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DANNATO RACKHAM

Perché dannato? Semplicemente perché fu lui che verso la metà degli anni settanta, nel corso di una delle mie scorribande negli inferi dei magazzini cartacei romani, mi inoculò il morbo dell'amore per il libro illustrato. Circolava senza campanellino di allarme, lo sciagurato monatto, e mi si fece incontro sotto le fraudolente spoglie di un libriccino in tela azzurra editoriale, che recava in copertina la seguente dicitura: Nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll con acquerelli di Arturo Rackham.

Cosa avreste fatto al mio posto? Ero sceso in quell'angiporto alla ricerca di vecchi fumetti, ma quel titolo orbato del nome della protagonista e quell'italico nome di Arturo inframmezzato a cognomi anglosassoni furono sufficienti a risvegliare in me un'incauta curiosità. Lo aprii, dunque. Non mi ci volle molto a capire che si trattava proprio di una edizione ridotta dell'Alice di Carroll, e che quell'Arturo stava in realtà per Arthur, e andava imputato al vezzo di tradurre in italiano i nomi di battesimo stranieri molto prima che il Minculpop trasformasse il (mal)vezzo in dovere di Stato. Ne presi nota; ma non abbastanza in fretta da non aver visto intanto che il libretto conteneva una dozzina di tavole a colori in cui si vedeva una bambina dalle gote di rosa; e poi un coniglio bianco, un bruco ed altri rappresentanti di un bestiario fantastico così ricchi di morbidezza e di fascino pittorico da cancellare di colpo il ricordo dei loro triviali omologhi disneiani.

Fu dall'acquisto di quel libriccino che prese le mosse il mio amore per il libro illustrato, in particolar modo quello per i bambini, che dell'amore per i fumetti si rivelò ben presto uno stretto parente: un amore che dopo un quarto di secolo non si è ancora estinto, e che mi ha portato a cercare di saperne di più sull'argomento in un'epoca in cui la saggistica relativa era ancora quasi tutta di là da venire. L'unico testo in materia era infatti allora Guardare le figure di Antonio Faeti, pubblicato da Einaudi nel 1972, che però era dedicato esclusivamente agli illustratori italiani; mentre le notizie sugli stranieri bisognava andarli a cercare su libri che in Italia non erano per niente facili da trovare.

Oggi la situazione è cambiata. E chi legge queste righe sa già probabilmente che il libro illustrato per bambini in senso moderno nasce in Inghilterra, dove già dal 1848 il movimento preraffaellita aveva posto le premesse per un rinnovamento dell'arte figurativa; premesse che propagandosi "per li rami", e incontrando gli impressionisti francesi da una parte e i secessionisti viennesi dall'altra condussero al deflagrante fenomeno dell'"art nouveau".

Detto questo, non fa meraviglia che sia stato proprio in Inghilterra che si sia preso di petto il problema di realizzare dei libri illustrati "per bambini" che utilizzassero i codici più avanzati dell'arte figurativa degli adulti, grazie ad artisti come Walter Crane, Kate Greenaway e appunto Arthur Rackham: il quale ultimo fu il più conosciuto da noi, poiché ebbe la ventura di incontrare nel nostro Paese un critico d'arte illuminato come Vittorio Pica e una Casa Editrice ancora più illuminata come l'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, che ne diffusero e ne fecero conoscere alcune delle opere più valide. Addirittura, l'edizione di Bergamo del suo Alice nel paese delle meraviglie fu distribuita come strenna annuale agli abbonati del Corriere della sera, talché la si può ancora ritrovare, oltre che in un angiporto cartaceo come quello di cui si è detto all'inizio, nelle austere biblioteche della buona borghesia italiana di inizio Novecento.

Dopo un tirocinio sulle pagine di alcuni settimanali londinesi, Rackham era approdato al mondo dell'infanzia nel 1896, con la collaborazione al periodico per ragazzi Little Folks. Già da allora si era andata precisando la sua predilezione per un universo fantastico, di cui i ragazzi erano sì i protagonisti ma erano circondati da una serie di comprimari che provenivano da mondi paralleli: la mitologia, le fiabe, le tradizioni popolari, le leggende e i sogni. Questi comprimari erano animali antropomorfizzati, fate, elfi, folletti, gnomi, trolls, orchi, streghe, luprecani e draghi (tutti accomunati da un'identica bonomia, che si estendeva anche ai "cattivi"), che si affollarono sempre più spesso intorno ai protagonisti umani, riempiendo ogni spazio libero: sicché i suoi disegni appaiono come una via di mezzo tra cose diversissime fra di loro ma tutte accomunate dal medesimo "horror vacui", come gli affreschi rinascimentali, certe "scene di massa" fiamminghe (è d'obbligo almeno il riferimento a Bosch, soprattutto considerando l'analoga propensione all'elemento fantastico), o certe più recenti tavole a fumetti gremite di vermi e salami (Jacovitti) o libri, dischi e più tardi strumenti feticisti (Crepax).

