attenti alle
varie versioni, i vari interventi successivi delle varie copie ed
edizioni dei film - dicevo, il film durava all'inizio qualcosa come
un'ora e quaranta. Io l'ho finito, l'ho montato, l'ho dato al
produttore, il produttore l'ha approvato dicendo "Che bello, che
bello!" dopo di che sono partito, me ne sono andato una settimana
in vacanza. Quando sono tornato il produttore mi ha chiamato e mi ha
detto: "Ah, sai, guarda che abbiamo tagliato mezz'ora di
film". Ho detto: "Scusa, non ho capito bene... "
(ride). "Mah, sì, perchè l'abbiamo fatto
vedere a qualcuno, ha detto che era lento, e allora abbiamo..."
Dico: "Cosa avete tagliato? La copia?" "No, no, abbiamo
tagliato il negativo." "Bene," dico io, "prendo nota
del fatto, magari se me lo dicevate prima..." "Be', comunque
stai tranquilllo perchè adesso è molto meglio."
(ridacchia). Io dico: "Vabbè, ma non pensate che
forse il regista aveva qualche obiezione da fare, qualche cosa da
eccepire?" "Guarda, se adesso pianti grane ci rimetti soltanto
tu perchè ti fai la fama del piantagrane... tanto ormai
è fatta, il negativo è tagliato, per cui stai zitto e
buono." Sostanzialmente il concetto era questo. Io sono uscito
da lì, sono andato all'ANAC, all'associazione degli autori a
sentire un po' cosa ne dicevano loro, poi sono andato da Tinto Brass
che era - ed è tuttora (ride) - un professionista delle
liti coi produttori per ragioni di manipolazione dei film, dopo di
che sono andato all'ANSA, ho fatto un bel comunicato stampa in cui
dicevo: "E' successo questo, questo e questo, di conseguenza io mi
dissocio dal film" che era, come sapete, l'unica cosa che il
regista può fare, non avendo nessuna proprietà sul
film. I quotidiani, il giorno dopo, hanno dato grande rilievo a
questo comunicato stampa, i produttori hanno iniziato a preoccuparsi
e mi hanno richiamato: "E che è tutto 'sto casino, in fondo
che è successo?" io dico: "Mah, è successo che
avete preso una roba e l'avete fatta a pezzi, e 'nun se fà'
come si dice a Roma." "Allora facciamo così: ti
rimettiamo in mano il negativo tagliato e lo ricostruisci come vuoi
tu." "Ragazzi, ma stiamo scherzando? Non è che siamo al
mercato... 'facciamo due etti di più, due etti di meno..."
(ride) Adesso ve la racconto col sorriso sulle labbra, ma non
era stata piacevole come esperienza. A quel punto ho incontrato il
mio montatore, Giulio Berruti...
Che è stato anche cosceneggiatore...
Cosceneggiatore e montatore dei miei due film nonchè regista
di un paio di film che voi probabilmente conoscete (Noi siam
come le lucciole e Suor Omicidi, NdR). Gli ho detto:
"Non me ne importa più niente, io vorrei ricostruirlo,
però tutto sommato questi tagli..." In alcune cose non era
ricostruibile, perchè essendo stato tagliato il negativo non
si potevano fare dei salti a metà di un'inquadratura o cose di
questo genere. Allora abbiamo combinato assieme a Giulio tutta una
serie di cose: "Reinseriamo questo, reinseriamo questo, lasciamo
perdere quest'altro..." dopo di che io me ne sono andato, Giulio
l'ha rimontato, c'è una versione rivista e rifatta che ha
curato lui, e questa è la terza versione. La prima, che io
sappia, non esiste più di sicuro, credo neanche la seconda:
l'unica che circola è questa che dura un'ora e venti. Alla
fine sono andati perduti venti minuti di film.
Ma cosa è stato sacrificato?
Sostanzialmente tutta una lunga -cinque minuti- sequenza
introduttiva, un happening di Valentina e dei suoi amici della
Milano radical chic che usciva dalle cose di Crepax in un
cimitero abbandonato, dove incidentalmente c'era - e credo sia
rimasto in un pezzettino corto corto- Franco Battiato che
interpretava la figura del santone hippie. Era un'idea
divertente... Però c'era tutto un dialogo di tipo
sessantottino (allora si era nel '72, eravamo ancora pieni di quei
concetti), un discorso sul generale Custer, su questi intellettuali
che giocavano a fare gli indiani e i cowboy e cose di questo genere,
che era un po' lungo - o meglio, non era essenziale- ma
serviva a introdurre il contesto socioculturale in cui Valentina si
muoveva. Dunque, BABA YAGA iniziava in una maniera che a voi
sarebbe piaciuta: si vedeva questo cimitero abbandonato, gufi,
civette (tra l'altro siamo venuti a Milano per avere la nebbia, era
dicembre, ma manco a parlarne, abbiamo dovuto fare tutto coi
fumoni)... improvvisamente apparivano in primo piano due gambe
femminili, le gambe di un'indiana: si vedeva un'indiana -il cimitero
era chiaramente italiano o comunque occidentale- a seno nudo, con
l'aria dell'animale inseguito e impaurito. Lei si guardava attorno,
scappava e c'erano i cavalleggeri che la inseguivano, la
raggiungevano e cominciavano a violentarla (o meglio, a fingere di
violentarla); nel mentre arrivavano gli altri in motocicletta e
diventava un happening. E questo era divertente, perchè
era un gioco di spiazzamento: partire da una direzione e poi scoprire
che... e tutto questo è sparito, praticamente. Dopo di che,
alla fine di questa lunga sequenza, il gruppo andava via in
motocicletta e raggiungeva una villa che è poi quella che
c'è adesso all'inizio del film. Tutto questo è rimasto
in flashes mescolati ai titoli di testa, intervallati ai
cartelli con i titoli su disegni di Guido Crepax; a posteriori, con
Giulio, avevamo deciso di farne una cosa più disarticolata
riprendendone dei pezzi, e mi sembra di ricordare che se c'è
un tizio con un camicione lungo visto in controluce coi capelli
bianchi, beh, quello è Franco Battiato, come peraltro
c'è, se l'avete riconosciuto, Michele Mirabella. Queste sono
le manomissioni, questa è la terza versione e credo che sia
l'unica esistente. I negativi non so dove siano finiti; alcuni pezzi
dei positivi erano rimasti in mano mia e li ho regalati a qualche
museo del cinema, di una persona che avevo conosciuto per ragioni di
fumetti che si chiamava Camillo Moscati: esiste una cosa che si
chiama 'Cartoon Museum' proprio qui a Milano, credo. Gli ho dato
questi pezzi e l'ho anche un po' rimpianto, comunque ci sono, da
qualche parte. Però sono alcuni dei pezzi, non i blocchi
tagliati, che erano stati massacrati.
