Lo scrittore --> Articoli -->Altre testate

TRA ESOTISMO E AVVENTURA

Caro, vecchio e sfortunato Emilio Salgari, compagno della nostra infanzia, di quella dei nostri padri, e forse anche di quella dei nostri nonni. Chi di noi non ha avuto fra i suoi primi compagni di gioco, oltre che il cugino, il compagno di scuola o il figlio del fattore, anche la Tigre della Malesia, la Scotennatrice e il Corsaro Nero? Chi non ha condiviso almeno un tratto del suo percorso adolescenziale, oltre che con gli amici della porta accanto, anche con personaggi più inconsueti, e talvolta inquietanti, Sandokan, Minnehaha, Yanez de Gomera, Enrico di Ventimiglia?

E' vero: quando diventammo più grandi, questi compagni della nostra infanzia e della nostra adolescenza li perdemmo un poco di vista, poiché conoscemmo, sulla strada della fantasia e dell'avventura, altri personaggi, che si chiamavano Lemuel Gulliver, Robinson Crusoe, Gordon Pym, Martin Eden. Personaggi non meno affascinanti dei primi, e molto più complessi di loro, con cui ci intrattenemmo volentieri, cercando di capirne i problemi e di confrontarli con i nostri; mentre qualcuno ci spiegava che questa sì, era letteratura, mentre quella di Emilio Salgari non era altro che un teatrino dei pupi, in cui agivano dei burattini schematici e rozzi.

Sarà tutto verissimo. Ma questo teatrino dei pupi fu, per molti di noi, il primo grande amore letterario: e poiché il primo amore - è noto - non lo si scorda mai, non fa meraviglia che l'uomo adulto di oggi vada alla ricerca, fra tante altre cose del tempo perduto, anche di quei burattini che furono fastosi compagni di gioco dell'adolescente di ieri.

La strada di questa recherche, sulla quale, anni fa, ci incamminammo in pochi, si è fatta, da un po' di tempo in qua, affollatissima.

Per un lungo periodo di tempo (diciamo tra gli anni cinquanta e l'inizio degli anni ottanta) sul nome di Emilio Salgari era sceso l'oblio; il suo nome fu affidato soprattutto alle riduzioni cine-televisive realizzate da Sergio Sollima e interpretate da Kabir Bedi, così oleografiche e banali da far rimpiangere la commovente naiveté dei film salgariani dell'epoca bellica. E l'edizione critica e annotata curata da Mario Spagnol per la Mondadori, all'inizio degli anni settanta, si arenò prima di riuscire a raggiungere i venti titoli.

Da alcuni anni a questa parte, invece, e in corrispondenza con il nascere di una certa critica attenta ai fenomeni della cosiddetta letteratura minore (i gialli, la letteratura popolare, il fumetto), c'è stato, per Emilio Salgari e per la sua opera, un grande risveglio di interesse. Ne fanno fede almeno un paio di mostre e di congressi, la pubblicazione di alcuni saggi critici e biografici, le recenti e ravvicinatissime ristampe del suo unico libro autobiografico (La Bohème italiana); nonché il rinnovato interesse di quel vasto e fluttuante popolo di collezionisti che trasmigra volubilmente da un territorio culturale all'altro, e che da qualche tempo ha ripreso, con rinnovato ardore, a dare la caccia alle prime edizioni dei libri salgariani.

Ne fa fede, infine, la recentissima e quasi simultanea pubblicazione di due nuovi libri, dedicati entrambi all'iconosfera salgariana. Il primo dei quali (Nuova bibliografia salgariana, di Vittorio Sarti, Sergio Pignatone Editore) è una ricchissima miniera di dati, date e informazioni su tutto ciò che riguarda l'opera omnia salgariana (prime edizioni, edizioni successive, romanzi firmati con uno pseudonimo, articoli apparsi su giornali e riviste, apocrifi e via discorrendo).

