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PARVA SED APTA MIHI

Questa frase l'ha scritta Ludovico Ariosto, cinque secoli fa, sulla porta di ingresso della sua casa di Ferrara; ma, mettendoci un soggetto neutro plurale ("volumina") al posto di un femminile singolare ("domus"), essa può introdurre benissimo l'argomento delle ristampe in edizione tascabile di libri illustrati più o meno antichi. E' uno dei vari discorsi che, nei mesi passati, avevamo lasciato in sospeso; e poichè sappiamo tutti che, da Sheherazade in poi, non conviene lasciare in sospeso nessun discorso, eccoci qui per riprenderlo e portarlo avanti.

La fine dell'anno scorso e l'inizio di questo hanno visto il libro tenere vittoriosamente testa ai venti di crisi che piegavano e spogliavano i nostri alberi di Natale. E questa è certamente una splendida notizia, appena offuscata dal fatto che molti dei cosiddetti libri venduti si potevano scambiare per tali (avrebbe detto Marotta) solo perchè consistevano in lunghe file di letterine scure stampate su un certo numero di fogli di carta chiara.

Ma tant'è: le vie del Signore sono infinite, ed anche l'aborigeno televisivo che entra in libreria per cercare i testi di filosofia di Giobbe, Costanzo, Sgarbi, Gaspare e Zuzzurro, una volta dentro può essere folgorato dalla grazia, e scoprire che, in quel posto, ci si trovano anche dei veri libri. Ed uscire di lì, magari, portandosi sottobraccio Proust o Platone, Marquez o Epicuro; o almeno una storia di Corto Maltese o un reprint in edizione economica di un libro illustrato "d'annata".

Sì, perchè in quei caravanserragli che sono diventate le nostre librerie ci si trova anche questo. E se vogliamo capire come ci siamo arrivati, dobbiamo fare un passo indietro, e tornare al 1949: l'anno in cui nasce la BUR - Biblioteca Universale Rizzoli.

Per coloro - se ce ne sono - che non sanno che cosa sia stata la BUR, diremo che, molto probabilmente, essa fu il più geniale fra i vari colpi di genio che innalzarono un povero trovatello, tale Rizzoli Angelo, al vertice di un vero e proprio impero editoriale.

Fu, come quasi tutte le idee geniali, un uovo di Colombo: scegliere i classici delle letterature di tutto il mondo, di dominio pubblico e non gravati quindi in partenza da costi di diritti d'autore; farli tradurre (e introdurre) con puntualità ed amore da uno di quei letterati colti che nell'Italia di allora non scarseggiavano come scarseggiano oggi; risparmiare all'osso in fatto di tipografia e di grafica (ma senza sacrificare la nitidezza dei caratteri e la leggibilità dei piccoli volumi); e metterli in vendita al prezzo, anche allora assolutamente irrisorio, di 60 lire (120 il volume doppio, 180 il volume triplo).

Compiendo scelte precise e talvolta anche coraggiose, e riuscendo a trasformare la povertà in rigore, la BUR ebbe una parte non indifferente nella ricostruzione culturale dell'Italia post-bellica: e tenne il campo egregiamente fino alla fine degli anni Sessanta, quando in Italia esplose la febbre dei libri pocket di modello americano.

Il carro trionfale che prese il comando della corsa fu, allora, quello degli Oscar Mondadori, e nel giro di un paio d'anni tutti gli editori cercarono di mettersi sulla sua scia. Ed anche la Rizzoli fu costretta a ristrutturare la sua vecchia collana, ormai chiaramente inadeguata ai tempi, giocando la carta della diversificazione.

Fra i molti rivoli in cui la Nuova BUR si divise, ce ne fu uno che si chiamava "I grandi libri illustrati". Che poi non erano affatto dei pocket. Erano, invece, degli eleganti volumi brossurati in 4° grande, che, rompendo una tradizione ventennale (a memoria mia, l'unico volume della vecchia BUR ad avere delle illustrazioni era stato Le avventure di Pinocchio, con le figurine di Enrico Mazzanti) riproponevano per lo più brevi testi letterari, copiosamente illustrati con immagini "d'epoca".

