Hanno cambiato faccia: le recensioni

HANNO CAMBIATO FACCIA
(Piero Zanotto, Rivista del cinematografo, giugno 1971)

Ebbe a scrivere con trasparente ironia Voltaire in un proprio racconto rivolto al fenomeno del "vampirismo", che al suo tempo nelle due città di Londra e Parigi v'erano sì speculatori e strozzini e affaristi che succhiavano il sangue del popolo, e in pieno giorno, ma non erano certo morti. benché indubbiamente "corrotti". "Le vere sanguisughe non abitavano nei cimiteri, ma in palazzi assai confortevoli ".

Ci è venuto a mente questa considerazione di Voltaire assistendo ancora in moviola a poche sequenze del primo film a soggetto d'un giovane documentarista piemontese molto preparato, Corrado Farina, dal titolo Hanno cambiato faccia, dedicato appunto al vampirismo moderno, attuale, privo dell'impianto iconografico (anche se vi è comunque dentro l'atmosfera terrorizzante di quel filone cinematografico) che ha caratterizzato per decenni, divenendo d'esso il simbolo più scoperto, la creatura nera di Bram Stoker: Dracula. Cioè i denti aguzzi. Farina infatti afferma di essersi ispirato con la sua opera sostanzialmente a una frase scritta da Marcuse nell'Uomo a una dimensione: quella che dice chiamarsi, il terrore d'oggi, tecnologia.

Aggiunge Farina: "Non v'è dubbio, i vampiri esistono ancora. Non abitano più nei castelli sui Carpazi ma sono travestiti da uomini d'affari, da capi di stato: sono coloro che hanno in mano le leve del potere, come appunto il mio protagonista, l'ingegner Nosferatu, che vive in una villa modernissima confortata dai più moderni marchingegni". Esiste tutta una vasta letteratura, come tutti sappiamo, sul vampirismo: credenza popolare che ha avuto terreno fertile al principio del Settecento in più regioni del centro Europa, Boemia, Moravia, Slesia, Polonia, Austria. Il menzionato Bram Stoker può ben dirsi il genitore letterario di codesti succhiatori di sangue dalle sembianze d'esseri umani non completamente morti, che di notte si levano dai loro loculi per nutrirsi del rosso liquido vitale ch'essi succhiano dal collo delle vittime. Saltando a ritroso d'un balzo all'origine nel cinema del fenomeno, ha voluto chiamare il proprio protagonista Nosferatu, come la pestilente creatura (ispirata comunque sempre alle pagine di Bram Stoker) del classico film germanico firmato negli anni venti da Murnau. Una parentela voluta, in quanto anche il primo Nosferatu non era soltanto un pupazzo-spauracchio bensì un simbolo dei mali del mondo di quel tempo, una premonizione - come suggerisce il Kracauer nel suo stimolante e famoso studio sociologico Da Caligari a Hitler - del mostro nazista in Germania e nel mondo. Il neo-regista dice che le sue esigenze sono state essenzialmente due: conciliare le caratteristiche del film d'autore con quelle del film spettacolo. La tematica della sua creatura di pellicola (da ciò che abbiamo visto d'essa) sembra infatti possa avere due piani di lettura, per il pubblico colto che di essa può cogliere i substrati di polemica nei confronti della moderna tecnologia (una rivolta delle macchine come la descrive Asimov nel suo lo robot, però alla rovescia: è l'uomo che si scatena contro l'invadenza del potere paralizzante dei tecnocrati), e per il pubblico che a codesto genere di cinema chiede due ore di brivido fittizio.

A colori, il film s'avvale d'un solo attore professionista: Adolfo Celi. Gli altri sono "figure" che Farina ha scelto perché aderenti ai personaggi loro affidati. Non a caso la storia ha come sfondo Torino e vari scorci del paesaggio piemontese: perché II regista li conosce bene e perché Torino può essere considerata nel mezzo del triangolo industriale più avanzato, quindi con tutte le premonizioni raccolte nella sua sceneggiatura.

S'è usato all'inizio di queste note l'aggettivo documentarista per Corrado Farina. Ne ha infatti realizzati parecchi. Un paio d'essi, recentissimi, interessano per il contenuto variamente legato al suo tema odierno: Freud a fumetti e La fantascienza siamo noi. Nel primo ha cercato di dare una risposta ai contenuti, oltre che alle forme espressive naturalmente, delle tavole grafiche di Guido Crepax: sostanzialmente un'analisi spregiudicata in chiave appunto freudiana della complessata narrativa disegnata del cartoonist milanese. Nel secondo cerca di dare una risposta al ruolo che l'uomo ricopre come presenza e pedina d'un immenso gioco cosmico, con risvolti ovviamente agganciati a un intero filone letterario.

Un terzo cortometraggio, di questi giorni, ripercorre la storia d'Italia dal primo decennio del secolo vedendola in trasparenza attraverso il più antico settimanale per ragazzi del nostro Paese: il "Corriere dei Piccoli". Ancora un discorso polemico, comunque privo di velenosità, si direbbe svolto con divertito distacco. Per il suo primo film a soggetto, Farina ha eliminato la tradizionale figura del produttore, attuando anche lui una formula di lavoro cooperativistica, con rischi ripartiti insieme a tecnici e attori. "Una formula moralmente giusta, moderna, sociale".


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