Più avanti nel film ci sono altre scene che lei ricorda
essere state tagliate? Perchè c'è una famosa scena che
dovrebbe essere stata censurata nella versione italiana ma non in
quella estera, in cui si vede un nudo frontale della Carroll
Baker.
Se all'estero esiste, non lo so. Io l'ho girata quella scena.
Però non è mai arrivata neanche alla prima copia,
perchè questo non era un taglio fatto da quel lazzarone di un
produttore, ma dalla commissione di censura, che mi chiese due tagli:
uno era il nudo frontale integrale di Carroll e l'altro era il nudo
frontale integrale di Isabelle De Funes, quando la mattina si
svegliava e dopo arrivava l'amica per fare le fotografie...
L'amica era Angela Covello...
Sì, sì, quella delle fotografie salgariane. Carroll
invece è rimasta nel montaggio. Si vede lei in figura intera,
di fronte, che inizia a slacciarsi la vestaglia e ad aprirla, poi si
va di controcampo alle spalle e non ce l'ha già più, la
vestaglia. L'inquadratura precedente è stata tagliata dalla
censura. Io non lo so se esista altrove, mi piacerebbe saperlo.
Però potrebbe anche essere, in fondo: era stato sicuramente
fatto un controtipo prima del passaggio in censura.
Di solito accadeva che si facessero versioni un po' più
spinte per alcuni mercati...
Questo accadeva negli anni '50...
Ancora negli anni '70...
Negli anni '70 si stavano quasi capovolgendo i termini, nel senso che
ormai si poteva fare di più... Comunque è stata una
bella esperienza, questa, perchè oltretutto io non glielo
avevo chiesto a Carroll di fare un nudo integrale (ride). Ad
un certo punto dovevamo girare la scena di lei che discute con
Valentina, e Carroll mi fa: "Scusa, guarda un po' se va bene"
e si apre la vestaglia (ride). "A me va benissimo! Sono
spiacente di dover considerare la cosa da un punto di vista
professionale, comunque va benissimo..." (ride). Non so
bene, forse si era messa d'accordo con la truccatrice, poi
chiaramente io non mi son certo tirato indietro all'idea...
(ride). Non mi sembrava importante, ecco, per me non era una
cosa essenziale... comunque era stato un taglio 'a monte'. Semmai si
scoprisse che esiste la rivedrei volentieri, quella scena.
Comunque rispetto a HANNO CAMBIATO FACCIA giravano più
quattrini, c'erano più possibilità produttive visto
anche l'ingaggio di Carroll Baker...
HANNO CAMBIATO FACCIA era fatto con tre-lire-tre in
cooperativa con amici, quasi come i film a 8mm, però con
professionisti. Se non ricordo male costò 50 milioni. Fu
girato a Torino, in trasferta oltretutto, quindi le diarie anche se
ridotte all'osso avevano un peso.
Com'era nata l'idea di prendere la storia di Stoker e riproporla
in questo contesto contemporaneo?
Era nata da un antico amore per i film di vampiri. Per il romanzo e
per il cinema gotico, per Bava, per il Nosferatu di Murnau.
Però era anche il 1969 quando si è iniziato a parlarne,
quindi eravamo in piena bufera sessantottina e l'idea di incrociare
la storia di Dracula con il clima sessantottina era venuta da una
frase dall' Uomo a una dimensione di Marcuse che è
anche citata alla fine: Il terrore, oggi, si chiama
tecnologia. Terrore uguale a tecnologia, potere uguale a cosa?
Allora ecco l'idea del vampiro uguale a potere, il vampiro poi
succhia il sangue, e tutto il resto è venuto di conseguenza.
Devo dire che se fosse stato fatto con maggior dispendio di mezzi e
con maggiori possibilità di cast avrebbe potuto anche essere
una cosa carina... è triste vederlo oggi così, in
sostanza è un film tutto di concetto.
C'erano però delle idee visive notevoli, come le Fiat 500 nel parco...
