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L'ANNO SCORSO A MARIENBAD

Per la verità, l'anno scorso a Marienbad non successe nulla che vi possa particolarmente interessare; ci passai, sì, nel corso di un viaggio in Boemia, per un doveroso atto di cinefila deferenza. Ma, come avrei già dovuto sapere, il mito non tollera gli incontri ravvicinati, e la quieta cittadina termale boema non mi diede, in termini di fremiti estetici e culturali, molto di più di quanto non mi diedero a suo tempo Montecatini o Salsomaggiore.

Appare dunque evidente come il titolo di questo articolo sia del tutto pretestuoso. Sarebbe stato più onesto titolare "L'anno scorso, a Praga": poichè fu soprattutto a Praga che, se pure nei limiti concessi dal ritmo di un viaggio turistico, cercai, per negozietti e librerie antiquarie, qualche libro illustrato che valesse la pena di portare a casa e di cui magari, poi, valesse la pena di parlarvi.

Poichè andavo, se permettete, nel cuore della Mitteleuropa, a due passi da quella Vienna che fu uno dei principali focolai della rivoluzione dello Jügendstil; nella patria di Alphonse Mucha, che fu, dell'epoca d'oro del libro illustrato, e più in generale dell'Art Nouveau, uno degli artefici più grandi; in una città in cui l'Art Nouveau sbuca fuori dappertutto, come i vulcani di Paperino in Vulcanovia, nell'architettura come nei ferri battuti, nelle vetrate come nelle insegne dei negozi; ed in cui financo le scritte più umili, come quelle dei cessi, sono composte con i caratteri floreali disegnati da Arnold Böcklin.

Ebbene, mai deliziosa attesa di ricercatore fu più amaramente delusa. Tutto ciò che mi offrirono fu una prima edizione boema del Pater di Mucha, che oltretutto stava all'edizione originale francese come un qualsiasi "pocket-book" dei nostri tempi frettolosi sta ad un codice miniato del Rinascimento. (Sia detto per inciso, questa non fu l'unica mia delusione: Praga è bellissima, ma non è certo più quella di Rabbi Loëw o di Franz Kafka, e neppure quella di pochi anni fa, umiliata e offesa da un regime plumbeo e totalitario. In pochi anni, i solerti cecoslovacchi l'hanno ridipinta da capo a fondo con allegri colori pastello: sicchè adesso, molto più che nel mondo cupo del Golem, sembra di entrare in un negozio di gelataio, o, se preferite, nel paese dei Puffi. Se cercate la Praga della vostra fantasia, dunque, risparmiatevi il viaggio, e andate piuttosto a vedervi Delitti e segreti: un curioso film di Steven Soderbergh incentrato su Kafka, che riesce a creare una stupenda atmosfera espressionista in bianco e nero, per poi distruggerla in modo dissennato con un finale a colori che non c'entra niente con il resto del film).

Ma ritorniamo a noi.

Di tutti gli artisti cecosclovacchi che, tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento, hanno arricchito la storia della grafica e dell'illustrazione del libro, Alphonse Mucha è l'unico ad avere conquistato, in patria, la statura del "divo". In qualsiasi negozio, bancarella o museo si trova un libro in quattro lingue dedicato ai vari aspetti della sua produzione artistica. E la vetrata da lui dipinta, nella Cattedrale che fa parte del complesso del Hrad (il Castello che domina Praga: ma non ci libereremo dunque mai dell'ombra di Kafka?), fa clicchettare le macchine fotografiche dei turisti con più frenesia che non tutte le altre messe assieme.

Ma perchè tutto questo? Perchè, ad esempio, nessuno parla e nessuno si ricorda dell'opera grafica di Alfred Kubin o di Frantisek Kupka, due artisti ricchi di implicazioni occulte e demoniache, evocatori di atmosfere oniriche e fantastiche che ne fanno (al pari del nostro Alberto Martini) dei legittimi precursori del surrealismo? O di Emil Orlik, che illustrò la maggior parte delle leggende giapponesi raccolte e riscritte da Lafcadio Hearn, con xilografie così aderenti al gusto figurativo del loro paese d'origine da renderle spesso del tutto indistinguibili dai loro modelli?

