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CI SONO TROLL E TROLL

Ricorderete, spero, che un mese fa ci siamo occupati di una collana di libri svedesi intitolata Bland tomtar och troll, Fra gnomi e troll. Pensavo che l'argomento fosse esaurito, quando, con incredibile tempestività, mi è arrivata da Rivarolo Canavese (Torino) una lettera in cui mi si chiede che cosa diavolo siano questi "troll". Cosa che rende opportuno un secondo viaggio nelle brume del nord intrise di paganesimo, là dove il sole è più basso, la natura più arcana, e tutto ciò che sa di meraviglioso e fantastico trova un'attenzione e un rispetto che nelle nostre luci mediterranee gli è sovente negato.

Tecnicamente, i troll sono i geni maligni delle foreste e delle rocce: sono grandi come giganti e bruttissimi, con le orecchie a sventola, un grosso nasone e ciuffi di capelli incolti. Sono, allo stesso tempo, goffi e crudeli, stupidi e cattivi: giustamente, è stato rilevato che Shakespeare si deve in qualche modo essere ricordato di loro, quando ha pensato al Calibano de La tempesta. I loro parenti più prossimi, comunque, restano l'idra della mitologia greca (può benissimo succedere, infatti, che abbiano più di una testa) e l'orco delle favole. A differenza però degli orchi, delle fate, degli gnomi e degli elfi, che abitano un po' dappertutto nella vecchia Europa (anche se manifestano sempre, per le ragioni già dette, una netta preferenza per l'Europa del Nord) essi vivono esclusivamente nelle regioni scandinave, ed è ben difficile che se ne trovi traccia nelle culture di altri Paesi. (Naturalmente ci sono delle eccezioni, come i troll trasformati in pietra ne Il signore degli anelli, per aver cercato di mangiarsi degli hobbit; ma anche se Tolkien è inglese, il suo libro si colloca in una specie di "zona franca", poichè rappresenta una vera e propria "summa" di tutti i possibili motivi della mitologia e del folklore dell'Europa del Nord).

Tuttavia, come rivela il titolo di queste note, ci sono troll e troll. A cinquant'anni dalle terrificanti immagini dell'orco di Pollicino disegnate da Gustave Dorè (1862), si fa strada, negli editori dei libri per l'infanzia, l'idea che forse con la fantasia dei bambini è meglio andarci più cauti. E la cosa non deve sorprendere: anche quando illustrava Perrault, Doré disegnava soprattutto per un pubblico di adulti, e bisogna arrivare all'inizio del novecento perchè il pubblico infantile cominci ad essere osservato in un'ottica industriale, con quella che oggi definiremmo una "strategia di marketing", e cioè un'attenzione non superficiale al modo più giusto per raggiungerlo e conquistarlo.

Così, nelle illustrazioni dei libri per l'infanzia, dall'inizio del novecento in poi si può notare una certa tendenza a ridurre l'impatto negativo del personaggio del troll, depurandolo dei suoi connotati più orripilanti e risvoltandolo in una direzione più bonaria ed innocua.

Esemplari, in questo senso, sono proprio le tavole di quel John Bauer di cui abbiamo parlato la volta scorsa. Nei volumetti di Bland tomtar och troll illustrati da lui ci troviamo di fronte a personaggi che di mostruoso hanno più poco: sono diventati piuttosto dei grossi peluches con il volto rubizzo ed il corpo ricoperto di peli, che anticipano la morbidezza dei pupazzi della Steiff e che paiono evocare più il calore protettivo della nursery che non la viscida freddezza delle grotte silvane.

Bauer indulge, come sempre, al gioco dei contrasti, contrapponendo a questi enormi orsacchiotti i suoi bimbi filiformi, le sue gracili principesse dai capelli d'oro, che ovviamente rappresentano il Bene minacciato dal Male. Ma lotta fra il Bene ed il Male è priva di violenza e di angoscia, e ne fanno fede gli atteggiamenti dei suoi giovinetti: i quali, di fronte ai troll, non sembrano per niente spaventati, e manifestano al massimo una benevola curiosità per quelle strane creature che si trovano di fronte. Del resto, queste creature sono viste sempre con simpatia, se non addirittura con qualche tocco di tenerezza e di humour: come succede ad esempio in una tavola in cui si vede una mamma troll con il suo mostriciattolo in braccio, in un atteggiamento dolcissimo che ricorda quello di tante "Madonne con Bambino" dei nostri pittori rinascimentali.

Ci serve una controprova? Approfittando in modo surrettizio della temporanea assenza di Omar Austin, mi permetterò di accennare ad un altro illustratore, che di solito costituisce un suo personale appannaggio. Mi riferisco, naturalmente, al danese Kay Nielsen, e a quello che è probabilmente il suo libro più fascinoso, vale a dire East of the Sun and West of the Moon.

In questo libro (che al pari di Bland tomtar och troll è un'antologia di fiabe e di racconti nordici), c'è un racconto intitolato Le tre principesse nella Montagna Azzurra, in cui alcuni troll multicefali fungono da carcerieri.

Bene: al di là del piacere di una analisi comparata fra i due artisti scandinavi (si veda come, anche all'interno di una estrema semplicità scenografica, Nielsen riesca a introdurre dei motivi orientalizzanti che in Bauer sono del tutto assenti: nella fiamma delle candele, nella corona della principessa, e soprattutto nelle volute del fumo, che alludono in modo inequivocabile ai "movimenti" di una architettura arabeggiante), non si può non vedere anche qui una totale assenza di repulsione nei confronti del "mostro" carceriere. Caso mai, quelle tre teste reclinate nel sonno (che oltretutto sappiamo che stanno per essere spiccate dal busto con un colpo di spada), quei capelli così biondi da sembrare canuti, e quel senso di abbandono nel sonno che ha il corpo del troll, suscitano una pietà ed una compassione che si collocano esattamente agli antipodi della repulsione e del disgusto.

Vogliamo vedere, in questa comune simpatia verso i troll da parte dei due disegnatori scandinavi, un desiderio di insegnare ai bambini a osservare i "diversi" senza i pregiudizi mentali e le ipocrite pavidità dell'adulto? Mah. Non mi sembra probabile che all'inizio del secolo potesse già esistere una sensibilità così moderna. E tuttavia... perchè no? In fondo, il Frankenstein della Shelley era già stato scritto da tempo. E alcuni anni dopo, facendone un film, il regista James Whale ci avrebbe inserito una scena estremamente esplicita, in cui si vede una bambina che si mette a giocare col "mostro"...

Diciamo allora così: molto probabilmente, questa ipotesi è infondata, e rientra in quel margine di elucubrazioni che appartengono ai critici e agli esegeti; ma ciò non toglie, comunque, che faccia piacere farla.

(Comic Art, dicembre 1993)

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