Dicono di lui --> Corto Imola Festival

Dal catalogo del Corto Imola Festival 2006

A cura di Sandro Prostor Koroval

Il suo primo lavoro è del 1959. Ci racconta come un giovanissimo Corrado Farina decide di diventare filmmaker e che aspettative aveva?

Il giovanissimo Corrado Farina studiava legge, senza nessun interesse nè entusiasmo, ma fra una sessione di esami e l'altra aveva abbastanza tempo libero ed era un appassionato frequentatore di sale cinematografiche; inoltre aveva un'amica (molto disponibile per certe cose e meno per certe altre) che possedeva una cinepresa 8mm e gliela mise a disposizione (la cinepresa, voglio dire) con una ventina di bobine da 4 minuti l'una. Il giovanissimo Corrado Farina decise di girare un film di spionaggio, ed essendo un marpioncello si riservò uno dei personaggi principali, inserendo nella sceneggiatura un paio di scene d'amore tra lui, l'amica in questione e la di lei sorella.

TRA UN BACIO E UNA PISTOLA inizia nell'aeroporto di una località chiamata "Taurinorum". In che modo un cineamatore otteneva i permessi per girare in un aeroporto?

Beh, i tempi erano molto diversi e l'aeroporto di Torino era una cosa piccola, quasi familiare. Inoltre la nostra troupe era tutta composta da ragazzi della Torino-bene e probabilmente il padre di qualcuno di noi conosceva la persona giusta.

Nei suoi corti in 8mm, la troupe, in linea di massima, da quante persone era composta?

Chi partecipava lo faceva per divertirsi, quindi dipendeva, oltre che dal soggetto, dalla disponibilità dei vari amici. Il film più impegnativo fu Povera Italia, girato in collaborazione con l'indimenticabile Renato Germonio, in cui fra attori e comparse arrivammo probabilmente al centinaio di persone. Quello con la troupe più ridotta fu invece La sposa infedele, tratto da Garcia Lorca, che fu realizzato in un solo pomeriggio, sul greto di un torrente, con l'unica presenza di un'altra amica (mentre io ricoprivo i ruoli di attore, regista, direttore della fotografia e maestranza tuttofare).

Al contrario di adesso - dove un autore prima di debuttare al lungometraggio e al cinema realizza cortometraggi e/o videoclip - sembrerebbe che negli anni 60 i registi prima di esordire nel lungo si facevano le ossa nel cinema con mansioni tipo aiuto o assistete alla regia, ignorando quasi completamente il corto. Al periodo dei suoi 8mm chi, oltre a lei produceva così assiduamente cortometraggi, e quali erano i canali di distribuzione?

Per "farsi le ossa" bisognava vivere a Roma, perché il cinema si faceva solo a Roma (non che oggi le cose siano poi tanto cambiate). Chi viveva altrove doveva arrangiarsi, accontentandosi della qualifica di "cineamatore" e rassegnandosi a far vedere i suoi film solo nel circuito dei passoridottisti, al concorso nazionale di Montecatini o in uno dei molti concorsi minori, nazionali o locali. Tra i cineamatori c'era un po' di tutto, una infinità di dilettanti della domenica ma anche persone di valore che in parte sono poi passate al professionismo.

Oggi la maggior parte dei corti si girano e montano in digitale. Com'era prodursi ai tempi dell'8mm?

Ci voleva una pazienza da certosini. Le pellicole erano invertibili e se sbagliavi l'esposizione dovevi ricominciare da capo; le giunte rischiavano di saltare ad ogni passaggio, e la colonna sonora era incisa su una strisciolina magnetica di mezzo millimetro che veniva applicata tra la perforazione e il bordo esterno della pellicola, dopo il montaggio. Se non fosse che ci si divertiva da matti, era da spararsi.

Pare che SI CHIAMAVA TERRA sia stato il suo corto di maggiore successo e visibilità...

Sì, fu il mio primo film a colori, e l'unico che venne premiato a un concorso internazionale (quello di Cannes) dopo aver sbancato a Montecatini e in molti altri posti.

Nel periodo di SI CHIAMAVA TERRA, tra cinema e letteratura, quanto era sviluppata la tematica dell'intelligenza artificiale?

La letteratura di SF era molto più avanti del cinema. C'erano già stati Sheckley, Pohl, Bradbury... e soprattutto, in tema di intelligenza artificiale, Isaac Asimov. Il cinema, con poche eccezioni, era ancora fermo agli insetti ingigantiti dalle radiazioni atomiche, e Il pianeta proibito continuava ad essere uno straordinario monolite nel deserto.

