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QUANDO IL LIBRO ERA UN "OBJET D'ART"

Una mostra di legature spagnole della Biblioteca Nazionale di Madrid, mostra che si è tenuta a Roma all'inizio del 1992, nell'ambito della rassegna "Espana-Italia" (e con la collaborazione del Ministerio de Cultura spagnolo e del nostro Ministero degli Affari Esteri), ci ha fatto conoscere un capitolo della storia del libro spagnolo fin qui poco noto in Italia.

Insieme alla Biblioteca Nazionale di Madrid, ha organizzato la Mostra la Biblioteca Vallicelliana di Roma, cui da qualche tempo il caso (o non piuttosto l'attivismo della Direzione?) riconduce con maggiore frequenza gli itinerari della nostra curiosità.

Questa volta, nelle bacheche del vasto salone borrominiano erano allineati oltre un centinaio di preziosi esemplari di libri rilegati (senza contare un certo numero di legature orbate -ahimé- del loro contenuto): fra i quali spiccavano alcuni esemplari di legatura gotica, molto rara in Spagna, e sei legature magrebine del secolo XV, di probabile derivazione araba.

Senza addentrarci in una analisi dettagliata del merito della Mostra, diremo tuttavia, da amatori del libro in senso lato, che l'interesse maggiore si concentrava sugli esemplari più antichi, diciamo quelli che risalivano approssimativamente fino al secolo XVI: fu soprattutto in questo periodo, infatti, che la legatura spagnola si mosse, rispetto al resto d'Europa, con maggiore autonomia, assimilando un evidente influsso arabo ed orientale, ma innestandolo su temi stilistici propri della cultura iberica dell'epoca: dando vita così a due stili assolutamente autoctoni, quello cosiddetto "mudéjar" (secoli XIII-XIV-XV) e quello, tipicamente spagnolo, denominato "plateresco" (secolo XVI).

Se l'interesse maggiore era suscitato da questo tipo di legature, va detto però che, dal punto di vista del godimento estetico, i volumi dei secoli successivi non deludevano affatto: e non tanto quelli ispirati a tradizionali motivi barocchi e rococò (troppo chiaramente dominati dall'influsso delle contemporanee legature francesi e italiane, senza averne l'originalità e l'eleganza), quanto quelli della cosiddetta "scuola di Valenza", che cominciarono ad apparire nella seconda metà del XVIII secolo, e che rivoluzionarono l'arte della legatura, non solo da un punto di vista stilistico ma anche da quello dei materiali impiegati.

Se la pergamena (con o senza assicelle di legno) aveva dominato i primi secoli della storia della legatura, a partire dal XVI secolo la pelle l'aveva praticamente soppiantata, affermandosi in tutta Europa come il materiale principe per la conservazione del libro. I legatori della scuola di Valenza, al contrario, ricuperarono la pergamena, dipingendola però con colori delicati e allegri (rosa, beige, verde chiaro, celeste), in sobri impianti grafici di tipo geometrico che conferivano al libro una lievità e una grazia eleganti e singolarissime (la mostra di Roma ne presentava un paio dovute a Vincente Beneyto, che fu, della scuola di Valenza, uno dei massimi esponenti).

Al di là, comunque, dell'interesse presentato dal suo tema specifico, la mostra della Biblioteca Vallicelliana ha avuto il merito, niente affatto secondario, di riaffermare senza mezzi termini l'importanza della legatura del libro come "objet d'art": non a caso affidando l'"incipit" del catalogo ad una appassionata introduzione di Manuel Carriòn Gùtiez.