Imprescindibile per i collezionisti, il libro di Sarti è comunque fascinoso per chiunque nutra affetto per l'autore veronese: anche per il gran numero di riproduzioni (molto spesso a colori) delle rutilanti copertine delle prime edizioni. E che ci introducono al secondo libro (L'occhio della tigre, di Paola Pallottino, Sellerio Editore), dedicato al pittore napoletano Alberto Della Valle, che della maggior parte di quelle copertine fu autore.

Questo secondo libro è un'opera singolarmente intrigante, poiché ci illumina sui complessi rapporti che esistevano a cavallo del secolo fra illustrazione e fotografia. Esso nasce infatti dal ritrovamento di una cospicua serie di fotografie che lo stesso Della Valle scattò in casa sua, servendosi di se stesso e dei propri amici e congiunti in veste di comparse, per usarle come traccia per le sue illustrazioni salgariane. Con un paziente lavoro di collazione, la Pallottino e i suoi collaboratori hanno individuato parecchie "coppie" di immagini (la fotografia originale e l'illustrazione che ne fu tratta), che vengono puntualmente accostate fra di loro, mettendo a raffronto l'iconosfera esotica e fantasiosa di Salgari e dei suoi romanzi con quella piccolo-borghese dell'Italia umbertina.

Al di là della godibilità del gioco, l'interesse dell'opera sta nelle sue molte e variegate implicazioni. Tanto per non citarne che una, la dicotomia fotografia/illustrazione altro non è, a ben vedere, che la stessa dicotomia che esisteva fra il vero Salgari, umile travet dell'Italia umbertina, e il Salgari fittizio, esploratore e scorridore dei mari; e il divenire (trasmigrando dalla fotografia al disegno) di un salotto borghese in una giungla indiana, di una seggiola rovesciata in un destriero, e di un manico di scopa in una scimitarra non è altro che la traduzione in termini iconografici di quel transfert schizofrenico che Salgari alimentò per tutta la sua vita, dalle coste del mar Ligure e dalle rive del Po.

Ma c'è un'altra singolare dicotomia, che i due libri citati ci permettono di verificare una volta di più: la vistosa, e sistematica, forma di dissociazione fra il "dentro" e il "fuori" dei volumi, in forza della quale le copertine vanno in una direzione e le illustrazioni interne nell'altra, proiettandosi verso il futuro le prime e ripiegandosi verso il passato le seconde.

Vediamo di spiegarci meglio. I romanzi di Salgari (i suoi editori sono almeno una quindicina, ma fra tutti spiccano, per quantità di titoli e per qualità editoriale, il genovese Donath e il fiorentino Bemporad) vengono pubblicati in un arco di tempo che va pressapoco dal 1890 al 1911, anno in cui lo scrittore si toglie la vita. Coincidono quindi con l'Italia di Umberto I, di Crispi e di Giolitti, con quell'Italia che ancora non ha ben capito che cosa significhi essere un Regno Unitario, e che tuttavia sta già ponendo le basi del suo futuro e fragilissimo impero coloniale.

E' un'Italia, insomma, irta di problemi e di contraddizioni. Tanto per fare qualche esempio, sono gli anni in cui a Torino, fra una Esposizione Internazionale e l'altra, nascono da un lato la Confederazione Generale del Lavoro e dall'altro una fabbrichetta di automobili denominata FIAT; mentre quasi contemporaneamente, al di là del Ticino, le regie truppe del generale Bava-Beccaris fanno fuoco sui manifestanti, ed un anarchico fa fuoco sul re d'Italia, uccidendolo.

In questa Italia, in cui Treves sforna a ritmo già industriale le edizioni del deamicisiano e edificantissimo Cuore, e l'unico esempio di trasgressione è costituito da una irriverente fiaba di tale Lorenzini Carlo, su un burattino di legno il cui naso si allunga ogni volta che racconta una bugia, in questa Italia, dicevo, si dà per scontato che la letteratura per l'infanzia, sia nei "contenuti" che nelle "figure", debba necessariamente rispondere a esigenze di tipo didattico-pedagogico, anziché a pulsioni di tipo edonistico.