Nella realtà che cos'era lo strumento che nel film rappresenta il cervello?

Un sincrotrone (o qualche altra diavoleria del genere) all'interno del Laboratorio di Fisica Nucleare dell'Università di Torino. L'idea del film nacque proprio da una visita che feci là dentro in compagnia del prof. Luigi Gonella, appassionato di SF come lo ero io.

Riguardo CARLO MARTELLO, era d'accordo con Fabrizio De Andrè o è stata una Sua libera interpretazione?

Beh, a Fabrizio chiesi solo l'autorizzazione a utilizzare la sua canzone, che lui mi diede subito, senza peraltro collaborare in nessun altro modo. Lo andai a trovare a Genova, lui mi venne a trovare a Torino, ma poi ci perdemmo di vista. Il film vinse a Montecatini una cassetta di salami Negroni messa in palio per il film più divertente... anche se il merito era più di Fabrizio che mio.

Ai tempi esistevano già quei generi di filmati musicali che oggi chiamiamo videoclip?

Credo proprio di no.

L'inquietante e bellissimo GIRO GIRO TONDO è il capostipite della sua trilogia di critica alla società dei consumi, che include i successivi I TARLI, un documentario, e ...HANNO CAMBIATO FACCIA, un lungometraggio. Quando lei ha realizzato queste opere lavorava anche per il famigerato studio pubblicitario di Armando Testa, la sua "era una nausea da lavoro" oppure un semplice gioco?

Era una presa di coscienza della direzione sbagliata che stava prendendo un po' tutto il modello di sviluppo occidentale, innescata proprio dagli autori di SF di cui parlavamo prima e certamente aiutata dal fatto di lavorare in pubblicità, vale a dire in uno dei ventricoli del cuore del sistema. Quella che definisci "nausea da lavoro", e che portò al mio abbandono di Torino e (temporaneamente) della pubblicità, era caso mai provocata dalla supponenza e dalla mediocrità umana di molti individui conosciuti in quel contesto. Ma la parola "famigerato" applicata allo Studio Testa mi sembra eccessivamente severa. Certo, era pieno di "yes-men" ma c'erano anche persone in gamba che è stato bello conoscere. Armando, per esempio, era un vanitoso egocentrico ma anche una persona spiritosa e geniale: tanto per dirne una, quando fu mio testimone di nozze in Toscana, fu il primo ad arrampicarsi in tight fra i rami di una magnolia, insieme agli sposi, per una fotografia-ricordo decisamente fuori dal normale.
Il taglio critico e anticonsumistico, comunque, è riscontrabile, oltre che in quelli che hai detto, anche in molti altri dei miei documentari cosiddetti "liberi" (cioè non "fatti su commissione"), da Laudato sii mio Signore a Come ti erudisco il pupo, e dei miei servizi televisivi per il TG2, da Balocchi e consumi a Le mani sul cervello.

Ricollegandosi alla quinta domanda: le differenze di linguaggio e comunicazione, nel caso esistano, tra i caroselli di ieri e gli spot di oggi?

Niente a che fare. I "caroselli" erano dei veri e propri mini-film, o nel peggiore dei casi degli sketches televisivi, rigorosamente privi di pubblicità fino a trenta secondi dalla fine. Gli spot di oggi, nella maggior parte dei casi, sono invece molto più prossimi ai ritmi schizoidi dei videoclip musicali.

Oltre la pubblicità un altro tema ricorrente nella sua filmografia (corti / documentari / lungometraggi) è quello del fumetto. Visto che il primo tema è stato da lei sempre "maltrattato", il secondo ci fa intuire che lo amasse...

Certamente sì. Tra cinema e fumetto ci sono molte differenze ma anche molte affinità, delle quali ho parlato e scritto più volte. A parte Baba Yaga, al fumetto ho dedicato alcuni documentari (uno dei quali, Fumettophobia, era basato su un articolo di Marcello Bernardi pubblicato da Linus e diretto a sfatare i pregiudizi su questo straordinario mezzo espressivo); e un romanzo breve, Storia di sesso e di fumetto, che era una presa in giro dei cosiddetti "fumetti per adulti" tanto in voga negli anni Settanta.

Quale è stata l'idea di partenza nel decidere di realizzare il documentario SALGARI DELLA NOSTRA INFANZIA? E quanto è stato importante il supporto del suo co-sceneggiatore Rolando Jotti?

