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PICCOLA ESCURSIONE FRA GNOMI E TROLL

Tutto comincia da un libriccino scovato inopinatamente un bel po' di anni fa, in una delle mie periodiche scorrerie negli angiporti più reconditi del mercato antiquario: un volumetto 20x15, scritto in lingua svedese e quindi purtroppo (almeno per me) illeggibile, ma con figure così accattivanti da imporne perentoriamente l'acquisto.

Il libriccino era intitolato Bland tomtar och troll, che tradotto in italiano significa Fra gnomi e troll; era stato stampato a Göteborg nel 1912, e autore delle illustrazioni risultava essere tale John Bauer.

Questo nome, lì per lì, mi parve uno pseudonimo, per la sua connotazione molto più anglo-germanica che scandinava, che mi sembrava avesse ben poco a che spartire con l'iconosfera decisamente nordica delle tavole: un mondo di foreste, di grotte e di immensi cieli stellati in cui le figure degli esseri umani sembravano quasi perdersi, sopraffatte da una natura straordinariamente fascinosa ma anche un po' intimidente.

Fu solo alcuni anni dopo, in occasione di un viaggio a Capo Nord, che scovai in una libreria di Stoccolma altri libriccini con lo stesso titolo, e che scoprii alcune cose sul misterioso Bauer. Cose che oggi, aumentate e integrate grazie alla cortesia dell'Addetta Stampa dell'Ambasciata di Svezia a Roma, mi consentono di ragguagliarvi su un'impresa editoriale di cui nessuno, finora, si è occupato a fondo (l'unico accenno all'argomento l'ho trovato nel bel volume di Fanelli e Godoli L'illustrazione Art Nouveau, edito da Laterza).

Partiamo dunque insieme per un piccolo viaggio nelle brume nordiche intrise di paganesimo, là dove il sole è più basso, la natura più arcana, e tutto ciò che sa di meraviglioso e fantastico trova un'attenzione e un rispetto che nelle nostre luci mediterranee gli è sovente negato. E diciamo anzitutto che Bland tomtar och troll non è un libro, ma una vera e propria collana di libri, che escono in Svezia una volta all'anno (per lo più intorno a Natale), e che contengono una serie di racconti attinti al ricco repertorio delle fiabe e delle tradizioni popolari scandinave.

Fin qui niente di strano: ciò che ne fa una iniziativa che non credo abbia paragoni in nessun altro Paese (nel campo della letteratura per l'infanzia) è la sua continuità, poiché il primo volumetto è stato pubblicato nel lontano 1907, e la serie continua ancor oggi (con un'unica interruzione nell'anno 1916), avviandosi quindi con passo baldanzoso verso i novant'anni di età.

Novant'anni non sono pochi; e tuttavia la casa editrice, pur cambiando proprietari e denominazioni (nei primi due anni si è chiamata Julstämmings, dal 1909 Ahlén & Akerlunds, e dal 1973 si chiama Semic), è rimasta sempre la stessa: e questo ha garantito una certa continuità, non solo per quanto riguarda i contenuti ma anche da un punto di vista formale e grafico. Il formato, tanto per dirne una, è rimasto sempre immutato, con l'eccezione di alcuni numeri antologici pubblicati nel 1957 (per celebrare i 50 anni), nel 1967 (60 anni) e nel 1982 (75 anni).

Quello che è cambiato, invece, è lo stile del disegno. Prima di tutto perché, nel corso degli anni, ci si sono avvicendati sei diversi illustratori: John Bauer, appunto, dal 1907 al 1910 e dal 1912 al 1915; Louis Moe nel 1911; Aina Masolle nel 1917; Gustav Tenggren dal 1918 al 1926; Einar Norelius dal 1927 al 1980 ed Hans Arnold dal 1981 in poi. Ma, al di là di questo, basta osservare le date per rendersi conto del fatto che i protagonisti della serie, fossero essi buoni (gli gnomi) o maligni (i troll), sono passati attraverso tutte le avanguardie e tutti i rivolgimenti delle arti figurative del novecento, rispecchiandone mode, modi e stilemi.

Limitiamoci a prendere in considerazione i due artisti che più di tutti gli altri hanno dato la loro impronta alla serie: John Bauer (probabilmente il più bravo), ed Einar Norelius (sicuramente il più prolifico, poiché illustrò i volumetti per 54 anni di seguito).

Bauer (che si chiamava proprio così, alla faccia delle mie deduzioni), nacque nel 1882 e morì prematuramente con la moglie in un incidente navale sul lago di Vättern nel 1918. Egli è ancor oggi, in Svezia, uno degli illustratori più amati e più frequentemente ristampati: probabilmente perché la sua bravura di acquarellista conferisce alle sue tavole un fascino elegante e gentile, che le rende gradevoli e facilmente comprensibili ad un pubblico vasto, diversificato e non necessariamente sofisticato.

