Lo scrittore

UN POSTO AL BUIO

I
L'INCIDENTE


Era, naturalmente, una notte buia e tempestosa, e il treno merci correva attraverso le desolate pianure dello Utah. L'uomo che lo guidava era lucido di sudore, e non tanto per la fiamma della caldaia che lo investiva da presso, quanto per la paura. All'ultima stazioncina non c'era nessuno ad accoglierlo, e nella casa del capostazione aveva trovato una tavola apparecchiata, dei piatti ancora pieni di zuppa di verdura e alcune seggiole rovesciate. Chi se ne era andato da lì doveva avere una fretta dannata: e non era passato molto tempo, dal momento che la zuppa, nei piatti, era ancora tiepida.
L'uomo aveva reagito come ci si può aspettare che reagisca qualsiasi persona di buon senso in una circostanza del genere: dopo aver tentato di usare il telefono e il telegrafo, che naturalmente erano fuori uso, era tornato di corsa al treno. Qualunque cosa fosse che aveva spaventato il capostazione e la sua famiglia, era comunque una cosa che era meglio lasciarsi alle spalle il più presto possibile.
Così, adesso, il treno correva nella notte. L'uomo scrutava terrorizzato le tenebre che gli venivano incontro. E due piacenti signore, all'interno di un supermercato, si avvicinavano allo scaffale dei detersivi, spingendo diligentemente i loro carrelli per la spesa.
- Tu che detersivo usi, per gli indumenti delicati? - domandò la prima signora alla seconda.

Giovanni Pautasso emise un profondo sospiro, mentre allungava una mano verso il bottiglione del vino. Questo sistema che avevano le emittenti private, di interrompere un film sul più bello per inserirci gli spot pubblicitari, e di farlo così, di punto in bianco, senza una sigla, una musichetta o qualche altro accidenti che ti dicesse "Attenzione, spalanca la bocca, che ti facciamo inghiottire la pubblicità", questo sistema, dunque, non gli andava per niente giù.
- Vaje pian, cô'l vin, che stasera a'j'è la nebia - gli disse Luisa, sua moglie, togliendo dal tavolo i piatti da frutta.
Lui diede un'occhiata all'orologio, scolò il suo bicchiere di Barbera, e lo depose sul tavolo. Si alzò in piedi.
- Tant a l'é ôra ca vada - disse.
Luisa lo guardò con aria vagamente incerta.
- T'las ancôra 'n quart d'ôra... - rispose con voce poco convinta; ma intanto aveva aperto l'armadio, e ne stava già tirando fuori il pesante cappotto grigio-azzurro delle Ferrovie dello Stato - T'pœle guardé 'ncôra 'n tòc 'd film...
- Non ne vale la pena - rispose lui - tanto la fine non riesco a vederla; e con questa nebbia, magari, ci metto un po' di più del solito, per arrivare a Porta Nuova...
Mentiva, sapendo di mentire. In realtà, a Porta Nuova ci sarebbe arrivato con almeno venti minuti di anticipo. Ma su un altro canale stava per cominciare "Tele-Mike": e Giovanni Pautasso sapeva benissimo che, trattenendosi in casa, avrebbe messo Luisa in una situazione estremamente difficile, costringendola a fare una scelta fra i suoi doveri istituzionali di moglie e la sua cieca devozione di mikedipendente.
Lei lo aiutò ad infilarsi il cappotto e gli chiuse il bottone del bavero, con un gesto di affetto non privo di una sfumatura di riconoscenza. Giovanni la strinse fra le braccia e le diede un bacio.
- Salüt'me Venessia - disse Luisa. Lui le sorrise, mandandole con le labbra un piccolo supplemento di bacio. Era una specie di saluto rituale, per loro, da quando Giovanni era diventato Capo Macchinista sugli Inter City della linea Torino-Milano-Venezia.
Quando si voltò a guardarla, dalla soglia della porta di casa, lei si stava installando davanti al televisore: e già, nei suoi occhi, fluttuava quella sorta di atonìa che c'é negli occhi dei drogati che stanno per intraprendere un "viaggio".
L'uomo richiuse la porta, adagio, e incominciò a scendere le scale del condominio. Luisa sola in casa con Mike: in fondo questo è un adulterio, pensò con divertita indulgenza. Un adulterio via etere, che si consumava da almeno trent'anni e cioè da quando Mike presentava "Lascia o raddoppia" e aveva ancora dei folti capelli biondi, tutti belli ondulati e tutti suoi .
Trent'anni di ménage à trois non sono mica pochi. Ma un matrimonio felice si costruisce anche sapendo chiudere un occhio quando è il caso di farlo. E, oltre che essere un uomo felice, Giovanni Pautasso era anche un uomo di larghe vedute.