Sì, erano le cose che si potevano fare senza spendere una lira
e senza dei grossi attori, nonostante poi Celi funzionasse benissimo,
e funzionava bene anche la segretaria di Nosferatu, Geraldine Hooper,
una piccola attrice inglese, piccola nel senso che aveva sempre fatto
particine.
Come l'aveva presa? Aveva un viso molto particolare...
Con la Hooper avevo fatto come aiuto regista un film che non è
mai uscito che si chiamava -o meglio, si sarebbe chiamato
SORTILEGIO.
Diretto da...?
Diretto da un certo Nardo Bonomi...
Ah...
Ah, ma allora voi conoscete tutti! (ride)
Sì, io avevo notizie della lavorazione di un SORTILEGIO
attorno al '70.
Siamo nel '69, nell'autunno del 1969. La cosa più divertente
di SORTILEGIO, al di là di Nardo Bonomi che non mi
risulta sia diventato poi famoso, è che nel film c'era Marco
Ferreri che stuprava Erna Schurer all'Orto Botanico di Roma
(ride). Questa è stata la cosa più divertente, a
posteriori, anche perchè poi Marco era uno che si divertiva a
fare queste cose, non perchè ci guadagnava, per cui c'era
andato giù pesante... (ride)
Ma che genere di film era? Un horror?
Stranissimo film. Era un horror, una cosa strana in cui c'era, se non
ricordo male (ho la sceneggiatura da qualche parte) una donna in
crisi col marito che fuggiva di casa ed incominciava ad avere
allucinazioni, trovandosi in mondi onirici un po' stravolti. Alla
fine si ritrovava in un castello dove c'era una setta satanica che
faceva strane cerimonie... oggigiorno son cose viste e straviste, ma
allora era una trovata interessante.
Il film era stato ultimato?
Ultimato, montato, non so se editato in tutto o in parte. Io come
aiuto regista ho fatto soltanto tre film, di cui uno è
uscito... (ride)
L'AMORE CONIUGALE di Dacia Maraini...
Quello. Un altro è stato girato, montato, editato, ma
praticamente non ha circolato, ed era LA NOTTE DEI FIORI di
Gian Vittorio Baldi, con Macha Meril, Dominique Sanda; il terzo, che
forse non è stato neanche editato, è questo
SORTILEGIO. Dopo di che c'è stata la
possibilità, seppure nel modo avventuroso e semidilettantesco
che vi ho detto, di girare HANNO CAMBIATO FACCIA, per cui non
ho più fatto altre aiuto regie...
Per cui la Hooper sarebbe stata protagonista di questo SORTILEGIO?
No, la protagonista era Erna, che era la donna del produttore, che si
chiamava Carlo...
.. Maietto...
Ma siete dei computer!(ride). Carlo Maietto, che stava ancora
con lei; quando l'ha mollata si è messo, lo saprete benissimo,
con Adelina Tattilo, anche perchè questo gli ha consentito di
produrre altri film che non sarebbe riuscito a produrre. Maietto poi
ha fatto altri film di genere trashoso, per così
dire...
Ha prodotto anche STORIE DI VITA E MALAVITA di Lizzani.
Aveva prodotto anche un Lizzani, sì. Diciamo che era il
periodo più infausto di Carlo, in quel periodo aveva fatto
alcune cose per cui il fatto di fare un film con Maietto
(ride) si inseriva in una fase non proprio felice...
E l'esperienza con Dacia Maraini...?
Era nata da Gian Vittorio Baldi, perchè il film era prodotto
da lui. E' stata una bella esperienza, intanto perchè è
stato l'unico film che ho fatto da aiuto regista ad essere arrivato
nelle sale (ride).
Ma anche LA NOTTE DEI FIORI dovrebbe essere uscito...
Che io sappia no, o almeno, se è uscito ha avuto una
circolazione estremamente limitata, a livello festivaliero o poco
più; non credo sia passato nemmeno nel circuito dei cinema
d'essai, che allora peraltro si limitava a qualche cineclub,
il tipo di proiezione in cui arriva il regista con la pizza sotto il
braccio... non si può chiamare circolazione, questa.
L'AMORE CONIUGALE non mi sembra fosse un bel film, tutto
sommato, però Dacia era una persona molto simpatica. Era stata
una bella cosa, perchè siamo rimasti un mese e passa a
Palermo, c'era Moravia che stava scrivendo Io e lui, di giorno
scriveva mentre noi giravamo poi la sera si andava a mangiare tutti
assieme, c'era Giulio Albonico che faceva la fotografia...
C'era Milian tra i protagonisti...
C'era Tomas che era anche simpatico, a modo suo, molto scorbutico.
Ah, voi avete fatto una monografia su Tomas, giusto?
Sì, l'ha scritta Manlio Gomarasca, deve uscire a settembre,
è una lunga intervista con Milian...
Ah, gliel'ha già fatta, sennò vi avrei detto di
chiedergli cosa si ricorda. Io potrei raccontarvi -ma forse usciremmo
un po' fuori tema- degli aneddoti su di lui, soprattutto sulla sua
reticenza a fare scene di nudo integrale... (ride)
Sì, sì, questo l'ha detto...