E' un fenomeno analogo a quello che all'inizio del secolo decretò il successo, in Inghilterra, di Rackham o del primo Dulac, due artisti ai quali molto probabilmente Bauer si ispirò, approdando attraverso di loro ad una sua sorta di "versione per bambini" dei codici dell'art nouveau. Come, per altri versi, si ispirò alla pittura rinascimentale italiana, soprattutto nelle sue trasognate principesse dai lunghi capelli biondi, non immemori di certe figure femminili di Donatello e di Sandro Botticelli.

E tuttavia, sarebbe ingiusto ridurre la sua figura a quella di un epigone, per quanto bravo: poiché, assimilando certe tendenze figurative della coeva editoria per l'infanzia anglosassone, egli seppe felicemente inserirle in una sua personalissima visione del proprio mondo geografico e culturale.

La sua principale fonte di ispirazione, intanto, è la natura (e particolarmente la natura dello Småland, una regione meridionale della Svezia): una natura che non è mai una semplice scenografia ma acquista il ruolo di co-protagonista, e alla quale Bauer è legato da quel rapporto di struggente amore misto a malinconia che è tipico degli artisti nordici (basti pensare all'importanza che essa assume in molti film scandinavi, come Un'estate d'amore e Monica e il desiderio di Bergman, o Ha ballato una sola estate di Mattson), e che si colloca esattamente agli antipodi della nostra mediterranea solarità. Ad esempio, come dicevamo all'inizio, egli ama particolarmente le foreste e le grotte: e la suggestione che ne emana è molto più sottile, contraddittoria e intrigante che non quella, forse più esplicitamente minacciosa ma anche più caricaturale e proprio per questo innocua, dei boschi antropomorfi di Arthur Rackham.

Einar Norelius, al contrario, si lascia alle spalle tutte le dolcezze dell'art nouveau, e denuncia, nella progressiva geometrizzazione e stilizzazione (sia dei personaggi che degli sfondi), l'evolversi dell'art déco. Molto meno "facile" di Bauer, egli sperimenta, nella prima fase della sua collaborazione (e prima di lasciarsi andare ad un sempre più scontato "mestiere") tutta una somma di riferimenti "adulti", che vanno dai fiamminghi agli espressionisti, dai simbolisti ai surrealisti; rivelando inoltre, per tornare in un territorio più vicino a noi, una propensione al grottesco che lo apparenta in modo sorprendente al nostro Beppe Porcheddu. Nel quale Porcheddu, tanto per richiudere il cerchio, non è affatto difficile cogliere dei riferimenti ai "nostri" simbolisti e surrealisti (ed in particolare ad Alberto Martini).

Ma ritorniamo a Bauer, e al suo rapporto con i troll, su cui mi pare che valga la pena di spendere qualche parola.

Ma prima di tutto: che cosa sono, esattamente, i troll? L'editoria degli anni settanta ci ha spiegato, in una serie di libri-strenna riccamente illustrati, che cosa fossero i gnomi, le fate, i giganti ed altre creature del mondo immaginario. Ma, salvo possibili falle della memoria, non mi pare che sui troll sia stato pubblicato alcunché.

Dunque: tecnicamente, i troll sono i geni maligni delle foreste e delle rocce: sono grandi come giganti e bruttissimi, con le orecchie a sventola, un grosso nasone e ciuffi di capelli incolti. Sono, allo stesso tempo, goffi e crudeli, stupidi e cattivi: giustamente, è stato rilevato che Shakespeare si deve in qualche modo essere ricordato di loro, quando ha pensato al Calibano de La tempesta. I loro parenti più prossimi, comunque, restano l'idra della mitologia greca (può benissimo succedere, infatti, che abbiano più di una testa) e l'orco delle favole. A differenza però degli orchi, delle fate, degli gnomi e degli elfi, che abitano un po' dappertutto nella vecchia Europa (anche se manifestano sempre, per le ragioni già dette, una netta preferenza per l'Europa del Nord) essi vivono esclusivamente nelle regioni scandinave, ed è ben difficile che se ne trovi traccia nelle culture di altri Paesi. Naturalmente ci sono delle eccezioni, come i troll trasformati in pietra ne Il signore degli anelli, per aver cercato di mangiarsi degli hobbit; ma anche se Tolkien è inglese, il suo libro si colloca in una specie di "zona franca", poiché rappresenta una vera e propria summa di tutti i possibili motivi della mitologia e del folklore dell'Europa del Nord.