La stazione di Porta Nuova, a quell'ora, era praticamente deserta. Pochi e radi viaggiatori si affrettavano verso le uscite. La nebbia andava a frangersi pigra, come sul bagnasciuga di una spiaggia, sotto i vasti portici che circondavano su tre lati la costruzione centrale.
La motrice era in cima al convoglio, a duecento metri dall'inizio dei binari, e ronzava tranquilla. Giovanni Pautasso, in piedi all'esterno di fianco al predellino, consultò per la terza o quarta volta la sua "cipolla" da tasca. Quel benedetto ragazzo aveva il vizio di arrivare sempre all'ultimo momento...
Nel silenzio, risuonò il rumore di un passo affrettato, e dalla nebbia sbucò di corsa Serafino, il secondo macchinista. Era un ragazzo di poco più di vent'anni, che era nato alle Vallette ma che si portava dietro, nei neri capelli ricciuti e nello sguardo vivace, la luce ed il sole di un paesino del meridione d'Italia: quello stesso paesino che i suoi genitori avevano lasciato più di trent'anni prima, quando avevano comperato due biglietti di sola andata per venire a Torino con il Treno del Sole.
- 'Ndôma, bòcia, 'ndôma...! - lo sollecitò Giovanni Pautasso, impaziente.
- Scusate, signor Giovanni, tengo alcuni minuti di ritardo. Stavo vedendo un film e...
- Lassa pèrde, adés... mônta, ch'a l'è ôra d'andé...
I due uomini montarono sulla motrice. Nella nebbia, risuonò il rumore sordo di una fila di sportelli che venivano chiusi, e lampeggiò, a fatica, una luce di segnalazione.
Per buia, la notte era buia, ma tempestosa non lo era di certo. Per essere precisi, non c'era neppure un alito di vento, e meno male che quella era una elettromotrice e non una barca a vela, perché altrimenti ci sarebbe stato da spararsi.
La pianura intorno a Settimo Torinese faceva del suo meglio per somigliare alle desolate pianure dello Utah, ma i suoi sforzi erano vanificati dalla grande quantità di capannoni industriali, cimiteri di automobili e vecchie cascine che costeggiavano i binari della ferrovia, frettolosi appunti di una periferia di città che pian piano lasciava il posto ai brandelli della campagna. La nebbia, poi, come spesso succedeva da quelle parti ed in quella stagione, aveva ripreso del tutto il controllo della situazione: ed i fari della motrice ne strappavano a fatica una serie di istantanee fugaci, lamiera, campo di grano, rete metallica, orticello, baracca, discarica e sette nani di gesso, spettrali, davanti all'ingresso di una villetta suburbana.
- Date 'n'andi, cô'l subièt - disse Giovanni Pautasso al secondo macchinista. E il fischio prolungato della sirena si avventò nelle tenebre della campagna circostante, lottando coraggiosamente contro la nebbia che cercava di soffocarlo fra le sue braccia di ovatta.
- ... E poi? Cosa succedeva, poi? - domandò Giovanni, senza staccare la mano dal freno di emergenza, e lo sguardo da quel poco che si riusciva a vedere al di fuori. perché Serafino stava a pochi minuti di strada da Porta Nuova, e aveva avuto il tempo di vedersi la fine di quel film che a Giovanni dispiaceva tanto di aver dovuto lasciare a metà.
- ... Poi si vedeva una centrale nucleare, e tutti tenevano una grandissima paura, perché era successo nu certo inguacchio ... E poi c'era di nuovo quell'uomo che conduceva 'o treno, proprio come voi ed io stiamo facendo adesso... Solo che lui non teneva bisogno di fischiare... Quello era 'o deserto americano, mica la Padania... e là tengono i cactus e gli scorpioni, al posto della nebbia...
- Dàje 'n taï, bòcia... dimmi come andava a finire!
- E tenete nu poco 'e pazienza, no? Dunque, 'o treno girava intorno alla montagna e si trovava davanti... indovinate un po'?
- Un masso? Un tronco sui binari?
- Ma che masso! Una formica, si trovava davanti! Una formica granne come
nu palazzo, dritta sulle zampe di dietro. E allora lui, 'o macchinista d'o treno, si metteva a urlare...
- Gesummaria! - urlò, in quel preciso momento, Giovanni Pautasso.
perché, dal soffice muro bianco in cui sprofondavano i due binari, nel cono di luce formato dai fari della motrice, improvvisamente, era scaturito l'Imprevisto: una sbarra di passaggio a livello divelta, un'automobile messa per traverso in mezzo ai binari, e un uomo che ne stava uscendo, mezzo dentro e mezzo fuori: un uomo che guardava il treno che gli piombava addosso con due occhi sbarrati ed increduli.
La scena ebbe la rapidità e la fissità di un'immagine vista attraverso l'otturatore di una macchina fotografica. Poi, naturalmente, vennero l'urlo dei freni di emergenza, lo schianto, il rumore dell'esplosione.

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