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SELENE CIAK: "LA DECIMA VITTIMA"

Potevo non precipitarmi a vedere per voi La decima vittima, che il produttore Carlo Ponti e il regista Elio Petri avevano realizzato a Roma I'estate scorsa, dopo tre lunghi anni di indecisioni, di ripensamenti, di dubbi? L'aria era piena di luci e di suono di zampogne, I'allegria del Natale imminente zampettava per Ie strade, gli angeli promettevano pace in terra agli uomini di buona volontà e I'agente 007, da grossi tabelloni, fiocinava gli avversari col sorriso sulle labbra. lo, con il cuore colmo di bontà e di metaforici cartoncini di auguri, mi inabissavo nel cinema Nuovo Romano, I'eterno, immutabile rifugio, con il Museo del Cinema, di chiunque a Torino conservi ancora un po' di affetto per i bei film.

L'inizio è folgorante, udite. In una strada di New York, una New York di domani come di oggi, una gelida, impietosa selva di grattacieli, di vetrate, di travature d'acciaio, un uomo insegue una giovane donna, Ie spara una volta, due volte, tre volte. Un poliziotto interviene, I'uomo esibisce una tessera di cacciatore, il poliziotto si scusa, la caccia prosegue. Ma I'uomo ha perso di vista la sua preda, entra in un locale che porta il significativo nome di Masoch Club. Qui, in una surreale scenografia di cubi bianchi, rarefatta e ironica come certe scenografie dell'ultimo Fellini, una stupenda ragazza si spoglia e flagella con gli indumenti il viso degli spettatori. II cacciatore esita, la sua pistola si abbassa, quel corpo scultoreo che si avvolge lascivo in un mare di bianchi lo affascina, lo cattura. Un attimo di distrazione, ed è la fine: i capezzoli della spogliarellista avvampano improvvisamente e sputano fuoco. Due minuscole pistole nascoste nel reggiseno della vittima hanno distrutto il cacciatore.

Siamo già, dopo pochi minuti di proiezione, nel feroce, ironico mondo che Sheckley ha creato nel suo racconto, colto e tradotto in immagini con rara precisione. Se non I'avete letto, fatelo subito: è uno dei più lucidi e più impietosi pronostici sul nostro futuro. Le guerre, immagina Sheckley, sono state abolite, ma I'uomo non ha potuto o voluto rinunciare ai propri istinti di violenza. E' sorta per questo la grande, filantropica organizzazione della Grande Caccia, che organizza e pianifica e legalizza gli assassinii. Chi si iscrive sarà, alternativamente, vittima e cacciatore, e alternativamente gli sarà assegnato, da un cervello elettronico, un cacciatore da evitare o una vittima da eliminare. Così gli istinti si sfogano, I'assassinio diventa uno sport e la società, salute a noi, è salva.

Ma andiamo avanti. Sulla situazione di partenza, che ha la precisione, la plausibilità e la cattiveria delle migliori invenzioni fantascientifiche, Sheckley dipana poi la storia di un amore nato follemente in questo meccanismo di violenza e da questo meccanismo stritolato. Sono venti paginette scarne, esemplari, senza una parola di troppo e senza una sbavatura letteraria. Venti paginette che potevano tranquillamente diventare venti minuti di eccellente cinema.

Ahimè: altro è il fiato che si chiede a un film commerciale, e le interpolazioni diventano via via più grassocce e facilone. E allora? Fuori le responsabilità. lo mi rifiuto di credere che Petri, e Guerra, e Flajano, che so persone intelligenti, abbiano coscientemente voluto un simile scempio dopo aver cominciato su così esatte e felici cadenze, e devo quindi concludere che la responsabilità sia tutta del produttore. Se così è, signor Ponti, mi consenta di fare un esperimento: mi dia una copia de La decima vittima e mi lasci da solo due giorni in moviola. lo mi impegno a restituirle, dopo aver selvaggiamente e spietatamente tagliato, 15-20 minuti di buona fantascienza cinematografica.

E I'interpretazione? Scialba e generica quella dell'immancabile Mastroianni, inesistente quella della Martinelli; ma che dire della mostruosa, raggelante esattezza del personaggio di Ursula Andress? Non voglio qui perdermi in ovvie considerazioni di ordine edonistico sulla trionfante, michelangiolesca struttura architettonica di questo pregevolissimo esemplare di fauna svizzera; quello che realmente impressiona è quanto fedelmente essa interpreti (che dico, Ursula non interpreta, Dio le ha dato una faccia ed essa tenacemente rifiuta di separarsene, di imprimerle una qualsivoglia espressione, un qualsivoglia fremito), quanto fedelmente essa "sia", moralmente ancor più che fisicamente, la ragazza immaginata da Sheckley: un semplice corpo che vive e che muore, che ama e che uccide con la stessa impassibilità di un cervello elettronico, una mostruosa proiezione futura della emancipatissima donna di oggi. Questo personaggio è I'unico che conservi, quando tutto il resto miseramente si affloscia, le gelide caratteristiche della pura fantascienza; talchè il film, visto nel suo complesso, vale come opera di fantascienza solo per il viaggio che ci fa compiere intorno a questo stupendo, terribile pianeta di carne e di ghiaccio.

Uscendo, annichilito, dal cinema, non vedevo più luci nè udivo suono di zampogne. Piangevo dentro di me la misera sorte della fantascienza cinematografica, ieri oscura adolescente nei cinema di periferia, oggi prostituta di lusso sui marciapiedi più scintillanti e più stolidi dello spettacolo cinematografico. Che carriera.

("Selene", febbraio 1966)

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