E' stato molto divertente. Sembrava molto scorbutico Tomas, poi a
starci un pochino insieme si scopriva una persona simpatica; anche
Dacia sembrava una un po' così, molto sulle sue, ed invece era
una persona molto alla mano con cui si lavorava e si dialogava molto
volentieri. Giulio Albonico, Dacia e io eravamo soprannominati 'i tre
porcellini' perchè Gian Vittorio all'epoca era sposato con
Macha Meril e per ragioni familiari non voleva che Macha girasse
scene erotiche con troppo impegnative, per cui c'era una specie di
congiura tra regia, fotografia e aiuto regia per cercare di
allontanarlo quando c'erano queste scene...
Torniamo un attimo a HANNO CAMBIATO FACCIA. A parte la Hooper,
c'era il protagonista, Giuliano Disperati, che è apparso in
qualche altra pellicola -lo ricordo in un poliziesco- con un diverso
cognome...
Giuliano Disperati aveva cambiato il suo nome in Giuliano Esperati,
perchè la parola 'disperati' (ride), considerando che
la sua carriera stava andando in un modo un po' disperato,
evidentemente gli sembrava un po' malaugurante. Però non
è che la cosa gli abbia giovato più di tanto. Giuliano
aveva fatto alcuni film con Piero Livi, che non credo fossero
male...
Aveva fatto PELLE DI BANDITO...
Era il protagonista? Io Giuliano l'avevo conosciuto a Montecatini
vedendo i film di Piero Livi, che erano film amatoriali, e di Adriano
Asti. Non avevamo soldi, non potevamo pagare nessuno, così ho
cominciato a chiamare quelli che conoscevo, come Geraldine,
Giuliano... L'unico che non conoscevo era Celi, ma lì si
trattava di una settimana di riprese, qualche lira l'abbiamo messa
insieme, e poi non c'erano altri attori...
Una curiosità: chi è la ragazza che si vede all'inizio?
La hippie, quella che poi viene vampirizzata? Il suo pseudonimo era
Francesca Modigliani, e come tale risulta nei titoli. Non era il suo
vero nome, si chiamava Maria Grazia o Maria Laura o qualcosa del
genere... non ricordo il cognome... ed era un'amica di Giulio. Ci
voleva una persona disinvolta, simpatica, che fosse disposta a
mettersi a seno nudo. Era nato in un modo molto 'barricadero', quel
film.
Il rapporto di amore/odio con la pubblicità è messo
in rilievo in entrambi i film: in HANNO CAMBIATO FACCIA ci sono
quegli spot creati dal regista per Nosferatu, girati con stili
diversi...
Assolutamente. Beh, questa è una mia costante. Avendo passato
cinque anni nella pubblicità non posso liberarmene. Uno dei
deuteragonisti del mio ultimo romanzo GIALLO ANTICO è
un creativo dell'agenzia Testa, su cui ho scaricato (ride)
tutti i miei ricordi e la mia ironia su certi aspetti dei creativi
pubblicitari, idee che mi ero formato allora e che non sono
più state smentite, anche se poi non ho più frequentato
molto il mondo della pubblicità. Questa costante della
pubblicità è un elemento ricorrente in tutte le cose
che scrivo.
A proposito delle location di HANNO CAMBIATO FACCIA:
dov'era quella villa con il parco?
E' stato girato tutto a Torino. Ma, non avendo soldi, l'esterno
è una villa di amici sulle colline torinesi, l'interno
è un'altra villa di amici all'interno di Torino, che non
c'entrano niente l'una con l'altra, visto che l'interno è
modernissimo mentre l'esterno è settecentesco (ride).
Infatti ad un certo punto c'è una battuta che è stata
messa soltanto per salvare la faccia, quando Giuliano dice: "Come
mai questa villa al di fuori è così antica e dentro
è così moderna?" e Geraldine risponde: "Noi non
facciamo nessuna differenza tra presente e passato"
(ride).
Comunque è molto suggestiva, con quella nebbia...
Ecco, quella è nebbia vera, quella mattina per combinazione
c'era la nebbia: "Presto, presto, giriamo!" (ride)
Bisognava correre come pazzi!
C'era poi l'idea dei vari accessori 'parlanti' della casa, la
doccia...
Anche quello lì è il discorso della pubblicità.
Ero appena venuto via da Testa per cui... un po' di cose sono state
girate anche all'interno dello studio Testa.
E dopo la delusione di BABA YAGA cosa accadde?
Sono tornato alla pubblicità. Quello è stato il
più grosso errore della mia vita, perchè mi sono
scoraggiato dopo l'insuccesso commerciale di BABA YAGA -che
nelle intenzioni doveva essere un film 'commerciale'- e ho avuto il
torto di rinunciare a insistere nei tentativi. Così mi sono
rimesso a fare pubblicità, dalla pubblicità son passato
ai servizi giornalistici speciali coi telegiornali, poi ai film
d'immagine, ai documentari e a tutta una serie d'altre cose. In
questi vent'anni di allontanamento dal cinema più o meno
forzato, ho però cercato di portare verso il cinema fantastico
tutto ciò che facevo, per cui esistono dei documentari che
sono in realtà dei piccoli film fantastici, come quello che ho
girato per l'Alfa Romeo: è la storia di un'automobile che
entra a Cinecittà per fare uno spot pubblicitario ma perde la
strada per colpa dei cartelli indicatori errati e va a finire sul set
dei vari film, venendo coinvolta nelle avventure che si stanno
svolgendo. Questo peregrinare attraverso i vari set è una
rivisitazione del cinema di genere, perchè c'è il film
di vampiri, il fim di gangster, c'è DUEL, c'è
007, il musical...
