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FIABE E NON SOLO FIABE

Parlare di Arthur Rackham (come abbiamo fatto qualche mese fa) senza parlare di Edmund Dulac, significa parlare di Stanlio senza parlare di Ollio: e il paragone trova riscontro soprattutto nel fatto che si tratta di due personaggi di primissimo piano, e non, come spesso succede nelle "coppie" cinematografiche, di un personaggio grandissimo e di una "spalla" efficace ma molto al di sotto di lui.

Così come Stanlio e Ollio, Rackham e Dulac sono entrambi due "grandi": e lo scontro fra di loro, nella tenzone dei libri illustratri che coinvolse all'inizio del secolo buona parte dell'editoria inglese, fu appassionante e diretto: tanto da poter immaginare sui muri delle case, nella Londra di John Galsworthy e di George Bernard Shaw, dei grandi manifesti annuncianti l'ennesimo match "Rackham versus Dulac". Lo scontro era reso più emozionante dal fatto che il grande successo di entrambi fu dovuto in parte allo stesso editore, e che i passaggi di scuderia di Arthur Rackham ebbero tutte le connotazioni che un secolo dopo avrebbero avuto quelle dei presentatori e dei giornalisti televisivi, in perpetua migrazione dal paese della Rai a quello di Mediaset.

Ma non anticipiamo, e vediamo qual'era la situazione all'inizio di quel secolo che sta volgendo alla fine, Da un punto di vista genericamente culturale, il polo magnetico di intellettuali e di artisti non era Londra ma Parigi, dove confluivano letterati, musicisti, pittori e cineasti da ogni parte d'Europa. Ma per quanto riguarda ciò che più ci interessa l'Inghilterra era sempre il Paese in cui William Morris e Burne-Jones avevano rivoluzionato la concezione stessa del libro, e dove l'industria editoriale, con la collaborazione di artisti come Aubrey Beardsley, Charles Ricketts e Walter Crane stava compiendo passi da gigante verso la produzione in serie di opere di elevatissimo livello grafico.

Nessuna meraviglia quindi che mentre a Parigi arrivavano Umberto Brunelleschi dall'Italia, Alphonse Mucha dalla Moravia, Frantisek Kupka dalla Boemia, Kay Nielsen dalla Scandinavia, Hermann Vogel dalla Germania, ci fosse anche qualcuno che si muoveva in controtendenza e abbandonava Parigi (dove peraltro l'editore Piazza stava avviando una produzione di libri di elevato livello artistico e tipografico) per approdare a Londra.

Edmond Dulac (Toulouse 1882 - Londra 1953) era quello che si suol definire un anglofilo, tanto da arrivare a cambiare il proprio nome di battesimo (Edmond) in quello più anglofono di Edmund. Un paio d'anni di studi di legge erano bastati a convincerlo del fatto che la sua strada era più quella dell'illustratore che quella del leguleio, e nel 1905 (anno in cui Rackham entrava nel periodo più fulgido della sua carriera artistica con le illustrazioni per il Rip van Winkle di Washington Irving), egli otteneva la sua prima affermazione illustrando per un editore inglese le opere delle sorelle Bronte, con tavole che viste oggi non vanno al di là di un corretto mestiere ma che ottennero abbastanza successo da indurlo a lasciare definitivamente la Francia e a trasferirsi a Londra.

La fortuna gli arrise in modo sfacciato. Arthur Rackham, dopo aver pubblicato un nuovo splendido volume con Hodder & Stoughton (Peter Pan in Kensington Gardens, 1906), aveva appena firmato un contratto a lunga scandenza con Heinemann, con cui già aveva pubblicato Rip van Winkle e per cui avrebbe realizzato la maggior parte delle sue opere successive. Dulac arrivò da Hodder & Stoughton proprio mentre questi editori cercavano qualcuno che potesse adeguatamente sostituire Rackham, e ricevette a tambur battente l'incarico di realizzare le illustrazioni per una selezione di novelle da Le mille e una notte (Stories from the Arabian Nights); illustrazioni che egli condusse a termine giusto in tempo per affrontare lo scontro frontale, nel Natale del 1907, con un altro dei grandi libri di Rackham, l'Alice in Wonderland di Lewis Carroll.

