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Bruno Quaranta

"A Carlo Fruttero e Franco Lucentini, senza i quali questo libro non esisterebbe". Corrado Farina sin dalla dedica dichiara un'affinità elettiva che nel feuilleton torinese in quarantacinque atti (capitoli) La figlia dell'istante, qua e là non esiterà a manifestarsi, a pulsare. Soprattutto è la cura del détail, la consapevolezza che nel détail si annida la verità - come Lucentini era solito ricordare nella sua officina-mansarda di piazza Vittorio Veneto evocando Forster - a ispirare il gemellaggio... (...) Fil rouge della storia e della "figlia", Malvina Ferrero di Chamblant, da Porta Palazzo ai quarti di nobiltà, è la signora del feuilleton, Carolina Invernizio, una presenza "in corsivo", una voce "d'appendice" sparsa a piene mani, ora chiosando, ora confortando, ora pungolando, da La vendetta della contessa a Il bacio della morta... (...) Chi ha strangolato Jean e Daniel Masoero, discendenti di un imprenditore edile di fine Ottocento, nonché già efferati torturatori nella caserma di via Asti? Il feuilleton, di quadro in quadro, felicemente crepita. Allargando il suo variegato ventaglio: il frutto della colpa, la sventurata rispose, il sepolto vivo, il passaggio segreto, il topo di biblioteca, la moribonda, la cripta del cimitero, i fantasmi del passato, approdando - ça va sans dire, n'est-ce pas? - alla "sconvolgente rivelazione".

Bruno Quaranta, La Stampa, 23/12/2010


Ernesto Ferrero

... (Corrado) è anche uno scrittore di romanzi, oltre che cultore di tutte quelle forme in cui si è manifestata e si manifesta la cultura di massa, l'intrattenimento di massa: a partire dal feuilleton e dalla narrativa popolare, che ha avuto i suoi grandi protagonisti - vorrei dire eroi - in Emilio Salgari e Carolina Invernizio. Della narrativa popolare io credo che lo appassiona proprio il "come va a finire", il piacere dell'intreccio, i mille modi in cui i destini dei personaggi si incrociano secondo schemi che poi come il vecchio Propp ha dimostrato sono fatalmente un po' sempre gli stessi. E credo che lo abbia appassionato la sfida del racconto a puntate, in cui ogni puntata deve chiudersi col botto, deve obbligare il lettore ad andare avanti. Col feuilleton non si scherza, perché o sei bravo oppure il lettore non ti perdona e ti scarta...

... Io però credo che questo amore, questa simpatia per il feuilleton, sia in fondo un pretesto per raccontare ciò che veramente gli sta a cuore e cioè per raccontare Torino. Perché credo che pochi come lui amino questa città, forse per il buon motivo che ha dovuto andare a vivere e lavorare a Roma. E di là però evidentemente ha continuato a pensarla, ha continuato a immaginarla, a immaginare le storie che poi ci avrebbe raccontato. Insomma, io credo che ci sia in lui un amore per Torino di cui noi residenti forse non siamo più capaci, visto che di solito tendiamo all'autocritica quando non addirittura al deprezzamento di tutto quello che siamo e di tutto quello che facciamo. Insomma il "Turin Pride" dobbiamo ancora inventarlo e forse non lo inventeremo mai. E immagino con quanto piacere si sia messo a prolungare, a riprendere gli spunti di Fruttero e Lucentini, che poi quando leggerete il romanzo ritroverete sparsi in abbondanza per il libro, allineando sul tavolo di marmo della sua cucina scrittoria tutti gli attrezzi che ci vogliono, che naturalmente sono amori proibiti e clandestini, incesti sfiorati - sembra quasi di essere in un dramma elisabettiano -, tragedie familiari, agnizioni, cambi nella culla, morti che non sono morti, segreti inconfessabili, rivelazioni postume, colpi di scena, tradimenti, delitti, nefandezze, sacrifici sublimi... I sacrifici li fanno le donne, sono sempre le donne che si sacrificano, ma questo lo sappiamo, anche in questa storia gli unici veri grandi mascalzoni sono i maschi, e questo è chiarissimo; e naturalmente tutto non è come sembra, ma anche questo lo sappiamo...

