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MODESTA DIFESA DEI LIBRI PER I BAMBINI

Non amo particolarmente i bambini, ma mi affascina tutto ciò che in un modo o nell'altro riguarda i bambini e il loro universo: libri, passatempi, giocattoli, problemi, codici e sistemi di comunicazione.

La ragione di questa contraddizione penso sia la seguente: molti bambini di oggi, nutriti fin dalla più tenera infanzia con dosi massiccie di telefilm giapponesi e di spot pubblicitari, perdono prestissimo la loro innocenza, trasformandosi precocemente in piccoli adulti, con tutti i difetti, le furberie e le nevrosi che la cosa comporta; là dove di solito ciò che si riferisce all'universo infantile (fatta la tara di tutto ciò che considera il bambino come semplice consumatore) si riferisce al bambino non come è ma come potrebbe e dovrebbe essere: un meraviglioso essere dalle risorse potenzialmente illimitate, fantasioso, disponibile, e, per l'appunto, "innocente": insomma, una specie di "bambino utopistico", un "buon bambino" che, nel bene e nel male, ha più di un punto in comune con il "buon selvaggio" degli illuministi. (Del resto, era proprio Rousseau che sosteneva che nel bambino, molto più che nell'adulto, vanno ricercati i "germi divini").

Detto questo, e dato per scontato che almeno da un punto di vista anagrafico nessuno di noi (ahinoi) è più un bambino, se vogliamo ritrovare, con l'intelletto dell'adulto, la magia dell'infanzia, è ovvio che ci serve un passaporto, o più semplicemente una "madeleine": quel dolce che smuove in Proust, nelle primissime pagine del primo libro della Recherche, tutto il meccanismo della memoria e la capacità di ritrovare il passato.

Ebbene, ognuno di noi ha le sue "madeleines" personali, poichè nulla come il meccanismo della memoria è legato a stati d'animo, esperienze e modi di essere profondamente individuali. Tuttavia, essi si riconducono quasi sempre a sensazioni provate nella primissima infanzia, sia che passino attraverso gli occhi (le immagini), la bocca (i sapori), il naso (gli odori), o le orecchie (i suoni e le musiche).

E fermiamoci alle immagini: le immagini dei libri e dei giornalini che noi, i nostri padri e i nostri nonni abbiamo sfogliato bambini, e che ci sono "scese dentro", contribuendo in misura determinante a formare la nostra prima visione del mondo, dandoci quello che gli etologi chiamano l'"imprinting".

Ecco, io credo che i giornalini e i libri per bambini, i libri "con le figure", siano, di tutte le possibili "madeleines", oltre che fra le più gradevoli, anche fra quelle dotate di più prorompente efficacia.

Ecco allora che si giustifica l'apertura, in una rivista dedicata ai fumetti ma che allarga il suo interesse a tutto ciò che è connesso con le immagini, di una "finestra" (che più banalmente potremmo definire "rubrica") dedicata specificamente ai "libri con le figure"; e il fatto che questa "finestra" esordisca con un discorso generale dedicato per l'appunto ai "libri per i bambini", che dei "giornalini" sono i più diretti ascendenti e consanguinei.

Nei prossimi numeri (e fatti salvi tutti i possibili allargamenti del tema e le possibili correzioni di rotta), ci ripromettiamo quindi di riaprire con voi un antico baule, da cui tirare fuori amici di cui forse ci eravamo dimenticati: dalla Dorothy del Mago di Oz all'Alice di Carroll, da Peter Pan a Pinocchio, da tutta la banda delle Mille e una notte a Cappuccetto Rosso, Pollicino, e i principi gli orchi e le fate di ogni tempo e di ogni paese. Tutti personaggi che sono pronti a prenderci per mano e condurci (attraverso uno specchio o attraverso la porta di un "giardino segreto") in un mondo di castelli incantati, di animali parlanti, di labirinti e di continenti misteriosi: un mondo sconfinato e immenso che spesso, paradossalmente, è rinchiuso fra le pareti linde e color di pastello di una "nursery" fuori del tempo, dove non c'è la TV e non ci sono giocattoli di plastica, ma solo cubi di legno e lettini con le sbarre, cavalli a dondolo e soldatini di stagno.

