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C. ROSETTI, CHI ERA COSTUI?

Gesù, Gesù. Chissà quanti di voi hanno perso il sonno negli ultimi mesi, scartabellando inutilmente le varie Enciclopedie del Fumetto e cercando di capire chi fosse l'autore di una storia pubblicata da questa rivista nel n°108 dell'ottobre scorso, disegnata dall'inglese John Bolton e sommariamente co-firmata da un tale "C.Rosetti". (Perfino il sempre puntuale Luca Boschi, nelle sue "Referenze", glissava sul problema).

Se di quella storia, che era intitolata Il mercato dei folletti, avete apprezzato, oltre che la bellezza delle tavole, anche l'intrigante vicenda (non scevra di reminiscenze freudiane) e la cadenza quasi musicale dei testi; se vi siete domandati come mai di questo autore (bravino, però) non si era mai letto niente; se avete desiderato, di conseguenza, saperne qualcosa di più; ebbene, eccomi qua, perdonatemi, arrivo in ritardo ma arrivo, a fugare i vostri dubbi e a restituirvi il sonno.

Dunque, del signor Rosetti non avete mai sentito parlare per almeno un paio di buone ragioni. Prima di tutto, perchè non si chiama Rosetti ma Rossetti, con due "esse"; e poi perchè non si tratta di un autore di storie a fumetti, ma della poetessa inglese Christina Georgina Rossetti (1830-1894), della quale, anche in considerazione del fatto che ricorre proprio quest'anno il centenario della morte, mi sembra assolutamente doveroso darvi alcune notizie.

Come? Qui, nella rubrica dedicata all'illustrazione?

Sì, proprio qui, e la cosa non vi deve stupire. Poichè Christina Rossetti, tanto per cominciare, era sorella nientemeno che del pittore, disegnatore e poeta Dante Gabriel Rossetti, fondatore (con altri) di quel movimento preraffaellita che fu un po' all'origine di tutta la rivoluzione dell'arte figurativa del Novecento, e di cui parlammo in almeno una precedente occasione (Come fu che i libri per bambini divennero adulti, su Comic Art del febbraio 1992). Inoltre, il suo poemetto Goblin market (1862), molto prima di sedurre la fantasia di John Bolton, aveva già sedotto quella di altri illustratori, e tutti vicini ai massimi livelli. Primo fra tutti il fratello dell'autrice, il quale, nel 1865, ne illustrò una seconda edizione, contaminando gli elementi grafici classici e rinascimentali del "credo" preraffaellita (riservati alle immagini di Laura e Lizzie, le due sorelle protagoniste) con una fantasia "noire" di ascendenza quasi boschiana (riscontrabile invece nell'interpretazione dei "goblins", o folletti, da lui risolti in chiave di animali antropomorfizzati).

A proposito: sarà bene chiarire subito che i "goblins" non sono dei veri e propri folletti, ma piuttosto degli spiriti maligni, o, se proprio vogliamo, dei folletti cattivi: un po' come i "trolls" scandinavi, di cui abbiamo avuto occasione di parlare ripetutamente nei mesi scorsi. Sono quindi dei nuovi personaggi, che si affiancano (oltre che ai trolls) alle fate, agli elfi, agli gnomi e alle altre entità soprannaturali che abbiamo incontrato da quando abbiamo intrapreso assieme questo itinerario "per figure" attraverso la letteratura fantastica.

Che aspetto hanno, i "goblins"? Christina Rossetti si limita a suggerire delle precise parentele con animali di razze diverse: "...One had a cat's face, / One whisked a tail, / One tramped at a rat's pace, / One crawled like a snail, / One like a wombat prowled obtuse and furry, / One like a ratel tumbled hurry skurry..." . Il che è un po' come dire tutto e non dire niente.

E difatti, le varie interpretazioni grafiche che nel corso di un secolo sono state date ai suoi versi si muovono in due direzioni del tutto antitetiche: da un lato gli animali antropomorfizzati (ed è la scelta degli artisti ottocenteschi, come Dante G. Rossetti, o quel Laurence Housman di cui diremo fra poco); e dall'altro gli uomini (o meglio gli omuncoli) animalizzati, come succede nelle tavole di John Bolton, o in quelle di Arthur Rackham, che alle illustrazioni di Goblin market pose mano assai tardi, nel 1933, vale a dire nel pieno della sua parabola discendente.

Di quest'ultima opera non c'è nulla da dire, se non che non aggiunge uno spillo all'ammirazione che tutti noi portiamo all'autore del Rip van Winkle o del Peter Pan in Kensington Gardens. Mentre vale la pena, invece, di soffermarsi su una edizione del 1893, pubblicata a Londra dall'editore MacMillan ed illustrata da Laurence Housman.