... Naturalmente non vi racconteremo la trama neanche sotto tortura, volevo solo dire che ho ritrovato con grande nostalgia alcuni "pezzi" degli anni Ottanta, la famosa marcia dei quarantamila, ma anche la retrospettiva di Hitchcock al cinema Massimo, ma anche la Lancia Stratos che guida Malvina. Non è la 132 che si vede nel filmato, la Lancia Stratos allora era la macchina più trendy che una giovane signora elegante poteva guidare. Insomma ci sono tanti elementi molto precisi che fanno la nostra soddisfazione di lettori...

(dalla presentazione al Circolo dei Lettori di Torino, 9 dicembre 2010)


Bruno Gambarotta

... Io vorrei capire chi in realtà è capace di riassumere questo libro: non lo invidio, c'è tutto e di più. E' difficile inquadrarlo perché in realtà è un ircocervo, nel senso che apparentemente è un feuilleton, come dice il sottotitolo, e ne ha tutte le caratteristiche, però è un feuilleton indirizzato a un lettore che già sa. Il divertimento è continuo perché c'è tutto un gioco di rimandi, uno non è mai figlio di suo padre ma è sempre figlio di qualcun altro, c'è un gioco continuo, molto raffinato e divertente... c'è per fortuna all'inizio del libro un elenco dei personaggi, e ogni tanto bisogna andare a vedere chi è chi; solo che poi ci sono dei personaggi "presunto figlio di", non si sa se poi, dopo... In realtà potrebbe essere un metaromanzo, cioè metaletteratura, nel senso che è un romanzo che riflette sulla letteratura di genere e a volte sembra quasi che sfiori la parodia....

... Il video lo avete visto, e se leggerete il libro troverete la stragrande abilità di Corrado nell'aver sistemato tutti i tasselli del puzzle: gli hanno squadernato davanti tutta una serie di possibilità, e lui è riuscito a trovare per ognuna una sua collocazione. Comunque il divertimento alla lettura è grandissimo; io per esempio mi ero riproposto di leggerlo senza farmi trascinare perché in fondo dicevo mah, dobbiamo presentarlo... Invece, è una lettura di quelle che facevi da ragazzo, come quando non ti stancavi di libri, quando leggevi Salgari... e questo ti prende così, quando lo cominci non riesci più a smettere...

... Finora non lo abbiamo detto ma il romanzo oscilla fra almeno tre punti focali temporali: il 1980 è l'oggi, poi c'è il 24 con la marcia su Roma e soprattutto il delitto Matteotti (...) e poi la fine dell'Ottocento e forse anche prima, perché c'è la costruzione della Mole Antonelliana (...), tutto descritto con grande precisione, e poi la costruzione del castello del Borgo Medievale. E naturalmente c'è sempre "Facciamo un passo indietro", e poi "Facciamo un altro passo indietro", un gioco continuo di rimandi, insomma un gran divertimento, proprio straordinario, con una tenuta stilistica molto bella, non ci sono mai dialoghi tirati via, come forse sarebbe più realistico, ma tutta una cosa costruita bene, con lo stile del feuilleton di una volta, insomma...

(dalla presentazione al Circolo dei Lettori di Torino, 9 dicembre 2010)


G.T. (Giovanni Tesio)

... Tutto il divertimento qui consiste nei registri di una narrazione seconda, che scaturisce da una sorta di doppio debito: da un lato un'idea spuntata dalle teste matte di Fruttero e Lucentini, intervistati una volta dall'autore per un programma televisivo, dall'altro la lettura di due interpreti (torinesi) del feuilleton borghese e dell'avventura esotica: vale a dire l'onesta gallina (dalle uova d'oro) Carolina Invernizio e il gran capitano delle tempeste Emilio Salgari, ovviamente mescolati al buon sangue del maieutico duo. (...) Dopodiché nessun garbuglio genealogico potrà più stupire, nessun colpo di scena potrà più sembrare impossibile. E infatti la vicenda si dipana tra incesti, agnizioni, giuramenti, vendette, salti quantici, niente risparmiando del più classico armamentario "en feuilleton": solo e sempre intingendo nella salsapariglia di un'ironia che riscatta ogni caduta e redime ogni kitsch. Divertimento puro, dicevamo...