La parte del leone, lo abbiamo già detto, la fece l'Ottocento, con dosi massiccie di Gustave Doré (Il corvo di Poe, Il barone di Munchhausen di Raspe, La ballata del vecchio marinaio di Coleridge). Ma le proposte spaziarono su un arco di tempo molto più vasto, andando dal 1400 (l'Apocalisse illustrata da Albrecht Dürer) al 1900 (la Salomè illustrata da Aubrey Beardsley, o le raccolte dei disegni di Grosz).

Ma, per tenere fede alla politica dei prezzi contenuti, tutte le illustrazioni, ancorchè numerose e tecnicamente ineccepibili, erano in bianco-nero (attenzione: non nel senso che erano riprodotte in bianco-nero, ma che erano "nate" in bianco-nero): e questo, in un tempo in cui l'Apparire stava diventando più importante dell'Essere, e le leggi del Lustrino e del Belletto si andavano affermando con tutta la loro arroganza, era una scelta rigorosa ma suicida.

Così, "I grandi libri illustrati" scomparvero nel giro di alcuni anni; o, per essere più precisi, si restrinsero, tornando al tradizionale formato pocket; e in questa nuova forma continuarono (e continuano) a riproporre dei classici dell'illustrazione in bianco-nero (l' Alice nel paese delle meraviglie di Tenniel, il Gulliver e il Robinson Crusoe di Grandville, La Sirenetta di Pedersen e Frølich), affiancandoli ad altri con illustrazioni a colori (e qui, come già dicemmo altra volta, primeggia Arthur Rackham).

Che facevano, intanto, gli altri editori? A poco a poco, si mossero anche loro.

Il più attivo nel settore fu probabilmente Longanesi, che, verso la fine degli anni Settanta, varò un collanina chiamata "I tascabili del bibliofilo", di ispirazione germanica, non priva di pregi grafici e tipografici, ma troppo discontinua nelle uscite e talvolta casuale nelle scelte; e una decina di anni dopo tentò, senza molto successo, la strada della nostalgia, riproponendo in edizione anastatica alcuni volumi della "Biblioteca dei miei ragazzi" e altri titoli "storici" della Salani. Infine (ed è storia di oggi), riunitosi ad altri editori, varò la collana TEA (Tascabili Editori Associati), in cui, fra le altre cose, confluirono "I tascabili del bibliofilo", con tutti i loro pregi e i loro difetti (La Vispa Teresa e il Prode Anselmo, ad esempio, è molto carino, ma resta un abbinamento pretestuoso, che ha ancora meno senso di quanto non lo avessero i "movie-movie" nei cinema americani degli anni venti).

Alla metà degli anni Ottanta, poi, la vulcanica editrice Stampa Alternativa varò, nel tumultuoso mare delle sue iniziative, i cosiddetti "containers" de "L'età d'oro dell'illustrazione", dovuti al mio dotto sodale (nonchè contitolare di questa rubrica) Omar Austin: pubblicazioni di cui si può dire solo del bene, ma che è molto difficile considerare dei libri in senso stretto. E, dopo aver mandato in libreria, due Natali fa, una bella riedizione quasi-pocket di uno splendido album di George Barbier (Le bonheur du jour), sembra oggi intenzionata a concedersi una pausa su "L'età d'oro dell'illustrazione", e a spostare Omar Austin, con i suoi preziosi contributi alla conoscenza della storia dell'illustrazione, nella consorella collana "Fiabesca".

Avrò dimenticato qualcuno? Certamente sì, e me ne scuso fin d'ora. Qualsiasi segnalazione integrativa sarà, naturalmente, bene accetta. Ma la cosa più importante è che queste iniziative editoriali si siano cautamente moltiplicate, senza dilagare ma senza neppure morire d'inedia. A testimonianza del fatto che, da qualche parte in questo squinternato paese, c'è ancora qualcuno che sa apprezzare "le belle figure".

Se voi leggete queste righe, siete sicuramente fra questi. E spero, se già non li conoscevate, di avervi messo addosso una gran voglia di correre in libreria e cercare i volumetti di cui vi ho parlato, od altri equipollenti. Che sono tutti e comunque, credetemi, "parva sed apta vobis".

(Comic Art, aprile 1993)

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