Poi, quando mi è tornata la voglia di fare film era un po'
troppo tardi, era passato troppo tempo. Questo è successo
verso la metà degli anni '80, quando ho scrito un nuovo
soggetto, UN POSTO AL BUIO. Appena scritto l'ho mandato
soltanto a Franco Cristaldi, che me l'ha comprato e mi ha
commissionato la sceneggiatura, dicendomi: "Facciamo il film
quando hai finito la sceneggiatura". Poi sono successe delle cose
per cui il film è andato a monte. Mi è rimasta
lì la storia e il dispiacere per non essere riuscito a fare il
film mi ha indotto a provare a scrivere un romanzo. Il merito in
realtà è di mia moglie: "Perchè non
provi?". Io non sapevo da che parte si cominciasse. "Ma come
si fa a scrivere un romanzo?" "Boh, ti metti lì
e..." Io mi son messo lì e ho scritto: "Era una notte
buia e tempestosa" (ride). E l'incipit del romanzo
è proprio questo. Poi sono andato avanti e ne è venuta
fuori una storia di 250 pagine che, devo dire, mi sembra ancor oggi
carina. UN POSTO AL BUIO avrebbe potuto -anzi, potrebbe-
essere il terzo film che completa la trilogia. Come vedete, il mio
è un'itinerario all'interno del cinema fantastico; purtroppo
non riesco più a continuarlo sullo schermo e lo continuo con i
libri, che nascono appunto come soggetti. HANNO CAMBIATO
FACCIA è Dracula, in BABA YAGA ci sono
riferimenti pesanti al Golem, anche se il film parte da una
storia di Crepax, e UN POSTO AL BUIO è Il fantasma
dell'Opera, portato negli anni '80, sostituendo al Teatro
dell'Opera una vecchia sala cinematografica nel centro di Torino,
realmente esistita, che è stata incendiata ed è rimasta
per dieci anni abbandonata. Intorno a questo luogo fantastico
abbandonato nel centro di Torino a due isolati da Porta Nuova, ho
elaborato una storia in cui il vecchio direttore del cinema, scampato
all'incendio ma dato per morto, il quale non vuole che il suo cinema
venga trasformato in un supermercato, una banca o cose di questo
genere, ammazza tutti quelli che stanno per comprarlo. Era il periodo
in cui le sale cinematografiche morivano come mosche. C'è
dunque questa serie di delitti che sono tutti diretti a difendere il
cinema... perchè lui se lo viveva da solo, il cinema. Ecco il
perchè del titolo, UN POSTO AL BUIO: perchè
questo tizio si è rimesso a posto una poltroncina -il cinema
è tutto sbarrato, ma lui s'è fatto un passaggio
segreto- e proietta all'interno di questo cinema i film della sua
collezione. La storia nasce da un incrocio tra il giallo-rosa alla
Fruttero e Lucentini -il riferimento a Torino è
pressochè d'obbligo, La donna della domenica
soprattutto- e Il fantasma dell'Opera: è un giallo rosa
dalle atmosfere decisamente noir, da Gotico, da Mario Bava. Se
venisse filmato potrebbe venirne fuori una cosa molto carina.
Ma non ha pensato di riproporlo?
L'ho riproposto a cani e porci, però nessun cane e nessun
porco mi ha dato la fiducia e i soldi necessari per farlo. Continuo a
riproporlo. Adesso anche alla televisione, nonostante ciò mi
sia costato parecchio, perchè sostanzialmente se voi leggete
il romanzo vedete che è un atto d'amore verso il cinema e
-parlare d'odio e di disprezzo mi sembra eccessivo- di disamore verso
la tv.
Perchè questo disamore?
Per eccesso di amore per il cinema. Non puoi amare televisione e
cinema contemporaneamente,. La televisione è un macellaio di
cinema, un'impoveritrice di cinema. Tutte le volte che un regista di
cinema va a fare una cosa in televisione ne esce fuori come se fosse
passato sotto un rullo compressore. Sono due media diversi,
che vanno affrontati sotto due ottiche diverse. Stiamo parlando di
cinema-cinema, ovviamente; se poi uno guarda alla fiction
televisiva allora è un altro discorso, abbastanza complesso.
Comunque le cose fatte in doppia versione, cinema e tv, sono sempre
state delle operazioni ibride, anche se questo lo faceva Ingmar
Bergman. SCENE DA UN MATRIMONIO era una meravigliosa
operazione televisiva, quando poi è diventata un film dicevi:
"Ma che cavolo è?". O fai un film o fai delle cose per
la televisione. Io ho sempre amato il cinema non solo per il fatto
dello schermo grande, ma per il rapporto che c'è tra
spettatore e schermo e per la sala buia, cioè per l'alchimia
che si crea all'interno della sala cinematografica, che predispone
all'evasione, al sogno, alla fantasia. Ecco quello che ho cercato di
dire nel mio libro. Gliele ho messe tutte in bocca al protagonista,
queste cose qui. Ed il soggetto è ancora lì, ogni tanto
lo porto in Rai, a Mediaset ... in Rai me l'hanno già
rifiutato tre volte, ma siccome lì nessuno sa cosa succede
nella stanza accanto, e ogni tanto cambia tutto, non ci sono
più le stesse persone, io continuo a portarlo, e prima o
poi.... Devo dire che all'inizio, quando era Mario Gallo che voleva
portarmi in Rai, io gli ho detto: "No, questo è un film per
il cinema, non lo voglio fare per televisione!". Oggi, piuttosto
che non farlo del tutto, sarei contentissimo di farlo, anche
perchè poi la televisione è cresciuta -in male ma anche
in bene.