Tuttavia, ci sono troll e troll. A cinquant'anni dalle terrificanti immagini dell'orco di Pollicino disegnate da Gustave Doré (1862), dev'essersi fatta strada, negli editori dei libri per l'infanzia, l'idea che forse con la fantasia dei bambini fosse meglio andarci più cauti.

La cosa non deve sorprendere: anche quando illustrava Perrault, Doré disegnava soprattutto per un pubblico di adulti; e bisogna arrivare all'inizio del novecento perché il pubblico infantile cominci ad essere osservato in un'ottica industriale, con quella che oggi definiremmo una "strategia di marketing", e cioè un'attenzione non superficiale al modo più giusto per raggiungerlo e conquistarlo.

Così, nelle illustrazioni dei libri per l'infanzia, dall'inizio del novecento in poi si può notare una certa tendenza a ridurre l'impatto negativo del personaggio del troll, depurandolo dei suoi connotati più orripilanti e risvoltandolo in una direzione più bonaria ed innocua.

Esemplari, in questo senso, sono proprio le tavole di Bauer. Nei volumetti di Bland tomtar och troll illustrati da lui ci troviamo di fronte a personaggi che di mostruoso hanno più poco: sono diventati piuttosto dei grossi peluches con il volto rubizzo ed il corpo ricoperto di peli, che anticipano la morbidezza dei pupazzi della Steiff e che paiono evocare più il calore protettivo della nursery che non la viscida freddezza delle grotte silvane.

Bauer indulge, come sempre, al gioco dei contrasti, contrapponendo a questi enormi orsacchiotti i suoi bimbi filiformi, le sue gracili principesse dai capelli d'oro, che ovviamente rappresentano il Bene minacciato dal Male. Ma lotta fra il Bene ed il Male è priva di violenza e di angoscia, e ne fanno fede gli atteggiamenti dei suoi giovinetti: i quali, di fronte ai troll, non sembrano per niente spaventati, e manifestano al massimo una benevola curiosità per quelle strane creature che si trovano di fronte. Del resto, queste creature sono viste sempre con simpatia, se non addirittura con qualche tocco di tenerezza e di humour: come succede ad esempio in una tavola in cui si vede una mamma troll con il suo mostriciattolo in braccio, in un atteggiamento dolcissimo che ricorda quello di tante "Madonne con Bambino" dei nostri pittori rinascimentali.

(Ci serve una controprova? Ce la fornisce il danese Kay Nielsen, in un racconto di quello che è probabilmente il suo libro più fascinoso, vale a dire East of the Sun and West of the Moon. In questo libro, che al pari di Bland tomtar och troll è un'antologia di fiabe e di racconti nordici, c'è un racconto intitolato Le tre principesse nella Montagna Azzurra, in cui alcuni troll multicefali fungono da carcerieri; ed anche nelle illustrazioni di Nielsen, come in quelle di Bauer, c'è una totale assenza di repulsione nei confronti del "mostro" carceriere).

Vogliamo vedere, in questo atteggiamento di affetto e di simpatia verso i troll da parte del primo e più noto dei disegnatori di Bland tomtar och troll, un desiderio di insegnare ai bambini a osservare i "diversi" senza i pregiudizi mentali e le ipocrite pavidità dell'adulto? Mah. Non mi sembra probabile che all'inizio del secolo potesse già esistere una sensibilità così moderna. E tuttavia... perché no? In fondo, il Frankenstein della Shelley era già stato scritto da tempo. E alcuni anni dopo, facendone un film, il regista James Whale ci avrebbe inserito una scena estremamente esplicita, in cui si vede una bambina che si mette serenamente a giocare con il "mostro"...

L'ipotesi è suggestiva e, come si suol dire, fa piacere farla. Se fosse fondata, si potrebbe assegnare ai libriccini della serie Bland tomtar och troll una funzione pedagogica e civile di tutto rispetto. Ma anche così, e a prescindere dall'attuale livello qualitativo della serie, che non conosco, mi sembra comunque straordinario che un Paese riserbi alla letteratura per l'infanzia un'attenzione tale da permettere il nascere e il perdurare di una iniziativa editoriale come quella di Bland tomtar och troll: che, al di là del valore dei singoli apporti, ha comunque l'incommensurabile pregio di difendere uno spazio culturale autoctono, servendosi di gnomi e di troll per contrastare, dal nostro cantuccio europeo del "villaggio globale", la minacciosa avanzata di un'armata di manga, di creature disneiane e di Simpson.

(LG Argomenti, luglio-settembre 1994)

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