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MISTERI, OMICIDI E STORIA POLITICA AGITANO GLI SCENARI DI DUE TORINO

(...) Corrado Farina conferma la sua vocazione al giallo "storico", prediligendo atmosfere datate (il sottotitolo parla più chiaro del titolo: 1940 e dintorni): in questo caso la Torino tra guerra e fascismo, tra Crocetta e vecchia Piazza d'Armi, tra corso Oporto e Porta Susa, tra Fiat e Polizia, tra piemontese e tedesco, tra Luciano Serra pilota e La montagna incantata, tra Jean Harlow e Primo Levi, tra Sor Pampurio e Capitan Blood. Andando su e giù per gli anni, fino alle soglie del nuovo millennio, Farina mostra una più impegnativa vocazione a costruire un "giallo" che chiamerei "civile". Misteri che celano passioni legate alle circostanze politiche. Storie di dolorosa tramatura entro cui si aprono spiragli di memoria.

(Giovanni Tesio, Torino Sette, dicembre 2006)

 
VEDI TORINO E POI MUORI

Il nostro amico Corrado Farina, antico fumettista e poi regista di lungo corso, ma ormai da anni anche romanziere, batte ancora un colpo, inserendosi con grande dignità nella recente & travolgente "ola" del noir. Il suo, si apre nella più classica delle maniere: già alle ultime righe del primo, fulminante capitolo, eccolo lì, il morto ammazzato. Sarà ora compito del vice-commissario Oddo Olivieri districare la matassa. Quanto mai complicata, del resto, perché siamo nella Torino del 1940, quindi con il fascismo e le sue pastoie imperanti, tanto più e tanto meglio che a essere la più immediatamente indiziata è un'avvenente signorina (e c'è di mezzo anche sua madre) di razza ebraica, incolpata di aver fatto fuori il suo amante, un giovane, ricco, bello e promettente funzionario del partito fascista... Ce n'è, di carne al fuoco. E il nostro autore si diverte anche a dare qualche pittoresca, gustosa annotazione che sembra indirizzata proprio a gente come noi: "Sul «Corriere dei piccoli», ormai, Arcibaldo e Petronilla non ci sono più: sono stati epurati e sostituiti da personaggi autarchici come Martin Muma, il Sor Pampurio e Pier Lambicchi, l'inventore dell'arcivernice. Ma nell'armadio di camera mia conservo ancora dei vecchi numeri del Corrierino...», e via discorrendo. Per non parlare di due personaggi che vengono chiamati Gordon e Dale e di altre svariatissime e formicolanti citazioni, tenere e gustose. Ma con tutto ciò, il nostro vice-commissario non riuscirà a cavare un ragno dal buco. Sarà invece necessario giungere alla soglia degli anni Duemila perché l'antico mistero trovi un suo chiarimento, quando coloro che erano giovani a quel tempo sono diventati ormai dei vecchietti. Di singolare, il libro annovera alcuni personaggi che - senza costituire una continuity - erano presenti in una o nell'altra di differenti opere dello stesso Farina. Imperante è invece un altro suo irrinunciabile personaggio, la città di Torino: qui riconoscibile nei luoghi ma anche in vari tratti psicologici dei protagonisti. Il romanzo è scorrevole, rispettoso anche dei canoni del "genere", ma soprattutto ricco di finezze nella ricostruzione d'epoca e nelle allusioni a tante caratteristiche del tempo. E non voglio trascurare un valore aggiunto di non poco conto: è ammirevolmente stampato e ben rilegato (una caratteristica che si fa via via meno attenta in molte case editrici, comprese le massime).

(Gianni Brunoro, Il fumetto, marzo 2007)

 
DALLA PRESENTAZIONE DI ERMANNO TAVIANI (Roma, 5 marzo 2007)

Come storico dell'audiovisivo, questo libro mi ha interessato in due direzioni: una che porta alla storia e una che porta al cinema. Credo che in questo libro ci sia una ricerca storiografica di altissimo livello perchè fa riferimento a un insieme di fonti (le canzoni, i film, i fumetti) che fino a trent'anni fa non si studiavano perchè la storia era quella dei trattati, dei re, delle battaglie. Ma quelle che oggi rendono con più fascino e più immediatezza il senso del passato , quelle che sono entrate nel DNA della storia in questo secolo, sono proprio le fonti più anomale. E quindi un romanzo, un film, una trasmissione radiofonica sono molto più forti rispetto a un qualsiasi saggio, perchè parlano il linguaggio dell'emozione, del ricordo, della memoria, anzichè quello razionale e scientifico della storia. (...) L'altro motivo di interesse è legato al cinema: innanzitutto nel titolo, che richiama esplicitamente il film di Wim Wenders, ma anche perchè coglie il modo in cui il cinema degli anni Trenta, in epoca pretelevisiva, costruisce l'immaginario delle persone. Oltre ai riferimenti diretti a singoli film, il cinema è presente in vari registri: nella prima parte, il disincanto, il modo dimesso e in qualche modo fatalista con cui ragiona e si muove il personaggio del vice-commissartio di polizia mi ha ricordato il cinema noir; così come nella parte centrale c'è un personaggio che fa pensare al protagonista di La finestra sul cortile. E c'è anche una costruzione, come dire, alla Orson Welles, in cui si parte da un determinato momento, si ritorna poi indietro, si va avanti, c'è un continuo spostamento e rilettura della vicenda alla luce dei vari passaggi narrativi del libro...

