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(Nero '700 fu scritto nel 2005 per il concorso "Lama e trama organizzato dal Comune di Maniago. Non fu neppure segnalato ed è tuttora inedito).

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NERO '700

Non mi piace uccidere. Essendo uomo di scienza ho alle spalle una lunga frequentazione della morte, e troppe volte (e troppo spesso invano) ho lottato per salvare una vita, per poter provare piacere a estinguerne un'altra. Ma ci sono casi in cui la morte dell'avversario è l'unica alternativa possibile per salvare se stessi. 0 anche solo una parte di sè, quale a tutti gli effetti considero la mia biblioteca.

Lo so, stiamo vivendo tempi difficili e intorno a me, in questo maggio del 1789, ci sono da affrontare problemi ben più gravi del mio. Gli Stati Generali che si stanno svolgendo a Versailles non venivano convocati dal 1614, e questo la dice lunga sulla gravità della situazione. Le finanze della Francia sono allo stremo, la borghesia preme per una riforma dello Stato, le tasse aumentano e con esse la rabbia del popolo. Corrono voci pazzesche, come il rischio che la plebe dia l'assalto alla Bastiglia per liberare i detenuti in essa ingiustamente rinchiusi; non si arriverà mai a tanto, è chiaro, ma intanto mi risulta che a Corte serpeggi una certa preoccupazione.

Questi, tuttavia, sono problemi per la cui soluzione io posso fare ben poco: non avendo in mano, per mia fortuna, le redini del Paese, mi limito ad affrontare i problemi del mio particolare, come la presenza di questo maledetto topo che da qualche giorno rosicchiava i libri della mia biblioteca. E passi fino a che si mangiava libercoli di poco conto, come quel Bijoux indiscrets che Diderot aveva fatto stampare anonimo e mi aveva regalato anni fa, poco prima di morire, e che lui stesso considerava una specie di aimable sottise: ma quando ho scoperto che il topo aveva attaccato le planches dell'Encyclopedie e gli stessi tomi di medicina (che per me rappresentano un insostituibile strumento di lavoro), sono stato costretto ad affrontare di petto il problema.

Prenderlo, è stato relativamente facile: avevo una copia scompleta e molto malandata del trattato di anatomia del Vesalius, così l'ho scavata internamente, inglobandoci una gabbietta a scatto con dentro un bel pezzo di formaggio italiano di Parma. L'ho lasciata in evidenza sulla mia scrivania e lui c'è cascato. Questa mattina, sollevando il piatto anteriore del vecchio tomo trasformato in trappola, I'ho trovato lì che mi fissava attraverso le sbarre con occhietti minuscoli iniettati di sangue, che non saprei dire se fossero più supplici o più terrorizzati.

Era uno sguardo che conosco fin troppo bene. In quanto membro di non poche Commissioni scientifiche, mi è toccato spesso di assistere da vicino alla esecuzione di sentenze capitali, e il più delle volte, negli occhi dei condannati a morte, ho visto il terrore panico di ciò che li aspetta: dell'idea della morte in se stessa, certo, ma ancor più della sofferenza fisica che ad essa è indissolubilmente connessa. Quegli occhi sbarrati sul baratro dell'ignoto mi hanno sempre fatto una enorme impressione, rafforzando la mia convinzione che una vita è sempre una vita e che, se la si vuole togliere, è giusto cercare di farlo nel modo più rapido e indolore possibile.

Bien sur, in questo caso stiamo parlando di un semplice topo, ma in quegli occhietti mobilissimi e aguzzi come punte di spillo ritrovavo quel medesimo sguardo che mi ha sempre così tanto turbato nei miei simili: sicché a lungo sono rimasto a osservarlo, incerto, domandandomi come avrei fatto a ucciderlo.