(G.T., "Torino Sette" de "La Stampa", 28 gennaio 2011)


Ugo Gregoretti

Comincio col dire che ho compiuto ottant'anni qualche mese fa; e poiché quando ho letto La figlia dell'istante non ci ho capito niente, ho pensato che ciò dipendesse da un giustificato rimbambimento senile. Però, per ragioni etiche, ho detto: "No, lo devo rileggere!". L'ho riletto e non ci ho capito niente di nuovo, anzi meno di prima. Però ho scoperto che in realtà convivevano con questa mia incapacità di comprendere tutta la storia due "tiranti" sicuramente di alta qualità, il primo dei quali è la città. La città è raccontata come se fosse il personaggio più vivo, più ricco, anche più cattivo. Moravia disse che Dostojewski aveva questo dono, di essere soprattutto un grande narratore della città, che in quel caso era Pietroburgo: e quindi comincio qui col fare una riverenza all'autore dicendogli che lui, tutto sommato, secondo l'interpretazione moraviana è un piccolo Dostojewski. La dimensione è differente perchè San Pietroburgo è più grande di Torino, però il piglio narrativo di Corrado è straordinariamente avvincente pur non capendocisi niente: le sue pagine sono piene di sorprese, di momenti di suspense che si alternano in modo molto fluido con altri momenti più distesi, più sereni, la sua capacità di intrecciare il quotidiano con il sublime, il normale con il paranormale, il dramma con l'umorismo è tra le cose più godibili del libro. Per sempio c'è un capitolo in cui un solerte commissario di polizia viene in ufficio col cane, e le pagine in cui il cane viene accolto con tripudio dalle forze dell'ordine si amalgamano benissimo con i due capitoli fra cui sono serrate come in un sandwich, due capitoli assolutamente granguignoleschi in cui il sangue scorre a barili: e questo connubio è il secondo elemento che mi fa superare la difficoltà della trama (...) Con molta umiltà, Corrado dichiara di avere derubato Dumas, la Invernizio, e io aggiungerei anche Victor Hugo, ma allora bisogna dire che è molto bravo nel furto con destrezza. E poichè tu, Corrado, ricordi che la critica con-la-puzza-sotto-il-naso di quei tempi soprannominò la Invernizio una "onesta gallina", allora devo dire che tu non sei un'onesta gallina ma se mai un disonesto "gallo da combattimento".

(dalla presentazione al Palazzo delle Esposizioni di Roma, 15 febbraio 2011)


Riccardo Reim

... In questi racconti (parla dei romanzi di appendice), come anche nel romanzo di Corrado, la strizzata d'occhio al lettore è tutto, l'ironia sta nel dire al lettore: amico lettore, attenzione, non c'è bisogno di andare nella Jungla Nera, il mistero è a portata di mano qui, dietro casa tua, a via Priocca, o a via San Sebastiano a Firenze, oppure nella cité di Parigi, come dicono Eugène Sue, e dopo di lui Ponson du Terrail e poi D'Ennery eccetera. Sappiamo tutti che a Torino non scorrevano barilate di sangue nè a Parigi si vendeva il vetriolo a taniche come ne I misteri di Parigi, però non fa niente: accanto al caminetto di un comodo salotto, come diceva Walter Benjamin, manca solo un cadavere perché la stanza sia confortevole, e il cadavere te lo mette il roman feuilleton. Il brivido è rassicurante proprio perché è finto. Qui però c'è una spia ancora più sottile: il falso è talmente dichiarato che il prologo di La figlia dell'istante si svolge in un falso castello medievale, quello del Valentino; ed è un prologo indubbiamente rapinoso, in cui nell'arco di quattro pagine succede praticamente di tutto...

(dalla presentazione al Palazzo delle Esposizioni di Roma, 15 febbraio 2011)