E quest'ultimo romanzo, GIALLO ANTICO, di cosa tratta?
Quando la possibilità di fare UN POSTO AL BUIO con
Cristaldi è andata a monte a causa delle vicende legate a
NUOVO CINEMA PARADISO, che era costato troppo ed era andato
male, per cui Cristaldi ha tirato i remi in barca, a quel punto
eravamo arrivati ai sopralluoghi alla vigilia delle riprese, era come
essere già sulla rampa di lancio. Cristaldi mi ha restituito i
diritti, ma non ho trovato produttori che lo volessero fare; poi mi
è venuta in mente un'altra storia che è quella di
GIALLO ANTICO, sull'assassinio di Salgari. Anche questa
è nata come soggetto cinematografico ed è di carattere
fantastico: due personaggi contemporanei si trovano di fronte ad una
serie di indizi curiosi, conducono una specie di inchiesta e arrivano
a ricostruire una storia avvenuta all'inizio del secolo che coinvolge
due personaggi reali, Emilio Salgari e Giovanni Pastrone, il regista
di CABIRIA. I due vissero nello stesso periodo nella stessa
città a pochi isolati di distanza; non risulta che si siano
mai conosciuti, però esistono dei parallelismi innegabili tra
CARTAGINE IN FIAMME e CABIRIA, che nessuno è mai
riuscito a spiegare. Partendo da questa premessa e rispettando tutto
ciò che si sa di Salgari e di Pastrone, mi sono inventato
questa storia. E' un giallo, ma un giallo fantastico perchè ci
sono dei continui passaggi dal passato al presente che sono giocati
-sulla carta, per adesso, ma concettualmente è già una
sceneggiatura- un po' come i passaggi dal sogno alla realtà di
LE BELLE DELLA NOTTE di René Clair [Les
belles-de-nuit, 1952, con Gerard Philipe, Martin Carol e la
Lollo, NdR], che continua ancor oggi ad essere un gioiellino
ineguagliato. Questi passaggi sono delle specie di dissolvenze
incrociate in cui c'è un personaggio contemporaneo che, a poco
a poco, come succedeva nel film di Clair (in cui cambiava il
fondale), diventa il personaggio di un'altra epoca. E questa potrebbe
essere una cosa carina, forse più televisiva che
cinematografica. Ci sarebbe, credo, la possibilità di fare una
fiction fatta bene. E' anche vero che se oggi si fa una serie
poliziesca per la Rai bisogna metterci degli elementi che sono
anticinematografici, di carattere populista... insomma, non sarebbe
facile. Però questo soggetto non si pone come un poliziesco,
si pone come un noir. E questo può essere un problema: in Rai
ho visto una cosa di Cinzia Torrini, che si chiamava Ombre
-che, per inciso, mi è sembrata molto brutta- ma è un
caso isolato, perchè il nero non va. Innanzitutto
perchè va il contemporaneo, il quotidiano, in cui tutti si
possono identificare, e allora torniamo al discorso di fondo per cui
in Italia è il fantastico che non ha spazio. C'è stata
la fiammata degli anni '60/'70, dei Bava e dei Margheriti,
però il genere non è mai riuscito a diventare adulto (a
parte Fellini, ovviamente), e si è spento con la morte del
cinema di genere tout court. Anzi, forse l'horror è
stato l'ultimo dei generi ad estinguersi.
Sì, è arrivato fino agli anni '80, se pensiamo agli
splatter...
Ecco, lo splatter io non riesco ad amarlo. Trovo che sia un
deterioramento dell'horror, non mi sembra che ne colga lo spirito.
Io alludevo più che altro al cinema di Fulci che è
stato l'ultimo grande autore nell'ambito dell'horror...
Io penso allo splatter di, chessò, Joe D'Amato nei suoi
momenti peggiori. Alberto, mio figlio, l'altra sera mi ha non dico
costretto, ma indotto a vedere una cosa che si chiamava...
ANTROPOPHAGUS... che mi incuriosiva perchè c'era George
Eastman... L'ho vista proprio perchè mio figlio e io non ci
vediamo mai, mi son detto: "Passiamo la serata insieme"
(ride), però è stata dura... oltretutto io della
professionalità di Joe D'Amato avevo un'altra idea. I miei
film a 8mm erano fatti meglio, tanto per essere espliciti.
ANTROPOPHAGUS in effetti è abbastanza celebre proprio per
questo aspetto assolutamente estremo, eccessivo...
Trashoso all'ennesima potenza (ride).
Mi sembra logico, a questo punto, fare una domanda su George
Eastman...