Annegarlo? I topi sanno nuotare benissimo, e la morte per asfissia è lenta ed orribile. Un colpo di mazza? A parte che bisogna saperlo assestare nel modo giusto, sotto pena di doverlo reiterare più volte, non sopporto I'idea di vedere budella e brandelli di carne se non sul tavolo di dissezione e per pure ragioni scientifiche. Ricorrere ai sistemi che hanno utilizzato nei secoli gli esseri umani? Peggio del peggio: in questa Francia del XVIII secolo in cui, se pure a fatica, iniziano a farsi strada i lumi della ragione, siamo ancora fermi al rogo, alla forca, o addirittura a quei rivoltanti spettacoli che sono la ruota e lo squartamento, retaggio di secoli bui. Resta la decapitazione, peraltro riservata ai nobili come trattamento di riguardo: ma anche lì bisogna saper calare la mannaia nel modo giusto, senza contare che secondo illustri colleghi la morte non sopravviene immediata a causa dell'eccesso di sangue che tende ad affluire al cervello nei momenti di particolare emozione o spavento. Del resto, ho verificato personalmente che alcune teste, malamente mozzate, continuano a roteare gli occhi anche per alcuni minuti, e non oso immaginare quale orrendo sentire possa dibattersi nei circuiti cerebrali di quel capo ormai pendulo ma ancora senziente.

L'ispirazione mi è venuta quando ho chiesto aiuto al tabacco. Quelle foglie avvoltolate e compresse in forma allungata che ci vengono dalla Spagna, e che là chiamano cigarrros, hanno da essere troncate in punta al momento in cui le si vuole fumare. In genere si usa una sorta di cesoia dalle lame larghe, ma Tobias Schmidt, quell'ingegnoso falegname allemando che ha bottega in Faubourg Saint-Honoré, mi ha regalato qualche settimana fa un piccolo attrezzo geniale: una piastra metallica con un foro circolare in cui si introduce I'estremità del cigarro, e una lama laterale che compressa da una molla scatta al momento voluto, troncandola. Secondo Schmidt è stato lo stesso re Luigi, che come è noto si diletta di meccanica, a suggerirgli, nel corso di una visita en private nella sua bottega, una modifica da apportare alla forma della lama per aumentarne I'efficacia.

Orbene, poco fa, mentre soprappensiero osservavo le volute di fumo azzurrino che si libravano nell'aria e continuavo a rigirarmi fra le mani quel pericoloso giocattolo, mi sono reso conto che la circonferenza del foro equivaleva pressapoco a quella del collo del topo. E' scattata in me una subitanea forma di eccitazione, quel flusso di sangue che si scarica nel cervello quando si ha I'impressione di intravedere come attraverso uno spiraglio la prospettiva di un mondo diverso. Senza indugiare ho gettato il cigarro nel ceneritore, ho afferrato il Vesalius e sono corso nel laboratorio. Qui giunto ho indossato spessi guanti di protezione, ho aperto la trappola e afferrato il corpicino del mio prigioniero. Sforzandomi di ignorare le sue strida terrorizzate, gli ho forzato la testa all'interno del foro e ho fatto scattare la molla.

Lo scatto, secco come uno sparo, è stato seguito da un ultimo strido sfrigolante e acuto, subito interrotto. La testa, troncata di netto, si è staccata ed è caduta sul piano di marmo. Ruzzolando su se stessa, per ironia della sorte, si è fermata proprio sulla parte tronca, voltata verso di me. I muscoli laterali della bocca si sono contratti scoprendo gran parte dei denti, come in un sogghigno finale, ma è stata questione di un attimo; prima ancora che il pendolo avesse compiuto una oscillazione completa il sogghigno si era come pietrificato, e la morte aveva compiuto I'opera sua.

E adesso eccomi qui, che osservo questa testolina mozzata: gli occhietti maligni sono rimasti aperti e vitrei, e mi fissano con espressione di sfida, come se neppure al di là della morte I'animaletto fosse disposto ad ammettere di avere perso. Al di sotto del collo reciso si è disegnato un cerchio di liquido scuro, che adesso si va allargando pian piano. Lo osservo, ma non provo sensi di colpa: nel turbine dei miei pensieri c'è qualcosa di simile, immagino, a ciò che provò quel nostro remoto progenitore che per primo si rese conto che un supporto di forma rotonda poteva agevolare il trasporto di cose. Non avrò inventato la ruota, certo, ma chissà che la morte di questo umile roditore non mi abbia suggerito il modo di abbreviare le sofferenze di innumeri esseri umani, rendendo più celeri e pietose le esecuzioni capitali. Se la situazione politica continuasse a peggiorare, chissà che fra poco non ce ne sia un gran bisogno. Tutto sta ad apportare al sistema le necessarie modifiche, bisognerà che ne parli al più presto con Schmidt. E se la strada che intravedo si rivelerà percorribile potrò pensare davvero che la mia esistenza sia servita a qualcosa nella storia del mondo, quant'è vero che mi chiamo Joseph Ignace Guillotin.

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