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I BAMBINI SOVRUMANI CHE CI DANNO LEZIONE DI UMANITA'

E riusciamo finalmente a parlare de La stirpe dei dannati. Ricordate? Vi consigliai, mancandomi lo spazio per parlarvene la volta scorsa, di inseguirlo ostinatamente nelle sale di periferia, dal momento che I'ottusa diffidenza dei distributori italiani aveva ritenuto opportuno bruciarlo nel desolato deserto delle programmazioni estive.

Che cosa stupida. Ricordo lo scorso agosto, mancavo dall'Europa da circa un mese, non avevo, grazie a Dio, più sentito parlare di tecnologia, di ricevimenti, di scandali, di pubblicità e neppure di film. II giornale che aprii quel giorno fu un cupo paesaggio di civiltà che mi sommerse brutalmente, dopo un mese di noci di cocco, di palme, di acque e di cielo incredibilmente tersi; ne esalarono immediatamente, come lo aprii, fitte nuvole di smog. E mi saltò sugli occhi, dalla quarta pagina, questa frase banale e pomposa come tutti gli slogan pubblicitari: "Esseri di una forza sovrumana e misteriosa terrorizzano il mondo. Chi potrà fermare la loro spaventosa violenza?". Era il secondo giorno di programmazione de La stirpe dei dannati, e ben che feci a precipitarmici perché era anche I'ultimo.

Al fatto. Voi ricordate certamente un discreto film di Wolf Rilla di tre o quattro anni fa intitolato Il villaggio dei dannati, tratto da un racconto di John Wyndham. Si immaginava, in quel film, che un intero villaggio venisse provvisoriamente occupato da ignoti e invisibili esseri spaziali che poi scomparivano senza lasciare traccia di sè, se non l'iniziata gravidanza di tutte Ie donne del villaggio. (Pensate: uno stormo denso, compatto, di fantascientifici Spiriti Santi; mi sorpresi, allora, a domandarmi quale ecatombe di donne avrebbe provocato, un simile fatto, in un paese del meridione d'ltalia). I bambini che nascevano, dopo i regolari nove mesi, avevano capelli biondi, occhi incandescenti e poteri sovrannaturali. Comandavano, e uccidevano chi non obbediva. Erano, in sostanza, la pattuglia d'assalto di una progreditissima civiltà che voleva fare della Terra, se non ricordo male, un suo privato possedimento.

La stirpe dei dannati (Children of the Damned) mutua da quel film la trovata centrale, facendoci trovare sulla Terra, fin dall'inizio, gli stessi biondissimi e sovrumani bimbetti; ma ne rovescia poi, coscientemente, il significato. I bambini, infatti, non appartengono a un'altra civiltà, ma alla nostra, quale essa sarà fra milioni di anni. Un concomitarsi di cause biologiche ne ha anticipata la nascita ai nostri giorni, ed essi si guardano attorno con la stessa attonita curiosità di un ragioniere che improvvisamente si trovi trasportato nella preistoria. E di questi bambini, così diversi da loro e così più intelligenti di loro, gli uomini hanno paura. Ecco che i termini sono rovesciati: non i bambini attaccano I'uomo, ma I'uomo attacca i bambini, perché sono diversi da lui, e quindi li teme, e quindi vuole distruggerli. Ed ecco che scatta il significato del film: la sconfinata, ottusa presunzione di una creatura che si considera animale intelligente ma contemporaneamente rifiuta di credere e di capire tutto ciò che non riesce a capire.

Andiamo avanti. Contesi dalle maggiori potenze, braccati, incapaci di comprendere l'odio che si trovano intorno, i bambini si rifugiano in una chiesa sconsacrata, che viene circondata da un intero esercito, mobilitato in massa con carri armati, lanciafiamme, bazooka e via di seguito. Non sarebbe loro difficile, naturalmente, spazzare via tutti quelli che hanno intorno e incominciare una loro nuova, migliore civiltà. Ma essi rifiutano di usare la violenza; oppongono all'odio la pietà, all'isterismo degli uomini una serena lucidità di menti superiori, a una visione egocentrica ed angusta del mondo una visione più ampia e più matura. I grandi scienziati e i grandi generali che sono intorno a loro, sentono, finalmente, la vergogna. Quei bimbetti sono riusciti a far loro capire quanto miseri e limitati essi siano, nella loro sconfinata presunzione e nella loro immaginaria potenza. Stanno, immagino, per consegnare nelle mani di quei pupetti Ie armi e Ie macchine della nostra civiltà, pregandoli umilmente di insegnarci ad essere semplicemente e solamente degli uomini. Ma a questo punto il film ha un'ultima impennata: un cacciavite, un innocuo, stupido cacciavite, rotola su un piano inclinato e cade sul pulsante che ordina a tutti i reparti militari di aprire il fuoco. Si scatena I'inferno, mentre i responsabili corrono intorno cercando vanamente di arrestarlo. Quando finalmente ci riescono, sotto Ie macerie della chiesa spuntano solo più delle piccole, gelide manine.

Non vorrei avervi data I'impressione che il film sia un acquoso ed astratto appello a una maggiore modestia e un'ideale fraternità fra i popoli. Gli nuoce, se mai, proprio un eccesso di spettacolo: Ie lotte fra Ie grandi potenze per impadronirsi dei piccoli, Ie granguignolesche sparatorie, il romanzetto d'amore dell'immancabile scienziato che, solo, si batte in difesa dei bambini, tutto quello spiegamento di forze alla fine, tanto imponente da diventare fasullo, come nei finali dei film sulle formiche giganti e gli altri mostri. Ma, se togliete queste sovrastrutture, del resto impastate in un solido impianto spettacolare, il film fila diritto e avvincente sulla corda tesa del suo tema, uno dei più plausibili e più nobili della fantascienza adulta: lo stesso tema che ispirò, tra I'altro, quel minuscolo gioiello della letteratura fantascientifica che è il Sentinella di Fredrick Brown. Quando nell'ultima inquadratura la macchina da presa, dopo una lunga, sapiente carrellata, plana e si arresta sul cacciavite che ha provocato la fine, quell'umile attrezzo caduto a terra diventa il più eloquente atto di accusa a tutto uno stolido sistema che sta lentamente uccidendo, nell'uomo dl oggi, I'umanità.

II regista del film è Anton M. Leader; nomi sconosciuti nel cast degli attori. Una lucida, crudele fotografia, densa, a tratti, di umori espressionistici. E poi? Nel giorno in cui scrivo, Ponti annuncia I'imminente uscita de La decima vittima, tratto da un feroce e ironico racconto di Sheckley: Dio non voglia che Petri ci conduca in una nuova Alphaville.
Buon Natale a voi.

("Selene", dicembre 1965)

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