Nelle storie di Crepax le spalle di Valentina erano o Neutron o Arno
Treves. Allora, per conto mio Neutron era un personaggio troppo
intrigante, che poteva togliere attenzione alla strega e a Valentina,
così ho preferito Arno che è meno ingombrante: Arno
è un orsacchione, simpatico, un po' pasticcione... Chi
prendiamo? Boh. A un certo punto qualcuno mi ha detto George Eastman,
che non si era ancora degradato ai livelli di ANTROPOPHAGUS
(ride), aveva fatto dei western decorosi, se non ricordo
male... mi son detto: "Bah, per quello che mi serve Arno,
può andar bene", e infatti funzionava. Non doveva essere
un personaggio ingombrante. Ha fatto benissimo l'unica scena d'azione
(ride), quando scavalca la rete ed entra dentro [la villa
di Baba Yaga, NdR], perchè si trovava nel suo elemento,
però devo dire che ha affrontato correttamente anche le altre
cose, stando più tranquillo di quanto immagino non fosse negli
altri suoi film, che erano molto più dinamici, esagitati. Poi
però l'ho perso di vista, so che adesso fa lo sceneggiatore
per fiction televisive. Invece quello che credo non si sappià
è che Baba Yaga non doveva essere Carroll Baker. Allora, io
avrei voluto Ingrid Thulin o Ornella Vanoni. La produzione subito mi
ha detto no: "La Vanoni è una cantante, non se ne parla
nemmeno, la Thulin è vecchia..." Io però ho dato il
copione al suo agente, che non glielo ha neanche fatto leggere,
perchè poi quando ho conosciuto Ingrid tre anni fa lei mi ha
detto: "Io non l'ho mai letta questa sceneggiatura, me lo
ricorderei il nome Baba Yaga!" Alla fine avevamo preso Anne
Heywood. Ho passato un pomeriggio col marito di Anne Heywood a
spulciare la sceneggiatura battuta per battuta, e dove c'era scritto:
'Una vecchia lesbica come te' lui mi ha detto: A mia moglie
nessuno può permettersi di dire 'vecchia lesbica" Era un
po' stronzo (ride). "Vabbè, cancelliamo la battuta,
a me che mi frega"... A me la Heywood stava bene come faccia,
aveva fatto LA VOLPE [The Fox, 1968, di Mark Rydell, con
Sandy Dennis e Keir Dullea, scritto da Lewis John Carlino e Howard
Koch e tratto da una novella di D.H.Lawrence, NdR], per cui aveva
già un passato di omosessualità sospetta al cinema.
Siamo partiti per Milano per cominciare a girare, senza Baba Yaga,
perchè Anne Heywood ha reciso il contratto, si è tirata
indietro perchè le avevano offerto un altro film, il
rifacimento di TRADER HORN di Van Dyke, un film di ambiente
africano [Trader Horn, 1973, di Reza S. Badiyi, con Rod
Taylor e Jean Sorel, NdR]. Credo che abbia pagato la penale,
fatto sta che ci siamo trovati a lavorazione iniziata senza l'attrice
coprotagonista. Allora, a quel punto il discorso era: chi è
disponibile? Carroll Baker, beh, lei non c'entra proprio niente con
Baba Yaga, diciamolo. La Baker ha una faccia larga e paciosa da
ragazza americana allevata a pop corn, anche se poi Kazan era
riuscito a farne quello che ne aveva fatto [in Baby
Doll, NdR]. Devo dire che poi, essendo una professionista,
una donna simpatica, era riuscita a tirar fuori un personaggio carino
e abbastanza plausibile, soprattutto nella parte iniziale; poi, man
mano che diventa più strega e più spettinata, mi piace
meno, ma lì è una responsabilità mia. Avrei
forse dovuto mantenere di più questa sua stilizzazione, coi
cappelli demodè...
Un paio di domande brevi su due attrici di BABA YAGA: una è
la Ely Galleani...
(pausa) Ely Galleani era... (ride)... era un tipo, un
personaggetto curioso che stava attraversando, credo, un momento
familiare e personale molto burrascoso. Mi ricordo che Carlo Vanzina
mi telefonava dicendo (ride): "Dov'è Ely?
Dov'è?" E io credevo che fosse con lui! (ride).
Infatti poi il loro matrimonio è naufragato nel giro di
pochissimo tempo.
Comunque a modo suo era anche una ragazza simpatica, però...
un po'... a Torino si dice 'fulatùn' (ride),
allegrona.
E invece l'altra, Angela Covello?
Di Angela Covello non saprei dire nulla. Aveva fatto delle particine,
cose marginali, in alcuni film anche abbastanza importanti, come
GIROLIMONI... dopo è scomparsa. Aveva fatto qualcosa
con Alfredo Angeli, che me ne aveva parlato, non saprei dire cosa...
Comunque andava bene, ha fatto quello che doveva fare. Quella che
andava meno bene era l'altra modella - quella che viene uccisa sulla
spiaggia - che infatti non era un'attrice, e ci si era trovata per
caso.
Come giudica la serie tv su Valentina che è stata fatta
anni dopo?
Dunque, io sono incapace di dire cose che non penso: la giudico molto
negativamente, però devo anche confessare di averne viste
pochissime puntate. Ho visto quella di Baba Yaga ed un'altra, e mi
sono sembrate veramente devastanti... intanto ho trovato devastante
la scelta della protagonista. Che Demetra Hampton fosse Valentina mi
è sembrato assolutamente demenziale (ride).
Però, vabbè, succedono tante cose, e non sempre per
ragioni di scelte artistiche, per cui... Ad ogni modo, praticamente
non li ho visti. Quello che ho visto l'ho trovato pessimo.
Però non mi sento di condannare nessuno, bisogna vedere come
sono stati fatti, con quali premesse, con quali margini di azione. Ho
conosciuto uno dei due registi, che mi sembrava una persona seria.