E fin qui abbiamo parlato del tributo ai bambini che siamo stati e che forse, più o meno inconsciamente, ci dispiace di non essere più. Ma poichè la nostra attuale situazione di "grandi", per fortuna, presenta, fra tanti svantaggi, anche qualche vantaggio, noi possiamo scoprire oggi, fra le pagine di questi libri, tutta una serie di motivi di godimento e di interesse che travalicano la festa per gli occhi e la ricerca del tempo perduto. Come del resto è puntualmente successo, a suo tempo, per i vecchi "fumetti"

E ce n'è un po' per tutti. Per esempio, per lo studioso di storia del costume, o di storia "tout court". Egli non potrà non leggere in filigrana,

attraverso il passaggio dai settecenteschi e edificanti libriccini "ad usum Delphini" agli abbecedari "poveri" e ai libri di divulgazione post-rivoluzionari; dal perbenismo vittoriano di tanti manuali del secondo ottocento alla sotterranea carica eversiva che comincia a serpeggiare più o meno con il reverendo Dodgson e il suo amore per le adolescenti; dall'opulenza dell'editoria "fin de siècle" (con i suoi lussuosi "gift-books", che molto spesso contenevano storie per bambini ma andavano, per costo e per gusto, molto più fra le mani dei "grandi" che fra quelle dei "piccoli") alla "austerity" tipografica degli anni venti-trenta (accentuata, in Italia, da insorgenti e terrificanti parallelismi fra libri e moschetti); non potrà non leggere in filigrana in tutto questo, dicevo, i corsi e i ricorsi di questi ultimi tre secoli.

E che dire di colui che ama la storia dell'arte (pittorica, grafica e tipografica) ? I libri per i bambini sono, una volta di più, lo specchio fedele dell'evolversi dei gusti, e del succedersi delle correnti estetiche e delle conquiste tecniche. Dalla "naivété" delle prime xilografie, alla grazia accademica e un po' noiosa delle incisioni su rame (riscattata peraltro, a partire dall'inizio 8OO, dalle coloriture ad acquarello ). Dai primi esperimen- ti di incisione xilografica a colori all'esplosione policroma delle cromo- litografie. Dalla grazia incantevole di tante buone e poco note illustratrici, per lo più anglosassoni (il cui doppio cognome ci è testimone di una serena vita familiare, presumibilmente alto-borghese), impegnate a ritrarre, attraverso il prestesto delle "nursery rhymes", il loro universo di "mamme- che-raccontano-le-fiabe-ai-loro-bambini-per-farli-addormentare", a tutta una generazione di artisti di elevato livello (i Crane, i Rackham, i Dulac, i Nielsen, tanto per citare solo i più noti), attraverso i quali irrompono nella "nursery" tutte le suggestioni della cultura figurativa "adulta" del tempo, dai preraffaelliti all'art nouveau, dal futurismo al déco.

E tanto basti. Gli esempi finiscono qui; e non certo perchè siano esauriti, ma perchè è ben difficile che esistano interessi, curiosità e stimoli, di qualsiasi genere, che non trovino nell'universo dei "libri per i bambini" una loro fascinosa soddisfazione, un valido complemento di studi forse più dotti e più "seri". Per la semplice ragione che questi libri, apparentemente superficiali ed innocui, sono spesso in realtà dei libri " in codice ", scritti in quello che Fromm ha chiamato "il linguaggio dimenticato": il linguaggio dei simboli che (nei sogni, nei miti e per l'appunto nelle fiabe) traduce in esperienze sensoriali delle esperienze interiori; e, in ultima analisi, aiuta l'uomo a tentare di capire se stesso.

Sto (stiamo) esagerando? Non credo. A ben riflettere, che differenza c'è fra il fagiolo magico che consente di accedere a un mondo al di sopra delle nuvole, e un pezzetto di dolce che, inzuppato in una tazza di thé, spalanca delle finestre che si affacciano sull'animo umano?

(Comic Art, dicembre 1991)

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