Salgari è stato forse il mio primo amore letterario, e in età adulta mi ha affascinato la sua esistenza schizofrenica, ripartita fra realtà quotidiana e fantasia scatenata; con il documentario ho cercato di mettere a fuoco il suo personaggio, esattamente come avrei fatto anni dopo con il romanzo Giallo antico, che purtroppo non sono (ancora) riuscito a portare sullo schermo. Quanto a Jotti, è non solo un amico ma anche un altro salgariano doc, e per il documentario mi ha portato "in dote", fra le altre cose, una intervista sonora rilasciata da Omar Salgari, figlio di Emilio, poco tempo prima di uccidersi.

Ci descrive la genesi di due suoi film di montaggio: CENTO DI QUESTI ANNI e MOTORE!... ? Questo genere di film, essendo realizzati per degli eventi specifici, non rischiano di morire subito dopo le proiezioni ufficiali?

Infatti sì, ed è un grosso peccato, perché spesso sono molto divertenti. Ho incominciato a utilizzare il cosiddetto "materiale di repertorio" alla fine degli anni Ottanta, e continuo a pensare che si tratti di un materiale assolutamente affascinante. Il cinema, sia quello documentario e/o giornalistico che quello di fiction, ha improntato di sè tutto il Novecento: è una sorta di grande serbatoio di memoria storica che ha ingoiato di tutto, e io sono convinto che non esista nessun argomento che non possa validamente essere illustrato, in tutto o in parte, da sequenze di film, di documentari e di cinegiornali d'epoca, con un lavoro di "taglia e cuci" un po' inventivo. Mi rafforzano in questa convinzione i consensi e i premi che hanno ricevuto tutti i video che ho realizzato in questo modo, compreso quel Motore!... che è stato proiettato al Museo del Cinema di Torino per tutto il periodo delle recenti Olimpiadi invernali.

IL GIOCO DEL GIALLO ed i successivi IL "CASO" PINOCCHIO e IL CASO BEATRICE C. in che contesto venivano trasmessi dalla Rai? Le faccio questa domanda perché si dà per scontato che qualsiasi network televisivo produca e trasmetta solo prodotti giudicati appetibili allo spettatore medio. Invece questi tre suoi lavori televisivi sembrerebbero - a tutti gli effetti -"giornalisticamente" e "culturalmente" anomali, ovviamente se paragonati ai normali standard che non si spingono oltre le interviste o i reportage.

Assolutamente sì, e non a caso sono stati resi possibili da personaggi Rai altrettanto anomali come Peppino Fiori, Ettore Masina, Emilio Ravel, Luca Ajroldi o Antonio Lubrano (responsabili dei cosiddetti "speciali", come "Gulliver", "Spazio Sette" e "Scoop". Addirittura, Il "caso" Pinocchio fu bloccato per qualche tempo, e poi mandato in onda preceduto da un ritorno in video della conduttrice dell'appena concluso TG2 che diceva qualcosa come "Adesso vedrete un servizio giornalistico un po' strano, ma non fateci caso, eh, eh!".

Che cosa ci dice della sua più recente attività di scrittore?

Che altro non è che quella mia di regista, temporaneamente "ibernata" dalla mancanza di produttori "anomali" (continuiamo a usare la stessa parola di poco fa). Il mio primo romanzo, Un posto al buio, è nato prima di tutto come soggetto cinematografico, è stato acquistato da Franco Cristaldi e verso la fine degli anni Ottanta stava per diventare il mio terzo lungometraggio. Le ragioni per cui il film non si è fatto sono narrate in un saggetto inedito intitolato Lo stupro, rintracciabile sul mio sito Internet. Anche i romanzi successivi sono nati e nascono come soggetti cinematografici. Sono pubblicati da editori coraggiosi ma molto piccoli, e difficilmente li si può trovare in libreria. L'unica è cercarli nelle librerie on line come Internet Bookshop, oppure ordinarli direttamente ai vari editori attraverso i link che sono sul mio sito.

Sono cinque, se non sbagliamo?

Adesso sono diventati sei. Il cielo sopra Torino è appena stato pubblicato da Fògola. Lo abbiamo presentato a Torino pochi giorni fa, e sarà presentato a Roma e Milano nel nuovo anno. E' un "giallo" anomalo (arridàje!), che incrocia il tema del voyeurismo con la descrizione di Torino durante gli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale.

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