Dopo aver ribadito l'ovvio concetto per cui solo grazie alla legatura il libro diventa una realtà oggettiva, distinta sia dal suo contenuto che dai molteplici fogli di cui è composto, Carriòn Gùtiez scrive: "Per questo mi fa inorridire un libro lacerato o smembrato, mi fanno vergognare, per la loro impudicizia, quelli nudi o vestiti a metà e mi fanno addirittura pena quelli malvestiti, con abiti fatti in casa, di stoffetta andante... Non mi entusiasma neppure l'odierno libro di consumo: provvisorio, senza ossatura

nè nervi, pagliaccesco e pacchiano, con la sua camicia "tropicale" o la copertina plastificata, condannato a una vecchiaia precoce e penosa..." E poi ancora: " ...Il fatto è che il libro è anche, fra le tante altre cose, una creatura di compagnia: e le compagnie uno le vuole belle. L'aspetto, dunque, del libro... deve essere bello oltre che eloquente, docile e durevole".

Ora, questo è un punto di vista che ci sentiamo, in larga parte, di poter condividere; e che ci consente di fare, sulla "funzione" della legatura, alcune riflessioni.

"Contenitore di idee" per eccellenza, il libro è anche un'entità fisica che può avere una sua validità formale e oggettuale completamente autonoma rispetto ai contenuti che essa veicola. Basti pensare ai codici miniati del Medioevo e del Rinascimento; e all'importanza che assumono, da Gutenberg in poi, la carta, la legatura, i caratteri tipografici, le illustrazioni e così via.

In questa ottica, anche la legatura, che è nata, come moltissime altre cose, con una finalità di carattere esclusivamente pratico (raccogliere, conservare, proteggere), ha rapidamente raggiunto una sua validità estetica che l'ha spostata, a tutti gli effetti, dalla categoria delle "cose utili" alla categoria delle "opere d'arte", al di là della sua funzione primaria e dei contenuti che essa contribuisce a proteggere.

Come tutte le opere d'arte , fra le altre cose, anche la legatura ci consente di leggere, nell'avvicendarsi dei fregi e dei materiali di cui si serve, la storia dei popoli e dei loro rivolgimenti culturali. Grazie soprattutto ad uno stuolo di abilissimi e spesso anonimi artigiani, impegnati per secoli ad abbellire l'aspetto esterno dei libri (a prescindere dai loro contenuti, che spesso non conoscevano affatto) con motivi decorativi (a secco o dorati) che riecheggiavano essenzialmente il percorso parallelo delle cosiddette arti maggiori.

Questo tipo di rapporto (esclusivo, ma per altri versi generico) fra il libro, la sua legatura e l'artigiano che la realizza, resta in vigore fin verso la metà del secolo XIX, epoca in cui pressapoco si arresta la mostra della Biblioteca Vallicelliana da cui abbiamo preso le mosse. E non è certo un caso che la mostra si concluda proprio con alcune pubblicazioni (le cosiddette Guide dei Forestieri) che già anticipano, con le loro legature cartonate, decorate con stampe di paesaggi e figure, le successive tendenze che emergerenno nella seconda metà del secolo.

Che cosa succede, infatti, verso la metà dell'Ottocento? Succede che, al vento della crescente industrializzazione, le tirature aumentano, ed anche il libro diventa un prodotto come tutti gli altri, il cui primo imperativo categorico è quello di essere venduto.

Gli editori, insomma, non tardano a rendersi conto del fatto che, come succede per tutti gli altri prodotti, anche il modo di presentare al pubblico un libro ha una importanza determinante per il suo successo; in altre parole, che un libro che "si presenta bene" si vende meglio. Ed è a questo punto che nasce la cosiddetta "legatura editoriale", concepita e realizzata sotto il controllo diretto dell'editore, e con la quale ogni singolo esemplare di libro rilegato cessa di essere un "unicum" per diventare un prodotto di serie.

Anche se talvolta le legature editoriali (come ad esempio quelle di alcuni libri romantici francesi) sono affascinanti per la ricchezza dei loro motivi decorativi, è chiaro che l'ottica della produzione di serie mal si accorda con il concetto dell'"objet d'art" di cui si è parlato prima. E infatti la reazione a questa tendenza non tarda a farsi sentire. In due tempi e in due modi successivi.