Fu uno scontro ai massimi livelli, poiché entrambi gli artisti seppero sfruttare al meglio la nuova tecnica di riproduzione delle tavole a colori testè messa a punto da Carl Hentsche (che consisteva nello scomporre ogni immagine in tre negativi fotografici filtrati da tre tinte base e nel ricomporle in sede di stampa, eliminando il lungo e costoso processo delle xilografie a colori e ottenendo delle riproduzioni quasi identiche agli originali). Ma mentre Rackham, soprattutto nei primi libri, optò per una gamma cromatica molto limitata, muovendosi in un mondo di beiges e di azzurri pallidi, Dulac usò l'intera tavolozza dei colori, specializzandosi nell'uso del blu cobalto per le scene notturne. Aggiungendo un utilizzo del colore per strati successivi di acquerelli molto diluiti e mescolati fra di loro, che alla fine davano come un senso di spugnatura, egli otteneva delle tavole estremamente morbide e ricche di sfumature. Se si trattasse di due incisori, diremmo che Rackham eccelleva nell'uso del bulino e Dulac in quello dell'acquatinta: caratteristica che conferisce alle sue tavole una grande suggestione e gradevolezza, compensando una maggior genericità del segno grafico che, pur essendo di elevato livello, resta meno personale e fantasioso di quanto non lo sia quello di Rackham.

La sfida del 1907 si concluse comunque con un pari e patta, e i due artisti proseguirono due carriere parallele e per molti versi analoghe, premiati entrambi da un successo che però finì, come spesso succede, per condizionarne le scelte. Entrambi cercarono a un certo punto di uscire dai limiti, rivelatisi angusti, del libro per l'infanzia; ma mentre Rackham lo fece troppo tardi (e i suoi tentativi di affrontare autori come Milton, Ibsen o Swinburne risultarono quindi stonati o stanchi), Dulac incominciò a mordere il freno subito dopo il grande successo delle Arabian Nights, quando ancora si trova all'inizio della propria carriera. Eccolo dunque alternare nuovi classici per bambini (The sleeping beauty, 1910; Stories from Hans Andersen, 1911) ad autori molto più complessi ed impegnativi: lo Shakespeare di The tempest (1908), l'Omar Kayyàm del Rubàiyàt (1909) e soprattutto il Poe di The bells and other poems (1912): tre testi che non è certo facile ricondurre nell'area della letteratura per l'infanzia. Soprattutto The bells risulta essere un libro straordinario, poiché l'adozione di una tavolozza di toni scuri consente all'artista di ricreare a colori le angosciose atmosfere di Poe: cosa che non è affatto semplice, come testimonia il fatto che i più grandi illustratori di Poe abbiano quasi sempre preferito ricorrere al bianco-nero. Inoltre, Dulac attinge alle fonti figurative più disparate, dai preraffalliti alla secessione viennese, dall'arte orientale al Rinascimento italiano, in un mélange che potrebbe risultare di pessimo gusto e risulta invece singolarmente affascinante; e che attesta la presenza di una cultura molto più ricca e sfaccettata di quella di Rackham.

Il pubblico lo seguì ma solo fino ad un certo punto, volle altre Arabian Nights, e gli editori insistettero perché lui glie le desse. Dulac sembrò piegarsi alle loro esigenze, sfornò una Princess Badoura nel 1913, un Sinbad the sailor nel 1914; ma surrettiziamente si ribellò, evolvendo il suo segno grafico in una direzione più adulta.

Fin dall'inizio era stato chiaro che l'artista subiva il fascino dell'Oriente, ma si trattava pour sempre di un Oriente corretto all'europea, in linea con quello superficiale ed esotico che andava tanto di moda a Londra e a Parigi in quegli anni. A partire da Princess Badoura, invece, egli incominciò gradualmente ad approfondire il suo rapporto con i codici figurativi più autentici dell'arte orientale, rielaborando via via, alla luce della propria sensibilità, le turqueries e la grafica giapponese, il classicismo ellenico e le miniature indiane e persiane. Si vedano, per non citare che un esempio, le straordinarie tavole ispirate alla pittura vascolare greca che servirono a illustrare ben due testi diversi (i Tanglewood Tales di Hawthorne in Inghilterra e Le toison d'or, una summa della mitologia greca realizzata dall'editore Piazza, in Francia).

Il suo segno si fece sempre più stilizzato, il suo colore sempre più vetrificato e freddo, sempre meno adatto alle illustrazioni dei libri; e infatti, a partire dagli anni venti, mentre si andava affermando anche nel mondo della grafica un déco che gli era sostanzialmente estraneo, egli incominciò a ridurre il suo impegno di illustratore di libri per dedicarsi, come aveva già fatto Walter Crane, ad altre attività che lo avrebbero impegnato fino alla fine della sua vita: pittura a olio, manifesti, francobolli, carte da gioco e perfino composizioni musicali. Non era solo lui che era cambiato, erano cambiati i tempi; e tra le molte cose che la guerra del 1915-18 aveva travolto, c'era anche quella cosiddetta "età d'oro dell'illustrazione" della quale sia Rackham che Dulac, i nostri amati Stanlio e Ollio, erano stati fra i maggiori protagonisti.

(Collezionare fumetti e libri per l'infanzia n.4, Little Nemo, Torino, dicembre 2001)

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