Chi era Laurence Housman? Era un altro di quei "multiformi ingegni" (alla pari di Rossetti o di William Morris) di cui l'Inghilterra della seconda metà dell'Ottocento sembra essere stata così prodiga. Egli illustrò molti libri di fiabe, propri ed altrui; scrisse commedie, pamphlet e novelle, che spesso incapparono nelle maglie della censura vittoriana; fu, come Walter Crane, convinto fautore del socialismo; e nel 1907 curò quella riduzione per i bambini de Le mille e una notte che venne illustrata da Edmund Dulac: un libro che riscosse un successo strepitoso, facendo dilagare anche nelle albioniche nurseries quel gusto orientalizzante che in quegli anni andava tanto di moda, sia al di qua che al di là della Manica.

Ma non dilaghiamo anche noi, e fermiamoci a considerare la sua opera figurativa, che è ricca di echi e di rimandi culturali estremamente complessi; e all'interno della quale le illustrazioni realizzate per il poema della Rossetti rappresentano molto probabilmente il momento più felice e più magico.

Cos'è che rende così intriganti e, diciamolo pure, inquietanti, i suoi "goblins"? Certamente, anzitutto, il segno grafico: che da un lato, per la fantasia visionaria e per il sapiente utilizzo del bianco-nero, rimanda a certa grafica e certa pittura dei grandi fiamminghi (penso sopratutto a Bosch ed a Bruegel); e dall'altra annuncia a chiare lettere, nelle morbide linee avvolgenti degli alberi e dei mantelli, l'ormai prossimo trionfo dell'art nouveau.

Tuttavia, i pregi estetici non mi sembrano sufficienti a spiegare il fascino che emana dalle illustrazioni dell'Housman, e credo che, per trovarne le radici, bisogna scavare più a fondo. Non tanto, quindi, nell'aspetto dei suoi personaggetti, quanto nelle emozioni che il loro aspetto suscita in noi.

Anzitutto, i "goblins" di Housman sono, è vero, animali antropomorfizzati, ma sono talmente nascosti dai loro cappelloni e dai loro ampi tabarri da restare circonfusi da un alone di mistero, lasciando all'immaginazione di ognuno di noi il diritto di completarli a sua discrezione, conferendo loro l'aspetto dei propri fantasmi personali. Inoltre, nonostante abbiano, nelle loro espressioni e nei loro atteggiamenti, quel che di repulsivo che la storia richiede, posseggono nello stesso tempo il fascino e la carica di simpatia degli animaletti domestici, traducendo magistralmente in termini grafici quell'incontro-scontro fra Bene e Male, quel conflitto fra Fascino e Timore, in una parola quella "contraddizione in termini" che appartiene alla Tentazione.

Poichè è proprio la Tentazione, a ben vedere, la protagonista principale e il significato ultimo del poema della Rossetti. Che i biografi ci descrivono come donna estremamente religiosa, dalla salute cagionevole e dalla vita infelice, con una "costante aspirazione a staccarsi, non senza pianto e rimpianto, dalla terra, e trovar pace nel porto della fede" (C. Izzo, Storia della letteratura inglese, Nuova Accademia, Milano 1963). Ma che molto probabilmente, come spesso succede a chi possiede una religiosità eccessiva, non andava esente da profonde ed oscure spinte verso il Peccato.

Di questo conflitto esistenziale e morale, Goblin market è un esempio chiarissimo: e non è neanche necessario sottolinearne l'aspetto più evidente, e cioè il tema del rapporto omosessuale tra le due sorelle. Tema che John Bolton, nelle sue tavole, ha (peraltro discretamente) esplicitato, ma che era già presente, più o meno in filigrana, nei versi della poetessa ( Golden head by golden head, / Like two pigeons in one nest / Folded in each other's wings, / They lay down in their curtained bed... / ... Cheek to cheek and breast to breast... ) nonchè in almeno una delle illustrazioni di Dante Gabriel Rossetti (che presumibilmente, dei conflitti interni di sua sorella, doveva saperne abbastanza...).

Il sonno della ragione, si sa, genera mostri; e dal punto di vista della morale sessuale la ragione della società vittoriana era proprio, sia nella buona che nella mala fede, una "bella addormentata".

Bella e, diciamolo pure, anche un po' scema. Poichè, troppo occupata a scandalizzarsi per l'insufficiente lunghezza delle gonne o per la proposta di estendere il voto alle donne, non si rendeva conto di trasgressioni molto più gravi e striscianti. Permettendo ad esempio che una signorina di buona famiglia scrivesse dei versi come quelli di cui sopra; oppure che un certo reverendo Dodgson, meglio noto come Lewis Carroll, scrivesse alle sue amichette delle lettere d'amore, ed amasse fotografarle in pose ed abbigliamenti provocanti: cosa su cui, verosimilmente, nessuno trovava allora nulla da dire, mentre, anche in una società permissiva e allo sbrago come quella in cui viviamo, può ancora essere roba da Codice Penale.

(Comic Art, febbraio 1994)

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