Non so se avesse girato lui l'episodio che ho visto... ah, no, era
stato l'altro (ride). Adesso non dico il nome perchè
non me lo ricordo.
Prima diceva che secondo lei la Hampton non era adatta al ruolo di
Valentina...
Intanto la Hampton non era adatta come aspetto fisico. Prima di tutto
trovavo che il volto avesse i lineamenti troppo pesanti, oserei dire
troppo volgari, mentre Valentina era molto più stilizzata. Non
parliamo del corpo: Valentina era efebica, la Hampton...
Era prorompente...
Sì, prorompente... (ride) ... diciamo eccessiva. Per
cui non c'entrava proprio niente. Inoltre le sue capacità
recitative mi sembravano... Isabelle era volenterosa, era un'attrice,
aveva fatto del teatro, in confronto alla Hampton mi sembra Eleonora
Duse.
Come l'aveva scelta?
Per ragioni di coproduzione. Volevano una francese. Io avrei voluto
Elsa Martinelli, che allora non era più giovanissima,
però poteva essere una Valentina già un po' matura, ma
una bella Valentina. Secondo me Elsa Martinelli è sempre stata
la Valentina ideale, soprattutto quando era giovane.
Ma glielo propose?
No. Non riuscii neanche ad arrivare a lei., Il produttore disse:
"Ci penso io!", poi: "Ah, no, è all'estero, in
America..."
Io avrei voluto Elsa Martinelli o Charlotte Rampling, che forse era
meno adatta, però mi piaceva tantissimo. Non si era ancora
smagrita e affilata come è successo poi, non aveva ancora
fatto IL PORTIERE DI NOTTE. L'agente non le diede neanche il
copione. La mia Rampling era quella di SEQUESTRO DI PERSONA di
Mingozzi, la Rampling splendida dei vent'anni. Fisicamente l'ideale
era la Martinelli, però la Rampling poteva essere una variante
interessante.
Crepax vide il film? Ebbe modo di parlare con lui?
Crepax vide il film, ci parlai spesso però lui non
collaborò minimamente alla sceneggiatura. Mi diede un'opzione
all'inizio, poi vendette i diritti e si disinteressò -non in senso
negativo, intendo - dell'operazione. Mi venne a trovare una volta sul
set, dopo di ché vide il film finito e ovviamente i giornali
scrissero: 'Crepax ripudia il film, il suo personaggio è
stato snaturato' e non era vero niente. Io ero partito da
posizioni molto critiche nei confronti di questa operazione
perchè tutti i film che avevo visto tratti da fumetti li avevo
trovato deludenti. BABA YAGA aveva fatto qualche tentativo per
muoversi nella direzione della ricerca di un linguaggio nuovo, con le
fotografie bruciate, la scena d'amore... bisognava avere il coraggio
di portare più avanti questo tipo di ricerca. Oggigiorno, con
gli interventi di elettronica eccetera, si potrebbe fare un bel film
dai fumetti di Crepax,. però il momento giusto è
passato.
Ma il progetto iniziale prevedeva più sequenze che si
rifacessero direttamente al fumetto? Ha dovuto abbandonare qualche
idea, cambiare...?
No, le responsabilità nel bene e nel male sono tutte mie; sono
io che ho abbandonato certe cose per problemi pratici, perchè
troppo complicate. Quelle sequenze sono quello che rimane del mio
desiderio di fare qualcosa di più 'fumettoso' di quanto fosse
stato fatto fino a quel momento.
E della sua esperienza televisiva, cosa ricorda?
Anche nel periodo della televisione cercavo sempre di tornare al
fantastico. Per esempio, ho fatto una cosa con Fruttero e Lucentini
che in studio inventano un giallo. Dicono: "Facciamo così,
facciamo cosà" e man mano che loro inventano si
visualizzano le cose che stanno dicendo e c'è Milva che le
interpreta cambiando parrucca, faccia, a seconda che loro dicano:
"Facciamola bionda, facciamola rossa..." e anche questo
è un modo per fare qualcosa di fantastico. Dopo di che loro
dicono: "Facciamola morire in cantina!" e allora si vede lei
che va in cantina. L'altro dice: "Mannò, facciamola uscire
con le mani insanguinate..." e si vede lei che esce... è
tutto un gioco di rimbalzo tra la fantasia dello scrittore e la
visualizzazione di questa fantasia come se fosse uno sceneggiato
tratto dal libro. Anche questa è un'operazione a cavallo tra
la realtà e la fantasia che, bene o male, o in una forma o
nell'altra, rientra in quasi tutte le cose che faccio, credo, e che
mi sembra il modo più fascinoso per raccontare storie.
Certamente è un genere di cose che, sia al cinema sia in
letteratura, ha poco a che fare con quella che è la cultura
italiana, a parte la fiammata del gotico degli anni '60 e '70 che
è stata forse più dettata da fattori commerciali che
non culturali, visto che il gotico è molto più legato
al mondo anglosassone che a quello latino. E questa è una
delle ragioni per cui mi è difficile continuare a fare film.
I nostri più sentiti ringraziamenti a Corrado Farina per
averci messo a disposizione, oltre al suo tempo, numerose rarissime
fotografie di scena ed immagini dai suoi film, nonchè il
filmato promozionale per l'Alfa Romeo di cui si parla
nell'intervista, e a Tecla della libreria Sherlockiana per averci
ospitato durante l'intervista.
(supplemento a Nocturno, 2000)
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