Tutto questo repertorio, che assunse ben presto una tale personalità da essere noto, fin da allora, col termine (affettuoso, si badi, e non dispregiativo come potrebbe sembrare) di "rackhamaneria", non mancò di accompagnare l'artista quando egli incominciò a dedicarsi all'illustrazione dei libri. E non è certo un caso che la maggior parte dei testi che egli scelse di illustrare fossero testi, per così dire, "predisposti": come le raccolte di libri di fiabe (Aesop's fables, Irish fairy tales, English fairy tales, Mother Goose), le saghe wagneriane (The Rheingold and the Valkyrie, Siegfried) o il più favolistico degli Shakespeare (A Midsummernight's dream).

Tuttavia, con l'eccezione dell'ultimo, questi libri (in cui fate, folletti e animali la fanno da padroni) non sono fra le cose migliori del nostro autore: che invece raggiunse mirabili risultati quando fu costretto a ridimensionare la sua "rackhamaneria", senza peraltro rinunciarvi. Ciò avvenne soprattutto nel primo decennio del secolo, quando accostò una serie di testi estremamente impegnativi: dal Rip van Winkle di Irving (1905) al Peter Pan in Kensigton Gardens di Barrie (1906), dall'Alice's Adventures in Wonderland di Carroll (1907) al già citato Shakespeare (1908) e all'Undine di La Motte Fouqué (1909).

Queste cinque opere, sfornate al ritmo impressionante di una all'anno, sono autentici piccoli gioielli, in cui la "rackhamaneria" funge da coro e da contraltare al procedere della "lettura visiva" del testo, senza soffocarla come succede altrove ma arricchendola invece di una specie di "lettura parallela". E osservando i numerosi e godibilissimi disegni nei quali ai protagonisti del libro si affiancano animali o folletti che nei testi originali non esistevano proprio, vale la pena di notare che la stessa soluzione fu adottata da Walt Disney, quando traspose questi e altri testi in lungometraggi a cartoni animati.

Ma non è tutto. Accanto al grande caricaturista e grafico che già si era conosciuto sulle pagine dei giornali, compare per la prima volta, nei libri di questo periodo, un nuovo Rackham, che si inserisce senza chiasso nella grande scuola degli acquerellisti inglesi, sfruttando con grande abilità i mezzitoni cromatici resi possibili dalle nuove tecniche tipografiche di riproduzione e stampa. In questi casi, la "rackhamaneria" scompare quasi del tutto: ma certi quadretti d'ambiente del villaggio di Rip van Winkle, certi cieli tersi o gonfi di nuvole dell'Undine, certi scorci londinesi del Peter Pan hanno la levità e la grazia del paesaggista di vaglia; come la finezza del ritrattista di vaglia hanno i volti di alcuni adulti, di molti bambini, e soprattutto quello delizioso e già sopra ricordato di una Alice adolescente, che certo non sarebbe dispiaciuta a Carroll e che sbaraglia una volta per tutte la jettatoria immagine di quella di John Tenniel.

Va detto ancora che Rackham non riuscì a reggere a lungo un livello così straordinario. Nei libri successivi, il suo segno grottesco e il suo straordinario gusto cromatico divennero ben presto maniera, alternando opere ancora dotate di una loro magia (come Cinderella e The sleeping beauty, due libri "à silhouettes" realizzati tra il 1919 e il 1920, ) con opere di mero - se pur alto - artigianato, in cui solo ogni tanto si ritrova l'unghiata del vecchio maestro (come nell'ultimo suo contributo, le illustrazioni per The wind in the willows di Grahame, realizzate nel 1940 ma pubblicate solo dopo la morte dell'autore, dieci anni più tardi).

Ma tant'è. Resta comunque il fatto che con Rackham arriva a compimento quella rivoluzione del libro per i bambini che era stata avviata da Walter Crane, e grazie alla quale l'estetica entra a vele spiegate nella "nursery".

E' importante, questo? Accidenti, se lo è. L'educazione al gusto si forma nei primissimi anni, attraverso i primi suoni e le prime immagini che si recepiscono; e non è certo alla televisione e ai cartoni animati dei quali essa è infarcita che si può affidare il formarsi di una coscienza estetica nei bimbi di oggi. I libri illustrati da Arthur Rackham, come quelli di altri artisti che ne seguirono le tracce, dovrebbero costituire una specie di "cassetta di pronto soccorso" presente in tutte le case in cui ci sia un bambino.

(Collezionare fumetti e libri per l'infanzia n.1, Little Nemo, Torino, maggio-giugno 1999)

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