I romanzi di Salgari, per la verità, non sono letteratura per l'infanzia in senso stretto, poiché si rivolgono a ragazzi già grandicelli. Essi nascono piuttosto dalla sovrapposizione di altre due matrici letterarie prettamente tardo-ottocentesche: il romanzo popolare (o romanzo d'appendice), di origine prevalentemente francese (Dumas, Sue, Ponson du Terrail), e il periodico geografico-etnografico, che volgarizza e diffonde le scoperte che gli esploratori vanno facendo in quegli anni un po' in tutto il mondo (e non si può non citare almeno, fra i tanti, Il giornale illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare, edito da Sonzogno).

Mutuando le formule (e parzialmente il pubblico) di questi due ascendenti letterario-editoriali, è inevitabile che il libro di avventure ne mutui anche il tipo di illustrazioni: che in entrambi i casi (come peraltro nei libri più specificamente dedicati all'infanzia) erano costituite allora da immagini rigorosamente in bianco e nero (ottenute per lo più con la tecnica della xilografia), realizzate, impaginate e riprodotte nel modo più generico e tradizionale possibile.

Questo, paradossalmente, avveniva in netto contrasto con i contenuti dei testi, che invece lasciavano ampio margine alla fantasia (o per ambientazione esotica o per straordinarietà di situazioni), e quindi si prestavano in modo esemplare, almeno sulla carta, a un'iconosfera libera da ogni zavorra accademica e gioiosamente innovativa: mentre invece più fantasiosi e drammatici erano i "contenuti" della figura (abbordaggi, caccie alla tigre, battaglie, agnizioni, sepolture vere e fittizie), tanto più banale era il "linguaggio" visuale della stessa.

Da questa regola non si discostano i Della Valle, i Gamba, gli Amato, e gli altri illustratori dei romanzi di Emilio Salgari. Talché si può ben dire che, al di là dell'apporto e del carattere personale dei singoli artisti (già più volte analizzati da altri: e citiamo fra tutti Antonio Faeti, nel suo Guardare le figure), le illustrazioni interne delle prime edizioni salgariane si uniformano in tutto e per tutto alle regole allora imperanti sul mercato editoriale.

Senonché... senonchù siamo pur sempre alla fine del secolo e all'inizio del nuovo. Vale a dire in un periodo che coincide proprio con quella rivoluzione estetica che sconvolge l'Europa a cavallo fra i due secoli, ridisegnando la mappa del gusto del vecchio continente su basi grafiche e figurative assolutamente inedite.

Vediamo di capire, anche se in modo necessariamente sommario, in che cosa consiste questa rivoluzione. Le sue premesse erano state poste cinquant'anni prima da un gruppo di pittori che nel 1848, in Inghilterra, aveva dato vita al cosiddetto Movimento Preraffaellita: una "scuola" che intendeva recuperare, quale modello per la pittura, la realtà effettiva, e non quella perfetta "riproduzione della realtà" che i grandi Maestri, da Raffaello in poi, avevano messo a punto e in qualche modo codificato: riproduzione della realtà che, diventando il punto di riferimento obbligato delle Accademie, aveva per così dire "museificato" la storia dell'arte, portandola in una specie di impasse, nella quale qualsiasi tentativo di rinnovamento diventava impossibile.

Ecco nascere allora delle singolari composizioni il cui classicismo veniva addolcito da morbide volute e da leggiadre ornamentazioni; ecco le linee già morbide dei preraffaelliti addolcirsi ulteriormente, anno dopo anno, ispirandosi sempre più spesso alla fluidità del mondo acquatico e di quello fitomorfo; ed eccole allungarsi fino a coprire l'Europa, piegandosi in riccioli sinuosi e assumendo, a seconda dei Pesi, denominazioni diverse ed autoctone: liberty, jügendstil, arte floreale, art nouveau.