Una prima spiegazione (al di là del fin troppo ovvio "nemo propheta in patria") è che, in quegli anni di incredibile rigoglio culturale, c'erano alcune città europee che offrivano agli artisti ed agli intellettuali un terreno particolarmente fertile : Parigi, Vienna, Monaco, Dresda. Qui andavano spontaneamente nascendo i gruppi ed i movimenti più importanti, e qui confluivano gli artisti di tutta Europa. Così, non ci si deve meravigliare se si scopre che tutti coloro di cui abbiamo parlato nacquero, sì, in Boemia, ma che poi l'abbandonarono, recandosi a studiare e lavorare all'estero. (Kupka a Parigi, dove conobbe Kandinsky e Picabia; Kubin a Monaco, dove frequentò il gruppo del Blaue Reiter; Orlik a Vienna, dove entrò in contatto con Klimt e prese parte alla Secessione).

Questa spiegazione è necessaria ma non sufficiente: poichè anche Mucha, dopo aver studiato a Praga ed a Monaco, si era trasferito a Parigi; ed era lì che aveva raggiunto il successo, grazie soprattutto ai manifesti per Sarah Bernhardt, che gli diedero una popolarità immensa.

No, se Mucha è ancor oggi tanto più popolare dei suoi contemporanei e connazionali, in patria e nel mondo, è semplicemente perchè il suo stile è estremamente più facile e più gradevole di quello degli altri. Le sue donne, volta a volta opulente o flessuose, le sue capigliature femminili arabescate in riccioli e cascate, il suo gusto per l'ornamentazione grafica non ponevano problemi ne estetici nè tantomeno esistenziali, e seducevano gli occhi con grande efficacia ed immediatezza.

Si può dire, insomma, che le immagini di Mucha avevano, ed hanno, la forza d'impatto e la suadenza delle immagini pubblicitarie: e non fa specie che, nella sua copiosa produzione artistica, i manifesti pubblicitari (per la Berhardt, certo: ma anche per marche di cioccolato, di bevande, di sigarette, e di altre bieche invenzioni della futura società dei consumi) occupino per l'appunto un posto così rilevante. Offrendo il fianco a tutte le accuse di commercialità e di superficialità che gli venivano mosse dai più rigorosi fra i critici suoi contemporanei, che arrivarono a definire il suo stile "ornamentazione agli spaghetti".

Detto questo, e spiegato così il successo di cui Mucha continua a godere, sembra però necessario contrastare vigorosamente quel tentativo di ridimensionamento che il capriccio delle nostre mode culturali (oggi molto più sculettanti verso l'Art Déco che verso l'Art Nouveau) vorrebbe mettere a segno.

In realtà, Alphonse Mucha fu, e rimane ancor oggi, uno dei principali artefici di quella svolta nella storia del libro illustrato che era stata avviata a Londra, pochi anni prima, da William Morris. Il quale (ne abbiamo già parlato in passato, ma non sarà inutile ripeterlo) sostenne, in tempi di dilagante industrializzazione, la necessità di tornare al "bel libro", basato su una precisa interazione fra elementi tipografici, grafici e illustrativi, sull'esempio dei codici miniati rinascimentali.

Ebbene, con l'aiuto dell'editore Piazza di Parigi (al quale dobbiamo sicuramente i più bei libri illustrati francesi del primo Novecento), Mucha si avvicinò più di chiunque altro alla concezione morrisiana del "bel libro". Soprattutto Ilsée, princesse de Tripoli, pubblicato nel 1897 a Parigi in una lussuosa edizione di soli 252 esemplari numerati, resta un gioiello grafico e tipografico che non cessa di stupire per il suo virtuosismo (sono 132 pagine, interamente litografate, ognuna delle quali ha una sua diversa architettura, ed in cui si alternano in modo mirabile testo, ornamentazione e illustrazione ).

Le copie dell'edizione originale sono, come è ovvio, difficili da trovare, e comunque si vanno avvicinando a una cifra con sette zeri. Ma con un po' di buona volontà ne potrete trovare un "reprint" (francese) nelle sezioni straniere di alcuni dei nostri Remainder's. Senza bisogno di andare fino a Praga. E nemmeno a Marienbad.

(Comic Art), giugno 1993

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