(Ermanno Taviani)

 
DALLA PRESENTAZIONE DI ERNESTO G. LAURA (Roma, 5 Marzo 2007)

Ho letto questo libro con una grande gratificazione interiore, quella di cui ti rendi conto quando devi interrompere la lettura perchè hai altre cose da fare ma in realtà avresti voglia di andare fino alla fine. La prima constatazione è che il giallo non è più un genere letterario ma una modalità, diciamo, di costruzione della struttura narrativa: lo si usa per attirare il lettore in meccamismi che si sa che funzionano, ma ormai si va sempre più fuori dai limiti del genere. Anche Il cielo sopra Torino è un romanzo tout court, che si serve del giallo come se ne sono serviti scrittori famosi come William Faulkner o George Bernanos. Quello che è interessante non è soltanto l'atmosfera sospesa tra vigilia di guerra, dichiarazione di guerra e primi giorni di guerra e poi quella cupa degli anni dell'occupazione tedesca, ma anche la capacità - e questo veramente è raro - di ricostruire l'atmosfera a partire dal minimo quotidiano. Cito magari le cose più sciocche: al bar non si prendevano il chinotto o la Cocacola ma la gazzosa, e a tavola non c'era l'acqua minerale ma c'erano le bustine dell'Idrolitina, colorate in due colori diversi per sapere quale andava versata per prima e quale per seconda, per poi velocissimi chiudere il tappo se no scoppiava fuori tutto. Ora sembrano sciocchezze, ma è proprio questo che consente oggi, anche a una generazione successiva, di capire in che contesto si cala la vicenda di chi viveva allora. Così pure l'atteggiamento nei confronti del fascismo, che i vari personaggi hanno in modo molto diverso fra loro pur essendo coetanei: si va dal vicecommissario di polizia - che non è un uomo di regime ma ha il senso dello Stato e quindi fa il suo lavoro pur dissentendo su certe cose - a chi invece contesta radicalmente e poi andrà in montagna al momento della resistenza, a chi, pur vedendo che le cose non vanno, dice "poi Mussolini le mette a posto". E anche questo mi pare che ridia l'atmosfera dell'epoca, cioè un'atmosfera in cui si intrecciavano fascismo, antifascismo e stadi intermedi di dubbio, di incertezza, di esitazione, specie via via che la guerra andava verso una soluzione sempre più negativa. (...) Poi c'è l'ineccepibile costruzione del mistero giallo, che però non risponde alle logiche del genere perchè il poliziotto viene estromesso dall'indagine a un quarto del libro e sono altri che ci danno spicchi di verità, finchè la scoperta della verità finale è affidata al caso: quindi siamo proprio fuori da Sherlock Holmes, dal fatto dell'aggiungere elemento ad elemento del puzzle per arrivare a una soluzione. Uno dei meriti di questo libro è invece proprio la sfaccettatura con cui il racconto procede, nè raccontato nel modo classico in terza persona nè soggettivo di un solo personaggio, ma riflettendo volta per volta personaggi diversi che via via vengono al centro e poi escono di scena. Anche questo è molto cinematografico e contribuisce a non farci innamorare di un eroe o di un antieroe ma di farci sempre stare coi piedi per terra in un mondo che sta cambiando e in cui anche il cambio del punto di vista ci aiuta a rettificare i dati iniziali. Credo che un altro merito del libro sia avere inserito in mezzo a Torino anche la corposa parte che riguarda Trieste e la risiera di San Sabba, come è noto l'unico lager esistito in Italia con caratteri anche di campo di sterminio. La risiera di San Sabba è stata trattata dagli storici solo in un secondo momento, e nonvorrei sbagliare ma mi pare che si tratti della prima volta che la vedo affrontata in chiave narrativa, e la parte in cui la si racconta è splendida. C'è un momento che mi ha ricordato un brano di un libro di Primo Levi, quando una persona che sta nel campo di sterminio riesce a fuggire durante un bombardamentio alleato e si rifugia sulle colline, vicino a Trieste. Scrive Farina: "Vista da lì, sull'altro lato del golfo, la Trieste nazifascista sembrava la città più tranquilla del mondo, come un organismo vivente che un male incurabile sta rodendo all'interno senza però averne ancora intaccato l'aspetto esteriore. Da quella distanza, perfino il filo di fumo che nei giorni limpidi si levava dal quartiere di San Sabba sembrava l'innocuo prodotto di un'attività umana operosa anziché l'atroce conferma del fatto che l'eccidio stava continuando". Questo brano è molto efficace e mi ha ricordato quel brano di Se questo è un uomo, in cui Levi viene scelto per andare a lavorare in una azienda chimica vicino al campo di sterminio e arriva lì e ci trova ragazze ben truccate e ben vestite, in un'atmosfera assolutamente fuori dal mondo per lui che sa che a pochi chilometri ci sono i forni crematori e lo sterminio quotidiano. Ecco, la stessa cosa la fa Farina: continuare a ricordarci come c'è sempre un'apparenza di normalità, di serenità anche nei paesaggi dell'orrore. (...) Io ritengo che questo sia uno di quei casi in cui leggendo un romanzo abbiamo un buon contributo alla divulgazione della storia. In esso ci sono una fedeltà e una capacità di rappresentazione autentica che invita veramente il lettore, chiuso il romanzo, a dire: adesso vorrei anche leggermi qualche libro di storia per continuare a conoscere, continuare a riflettere, continuare a capire.

(Ernesto G. Laura)