Contemporaneamente, i nuovi codici figurativi trasmigravano dalla pittura a tutta una serie di arti applicate, quali la carta da parati, il ferro battuto, l'architettura e, naturalmente, l'illustrazione del libro. Ed ecco nascere, in Inghilterra e poi in Francia, il fenomeno del cosiddetto gift-book, o del beau livre: volumi di lusso, con belle legature editoriali e splendide illustrazioni, che all'inizio furono riservati agli adulti (e basti citare i nomi di alcuni degli illustratori più noti, come Aubrey Beardsley, Charlos Schwabe o Alphonse Mucha) ma non tardarono a invadere i territori del libro per ragazzi (con le opere illustrate da Walter Crane, da Arthur Rackham o da Edmund Dulac).

Certo, Torino, Genova e Firenze erano molto lontane, allora, da Londra, Vienna o Parigi; e tuttavia, i venti della rivoluzione arrivarono a lambire perfino le remote provincie dell'Italia umbertina.

Anche i romanzi di Salgari, che andavano uscendo proprio in quegli anni, risentirono dei nuovi fermenti. Ma, fosse per ragioni economiche o fosse per una ancestrale cautela di derivazione manzoniana ("Adelante, Pedro... con juicio!"), li fecero propri solo ed esclusivamente nelle copertine (complice determinante l'evoluzione della tecnica tipografica, che consentiva di utilizzare per esse la rutilante gamma di colori della cromolitografia).

Così, mentre le illustrazioni interne dei volumi restavano abbarbicate, come si è detto, al codice figurativo imperante negli ultimi decenni, le immagini di copertina degli stessi volumi, dopo un inziale periodo di incertezza, si portavano decisamente all'avanguardia del gusto dell'epoca, assorbendo e riecheggiando tutte le proposte della cultura figurativa europea più avanzata.

Avviene così che, riguardando oggi quei volumi policromi, incontriamo sulle loro copertine (e soprattutto su quelle del già citato Della Valle) non pochi echi di artisti contemporanei di fama europea, da Beardsley (Il re dell'aria) a Crane (Capitan Tempesta), da Delacroix (La riconquista di Mompracem) a Rochegrosse (Sull'Atlante); quando non si tratti addirittura di anticipazioni di tendenze di gusto prossime venture, come nella copertina de Le figlie dei faraoni (1906!), in cui Della Valle precorre addirittura le eleganti stilizzazioni déco di Georges Barbier, e l'uso delle tinte piatte tipico del "pochoir". (Su tutto questo, infine, si estende propiziatrice l'ombra di Alphonse Mucha, cui si ispirano in modo evidente quasi tutte le ornamentazioni e le "cornici" compositive: in una girandola di nastri, di fregi, di spire serpentine e di forme geometriche, che, se non sempre necessariamente bella, è quantomeno quasi sempre una festa per gli occhi).

E' così che il colore entra prepotentemente, e per la prima volta, nelle stanze dei ragazzi italiani; e con il colore ci entrano una libertà compositiva, una gioia dell'immagine, un'abbondanza di suggestioni adulte e una fantasia che fino allora erano rimaste del tutto sconosciute ad una generazione cresciuta fra le pochissimo esilaranti, e piuttosto jettatorie, illustrazioni di Cuore.

Da vecchio salgariano, mi piace pensare che sia proprio attraverso Emilio Salgari che si verifica "il passaggio del testimone" fra il vecchio gusto ed il nuovo. Chissà, forse non è un caso che lo scrittore muoia proprio nel 1911: lo stesso anno in cui vede la luce in Italia la rivoluzionaria edizione del Pinocchio di Collodi, splendidamente illustrato a colori da Attilio Mussino. Un libro che apre la strada ad una editoria per l'infanzia sicuramente meno ricca e meno copiosa di quella dei nostri cugini d'oltralpe, ma che annovererà tuttavia, fra le sue file, autori della statura di Sergio Tofano, di Antonio Rubino e di Duilio Cambellotti.

(Vita Italiana - Cultura e Scienza, gennaio-giugno 1994) [ma 1996]

Torna a Altre testate

webmaster: flavia e alberto farina | © COPYRIGHT 2002-2003 corradofarina