Partendo dall'Inghilterra, che essendo stato il primo Paese europeo a imboccare la strada dell'industrializzazione è stato anche il primo ad avvertirne la progressiva invadenza e le ricadute negative , si sviluppano in tutta Europa i movimenti Arts & Crafts, che promuovono il diffondersi delle arti applicate come punto di incontro fra l'Arte e l'Industria. Grazie soprattutto all'inglese William Morris, questa rivoluzione investe anche il mercato librario, contribuendo in misura determinante ad affermare il principio che tutti i problemi estetici e formali connessi con la realizzazione di un libro devono essere affidati ad un unico artefice-artista.

In questa specie di "area di competenza", che fu definita "architettura del libro", rientra ovviamente anche la legatura editoriale: e a partire dalla fine del secolo, in corrispondenza con il fiorire dell'Art Nouveau e con il prendere piede della produzione di libri illustrati di lusso (soprattutto in Francia ed in Inghilterra), accade sempre più spesso che lo stesso artista che si occupa dell'illustrazione del libro ne disegni anche la rilegatura editoriale: e basti, fra gli innumerevoli esempi, ricordare le splendide composizioni ideate da Aubrey Beardsley per le legature editoriali dei non molti libri da lui illustrati.

Tuttavia è chiaro che legatura editoriale, anche se creata da un artista e per bella che sia, è ancora ben lungi dal poter essere considerata un'opera d'arte, perché resta sempre e comunque un prodotto di serie.

E' così che, a partire dall'inizio del Novecento e per una trentina d'anni almeno, la legatura d'arte (intesa come un "unicum", realizzato per così dire "ad personam"), conosce una nuova straordinaria stagione. Le legature di questo periodo sono nettamente influenzate dai codici culturali e formali dell'Art Nouveau prima e dell'Art Déco poi: e di questi movimenti estetici costituiscono probabilmente uno dei momenti più felici e più alti. (Si può agevolmente verificare questa affermazione visitando il Museo delle Legature Weil Weiss alla Biblioteca Trivulziana di Milano, una delle più affascinanti collezioni "specializzate" mai messe insieme da un collezionista privato. O più semplicemente sfogliando un bel volume edito dall' Editore Cantini di Firenze, dal titolo Art Nouveau e Art Déco nelle copertine dei libri, che rappresenta una affascinante "summa" di quanto di meglio ha prodotto, a cavallo del secolo e nei decenni successivi, la legatura d'arte europea).

Cosa aveva in comune, la nuova generazione di artigiani che rese possibile il fiorire di questa straordinaria stagione, con i maestri legatori dei secoli passati? Sicuramente l'amore per ciò che facevano, e la capacità di trasfondervi il gusto dell'epoca in cui vivevano. Ma essi avevano anche, rispetto ai loro predecessori, una maggiore cultura, e quindi una maggiore conoscenza dei contenuti dei libri che erano chiamati a "rivestire". Conoscenza che, ovviamente, essi trasfondevano nelle legature che realizzavano.

Fu grazie a loro che la legatura d'arte compì un ulteriore e definitivo passo avanti: poiché ogni singola rilegatura non fu più soltanto (come lo era stata nei secoli precedenti) un "contenitore", splendido quanto si voglia ma adatto a qualsiasi tipo di libro, ma divenne una parte coerente e integrante del libro che conteneva.

Anche senza arrivare al caso estremo di F.L.Schmied, di cui abbiamo già parlato altra volta, e che estendeva anche alla legatura la sua funzione di "architetto del libro" (arrivando a realizzare lui stesso nel suo "atelier" la legatura di ogni singola copia di alcuni suoi libri), è chiaro che questo modo di concepire la legatura rappresenta probabilmente un "top" che difficilmente potrà essere superato: poiché, se "l'odierno libro di consumo" di cui parlava Carriòn Gùtiez può essere paragonato ad un abito "pret-à-porter", è chiaro che la legatura d'arte del Novecento, studiata in funzione specifica di "quella" copia di "quel" libro rappresenta un modello esclusivo di alta sartoria.

Proprio quel tipo di "abito" che si vorrebbe poter donare a chi si ama: che sia una persona o, perché no, un libro.

(Vita Italiana - Cultura e Scienza, gennaio-marzo 1992) [ma 1994])

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