Lo scrittore

VITA SEGRETA DI EMILIO SALGARI

Mi chiamo Emilio Salgari, sono nato a Verona nel 1862 e mi sono dato la morte con le mie stesse mani a Torino nell'aprile del 1911.
C'è stato un tempo in cui i miei romanzi correvano trionfanti per il mondo, e le avventure che uscivano dalla mia penna erano l'unico sfogo per la fantasia di cui i giovinetti sono naturalmente dotati. Poi sono arrivati altri svaghi, altri divertimenti. Tuttavia non me ne cruccio più di tanto perché, ormai libero dai lacci del tempo, vedo le cose in una prospettiva più ampia. Il mondo cambia continuamente e la fama e l'oblìo rientrano nell'ordine naturale delle cose.
Dalla sorte ebbi in dote una straordinaria fantasia che fin dall'infanzia mi consentì di vivere non una ma ben due esistenze parallele, passando spesso attraverso il sipario su cui veniva proiettata la vita reale per accedere a un palcoscenico tutto mio. Su questo palcoscenico mettevo in scena una seconda vita, sognata, segreta, della quale ero a un tempo autore, regista e interprete.
Ogni volta che raccontavo o scrivevo di me mi accadeva di mescolare queste due esistenze: ma lo facevo senza malizia, non tanto per utilizzare la seconda per insaporire la prima quanto perché le due mi sembravano formare un tutt'uno, e molto spesso era difficile a me stesso districare l'una dall'altra. Chissà quante volte ho scambiato il sogno con la realtà e la realtà con il sogno, e la mia smodata passione per le avventure mi ha fatto vedere episodi e incontrare personaggi straordinari, scaturiti solo dalla mia inquieta fantasia...
Chi sostiene che io sia stato un bugiardo matricolato ha quindi ragione, ma fino a un certo punto. Oltretutto avevo delle buone attenuanti, poiché nessuno avrebbe dato credito a uno scrittore di romanzi di viaggi e di avventure esotiche che non avesse conosciuto di persona i paesi in cui ambientava le sue storie.
Solo che dopo la mia morte i miei figli hanno rincarato la dose. D'altra parte cosa dovevano fare, pòvre masnà...? Li avevo abbandonati in un mare di guai, e la fama del loro padre era l'unica cosa buona che gli avevo lasciato. Non era forse giusto che la sfruttassero senza riguardo?
Fatto sta che negli anni fra le due guerre avallarono un cumulo di menzogne. Omar, per esempio, curò un paio di biografie che tendevano ad accreditarmi come un antesignano del fascismo e Nadir collaborò a un libro intitolato Le mie memorie che in fatto di panzane passò veramente il segno.
Anche in seguito sul mio conto ne ho lette, viste e sentite di cotte e di crude, di poppa e di prora, di dritte e di rovesce. Ed è per questo che ho deciso di riprendere in mano la penna e portare sulla mia vita una testimonianza diretta.

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