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NASCITA DELL'ORSATTO

Qualche mese fa, seguendo le capricciose volute di un discorso legato talvolta al caso e talvolta a circostanze contingenti, ci lasciammo con una mezza promessa di ritornare su un libro scritto e illustrato da Dino Buzzati, intitolato La famosa invasione degli orsi in Sicilia.

Questi orsi (od orsatti, per usare un neologismo buzzatiano) sono indissolubilmente legati a un mio ricordo remoto, uno dei primissimi brandelli di passato che inopinatamente, anzichè dileguare con gli anni, hanno trovato una collocazione stabile nell'archivio della memoria: il ricordo di un treno fortunosamente bloccato in una stazioncina del Piemonte, di una folla rassegnata e smarrita, e di una sorella adolescente che tornava di corsa dicendo che sì, il nuovo numero del Corriere dei piccoli c'era, ma che non aveva potuto comprarlo perchè era di nuovo, nel giro di pochi giorni, aumentato di prezzo.

Era (adesso lo so) la primavera del 1945, ed ogni giorno poteva essere l'ultimo: l'ultimo della guerra, ma anche l'ultimo della propria vita. E quello smarrimento che io, bambino di sei anni, ricordo di aver sentito nell'aria incombeva su tutto il Paese, sulla lira che precipitava in caduta libera, e su un giornalino che faceva anche lui i salti mortali per riuscire a sopravvivere (l'anno prima aveva tentato di risparmiare carta, adottando il formato quadrotto; e dopo poche settimane, a Liberazione avvenuta, avrebbe provvisoriamente cambiato la sua testata in quella di Giornale dei piccoli).

Che c'entra tutto questo? C'entra, eccome: poichè sull'ultima di copertina del giornalino, quel giorno, non c'era la solita storiella autoconclusiva con otto vignette e sedici distici a rime baciate, bensì una grande e bellissima tavola a colori in cui si vedeva una moltitudine di piccoli orsatti.

Io naturalmente non sapevo, allora, che l'autore della storia era uno dei più autorevoli giornalisti del Corriere della sera (che poi non era altro che il Corriere dei piccoli dei grandi), nè che aveva scritto alcuni romanzi, il primo dei quali (Bàrnabo delle montagne) era stato salutato come uno dei più interessanti esordi letterari del secolo: sapevo solo che era una vera mascalzonata che la storia si interrompesse a metà, con una laconica paroletta ("continua ") stampata in corsivo.

Pubblicato dunque a puntate (in due riprese) sul Corriere dei piccoli del 1945, ripubblicato in volume da Rizzoli in quello stesso anno, e poi periodicamente riproposto da altri editori, in edizioni più o meno felici, La famosa invasione degli orsi in Sicilia è molto spesso trascurata dagli esegeti buzzatiani: e questo non mi sembra affatto giusto, poichè si tratta di un piccolo gioiello, in cui si ritrovano, in una veste inedita di sorridente bonomia, tutte le qualità di quel grande scrittore che tutti noi (spero) conosciamo ed amiamo, e che rappresenta una delle pochissime vette fantastiche di una letteratura e di una cultura come quelle italiane, dominate quasi sempre dall'estetica del realismo.

Ma non siamo qui per parlare di letteratura, bensì di immagini: immagini che sono le prime del Buzzati figurinaio e pittore, e che restano tra le sue più felici.

Che il medesimo autore abbia scritto i testi e realizzato i disegni delle sue storie non è per nulla strano: soprattutto in un Paese come il nostro, che è notoriamente fantasioso e flessibile (sia nel bene che nel male), ed in cui il ruolo onnicomprensivo dell'Autore, e l'intercambiabilità delle sue funzioni, sono molto più frequenti di quanto non lo siano per esempio nei paesi anglosassoni (dove peraltro non mancano esempi illustri, come Rudyard Kipling o Lewis Carroll).

Molti dei nostri grandi figurinai del novecento, in effetti, si cimentarono anche con la letteratura: e basti, fra tutti, ricordare l'Antonio Rubino dei Versi e disegni, o il Sergio Tofano dei Cavoli a merenda, delle Storie di cantastorie o del Teatro di Bonaventura. Si trattava però quasi sempre di disegnatori che si applicavano a scrivere: mentre Buzzati resta un esempio pressochè unico di scrittore che si sia applicato al disegno; e che lo abbia fatto, paradossalmente, senza saper disegnare affatto, come del resto riconosceva lui stesso con onesta improntitudine. (Riascoltiamo insieme un vecchio nastro magnetico, che ho registrato a Milano nell'autunno del 1971, pochi mesi prima che Buzzati morisse: "...Quando dipingo, continuo a fare lo stesso mestiere di quando scrivo, solo che da una parte mi esprimo con delle parole e dall'altra con dei segni e del colore... In pratica, poi, il mio mestiere di scrittore e giornalista ha fatto sì che per tutta la vita io mi sia applicato alla scrittura più che alla pittura: ed è logico che nella scrittura io abbia guadagnato un mestiere che nella pittura mi manca...").

E' vero, verissimo, Buzzati non sa disegnare affatto, come del resto non sapevano disegnare nè Kipling nè Carroll: ma, come loro, ha un mondo interiore così ricco di stimoli e di idee da rendere interessanti e per molti versi fascinose anche le sue immagini, nonostante non siano supportate da una tecnica adeguata.

Questo limite emerge soprattutto nel Poema a fumetti (1969), una tardiva e discutibilissima rielaborazione grafica del mito di Orfeo; mentre altre volte Buzzati evita il tranello, rifugiandosi in codici figurativi che giustificano (e addirittura impongono) la semplicità, se non addirittura la rozzezza, del segno. Avviene così negli ex-voto dei Miracoli di Val Morel, di cui vi ho già parlato qualche tempo fa; e, per l'appunto, nelle tavole colorate de La famosa invasione degli orsi in Sicilia, che trovano nell'atmosfera della favola e nell'età del pubblico a cui sono destinate degli alibi eccellenti per trasformare l'"incapacità di disegnare" in "bravura di stilizzare".

Vedete, fra tutte, le tavole in cui l'autore ricorre alla miniaturizzazione e alla moltiplicazione dei personaggi: ad esempio, le scene di festa (gremite di "comparse" come certi quadri fiamminghi) o quelle di battaglia (che ricordano le figurine dei trattati sei/settecenteschi di tattica e di strategia). In esse, il rigore delle geometrie, la coralità delle "masse", e la grazia incomparabile delle sagomine degli orsatti, così stilizzate da diventare delle silhouettes , finiscono per amalgamarsi in un miracoloso equilibrio, che fa passare in secondo piano molte approssimazione e molte incertezze di carattere grafico.

Un avvertimento: se ci tenete all'"opera unica", inseguite ovviamente (a seconda delle vostre disponibilità economiche) l'una o l'altra delle varie edizioni in volume: ma tenete presente che nessuna di esse (nè quella originale del 1945, nè tantomeno quelle successive, edite negli anni del "boom" economico) riesce a rendere giustizia alle tavole, per dimensione e bellezza, quanto l'edizione a puntate del Corriere dei piccoli, ancorchè stampata su carta e con inchiostri da "tempi di guerra": a ennesima riprova del fatto che per fare le cose bene non ci vogliono tanto dei soldi quanto del buon senso e dell'affetto per ciò che si fa.

(Comic Art, novembre 1993)

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