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COME FU CHE I LIBRI PER I BAMBINI DIVENNERO ADULTI

Dicevamo, la volta scorsa, di quei bellissimi libri illustrati per l'infanzia che si cominciarono a pubblicare, soprattutto in Inghilterra, a partire dal I900 circa: e ci domandavamo se, e fino a che punto, essi potessero ancora essere considerati dei "libri per i bambini".

Perchè i bambini, fino a quel momento, erano stati ben poco viziati, sia dai genitori che dagli editori. Un po' per il fatto che i procedimenti per stampare le "figure" a colori erano complicati, e quindi costosissimi; un po' perchè la mentalità ottocentesca tendeva a rinchiudere il bambino in un recinto rigidamente pedagogico, delimitato dai poli Dio-Patria-Famiglia e accuratamente protetto contro possibili intromissioni di carattere edonistico; fatto sta che la maggior parte dei libri "per i bambini" erano stati fino allora dei "concentrati" di nozioni scolastiche e/o di buoni sentimenti, poco invitanti alla lettura e pochissimo allo sguardo, illustrati com'erano da incisioni in bianco e nero di gusto accademico, se non addirittura "verista".

La Francia, ad esempio, era pressochè invasa da collane di letture edificanti, la cui piacevolezza si arrestava alla copertina in tela rossa con impressioni in oro; mentre i fanciulli del giovane Regno d'Italia non avevano di che stare molto più allegri, visto che potevano scegliere, al massimo, fra i volumi para-scolastici del Giannettino di Collodi e la tetra "editio princeps" del Cuore di Edmondo De Amicis.

Anche in Inghilterra (da sempre più disponibile a recepire suggestioni di carattere fantastico) l'editoria per ragazzi camminava ancora sui binari di un accademico trantran: ma già vi si respirava nell'aria quel vento di rivoluzione che stava sovvertendo tutte le fondamenta della cultura figurativa del tempo.

Com'era cominciata, questa rivoluzione?

Nel 1848, un gruppo di pittori (di cui facevano parte, fra gli altri, Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais e William Holman Hunt) aveva dato il via al cosiddetto Movimento Prearaffaellita: una "scuola" che intendeva ricuperare, quale modello per la pittura, la realtà effettiva, e non quella perfetta "riproduzione della realtà" che i grandi Maestri, da Raffaello in poi, avevano messo a punto e in qualche modo codificato: riproduzione della realtà che, diventando il punto di riferimento obbligato delle Accademie, aveva in qualche modo "museificato" la storia dell'arte, portandola a una specie di "impasse", nella quale qualsiasi tentativo di rinnovamento diventava impossibile.

Il Movimento Preraffaellita (che di per sè si esaurì abbastanza rapidamente) ebbe, tuttavia, delle conseguenze incalcolabili, poichè, senza la violenta spallata che esso inferse alla Tradizione, non ci sarebbero stati probabilmente nè gli Impressionisti (Le déjeuner sur l'herbe di Manet è del 1863) nè la grande fioritura dell'Art Nouveau. Di conseguenza, non ci sarebbe stata neppure quella straordinaria messe di nuovi fermenti e di nuove proposte da cui scaturirono tutte delle avanguardie del Novecento e, in ultima analisi, tutta l'Arte Moderna.

Ma ritorniamo ai libri: fra coloro che aderirono al Movimento Preraffaellita, c'era anche un personaggio irrequieto e instancabile di nome William Morris, che univa alle doti letterarie una straordinaria capacità imprenditoriale. In polemica con il progressivo appiattimento che derivava dalla nascente industrializzazione, Morris teorizzò, fra molte altre cose, anche la necessità di fare del libro un'opera d'arte, curandone non solo i contenuti ma anche la veste grafica e tipografica, e considerando il testo e le illustrazioni come facenti parte di un tutto armonico, alla pari di quanto avveniva con i codici miniati del Medio Evo.

La Kelmscott Press, la casa editrice che Morris fondò nel 1891, e alla quale affidò il compito di tradurre in forma concreta le sue enunciazioni teoriche, rimase un'iniziativa essenzialmente élitaria. Tuttavia, la sua influenza non tardò a ripercuotersi sul mondo dell'industria editoriale, facendo sì che il concetto del "bel libro" si allargasse anche a settori del mercato editoriale che fino a quel momento erano stati considerati essenzialmente popolari. Come, per l'appunto, quello dei libri per bambini.

Contemporaneamente, sopravvenne un'altra rivoluzione: l'evolversi delle tecniche di stampa permise agli editori di riprodurre fotograficamente i disegni a colori degli illustratori, eliminando tutti i laboriosissimi passaggi intermedi dell'incisione e/o dell'acquarellatura. Dal punto di vista estetico, ciò permetteva di ottenere una gamma di sfumature praticamente illimitata, e fedelissima all'originale realizzato dall'artista; mentre, dal punto di vista industriale, consentiva di abbattere drasticamente i tempi e i costi di produzione.

Il concorso di queste due circostanze (la teoria morrisiana del "bel libro", ed i nuovi orizzonti aperti dalle tecniche di riproduzione) spinse i libri per i bambini verso un improvviso salto di qualità.

Il primo, e il più rigoroso, degli artisti che fecero propri i precetti di William Morris, fu Walter Crane; ma a breve distanza da lui venne un folto manipolo di illustratori della nuova generazione (fra gli altri Arthur Rackham, Edmund Dulac, Kay Nielsen, e i fratelli Charles e W.H.Robinson, tanto per non citare che i nomi più noti) che rapidamente impararono a sfruttare al meglio le possibilità loro offerte dalle nuove tecniche di stampa. Da parte loro, gli editori si accorsero che il mercato, come si direbbe oggi, "tirava": ed incominciarono a gareggiare l'uno con l'altro per assicurarsi gli artisti più bravi, e per dare ai loro libri "per i bambini" una veste tipografica sempre più sofisticata. Con il risultato di realizzare dei volumi così belli che difficilmente si può credere che potessero essere messi senza timori fra le mani distruttive dei bimbi.

I veri destinatari dei "libri per i bambini", insomma, erano diventati gli adulti. E ne fanno fede, fra le altre cose, le tirature "de luxe" (numerate e firmate), che regolarmente affiancarono, da un certo punto in poi, le edizioni normali.

"Per i bambini", erano rimasti sì e no i contenuti; e, per completare la metamorfosi, non restava da compiere che un ultimo passo. Passo che gli editori specializzati non tardarono a fare, affidando agli stessi artisti che illustravano i libri "per i bambini" il compito di illustrare, in volumi analoghi, i testi più "adulti" e impegnativi della letteratura inglese (Shakespeare, Shelley, Milton, Coleridge), americana (E.A.Poe) o addirittura orientale (il Rubàiyàth di Omar Khayyàm).

A questo punto, la metamorfosi era compiuta: da una costola del "libro per i bambini" era nato il cosiddetto "gift-book". Praticamente, quello stesso tipo di prodotto editoriale che, sotto le rinnovate spoglie del "libro-strenna" , continua a vivere ancora oggi, in occasione soprattutto delle feste natalizie.

(Comic Art, febbraio 1992)

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